A ciascuno il suo di Lietta Tornabuoni
A ciascuno il suo A ciascuno il suo A colpa, al soI lito, è della politica: se no tutto sarebbe chiaro, calmo, senza polemiche né risse. Il Papa parla di famiglia, di aborto, di unioni di fatto, di fecondazioni anomale. Naturalmente, ne parla nei termini della dottrina cattolica, come tutti i Papi hanno sempre fatto: e va benissimo. Meno naturalmente, se parla chiedendo a uno Stato laico, non confessionale, di conformarsi alla dottrina cattolica: pazienza, tanti Papi hanno provato anche nella modernità a esercitare un potere temporale, l'esempio dell'estremismo islamico può essere suggestivo e il proselitismo, il tentativo di influenzare sono un diritto-dovere della predicazione religiosa; poi si sa che Giovanni Paolo n, così avanti negli anni, così indebolito da attentato, malattie e fatiche missionarie, ha consiglieri polacchi che a causa della propria passata esperienza nell'Est europeo comunista ardono di revanscismi e vedono ogni tipo di sinistra come il demonio. Non importa, potrebbe ragionevolmente non succedere nulla: il Papa parla, i fedeli cattolici lo ascoltano e magari lo obbediscono, il governo seguita a gestire senza prendersela lo Stato laico. A ciascuno il suo, tutti in pace. Ma c'è la politica. Ci sono i cattolici della maggioranza Che vorrebbero mostrarsi osservanti alla pa,rola del «Papa e insieme far * parte del*g"óverno d'imo Stato laico. Ci sono alcuni dirigenti democratici di sinistra convinti che, pur di rassicurare l'elettorato, si possa contraddirsi, cancellarsi, abiurare qualunque principio e calare qualsiasi braga. Ci sono provocatori, ricattatori: così un fatto normale diventa una montagna, un ostacolo, un casino, una vertigine. AUTORE C'è sempre qualcosa di incredibile e scoraggiato in un dibattito su un problema irrisolto da cinquant'anni e ancora una volta a rischio di venir seppellito, ma c'era anche qualcosa di quasi eroico nella tenacia con cui l'altro giorno registi e sceneggiatori discuteva¬ no a Roma di diritto d'autore e società dell'informazione. Si conoscono i termini della questione. Diversamente da quanto accade agli scrittori o ai musicisti che ricevono una percentuale su ogni copia d'un libro o su ogni esecuzione in pubblico d'una composizione, diversamente da quanto avviene in Francia e altrove, in Italia regista e sceneggiatore, ovviamente autori d'un film, quando quel film passa e ripassa (una, dieci, cento, mille volte) nei cinema o alle televisioni non percepiscono una lira di diritti, mentre gli unici a prendere soldi sono il produttore e il compositore delle musiche. Nel tempo, il lavoro degli autori del film continua a venir sfruttato e a fruttare danaro: ma non per loro. L'ingiustizia risulta così palese che alla fine, l'anno scorso, per correggerla il Parlamento approvò una legge destinata a entrare in vigore il primo gennaio 1998, dopo le modalità d'applicazione stabilite rapidamente da una commissione. Però, racconta la sceneggiatrice Suso Cecchi d'Amico, «al primo gennaio 1998 la commissione non aveva ancora trovato il tempo per riunirsi», e in febbraio-marzo un paio di riunioni rimasero inconcludenti perché i rappresentanti mandati dalla Raitv e da altri non avevano l'autorità necessaria a decidere. Intanto un'altra legge, contraria, veniva presentata al Senato per poi passare alla Camera, «nel tentativo di far affondare di nuovo» il diritto d'autore. Persino nel linguaggio comune si dice «Ossessione» di Visconti o «Novecento» di Bertolucci, si vede che la realtà ha più buon senso della legge. Lietta Tornabuoni
Persone citate: Bertolucci, Giovanni Paolo, Suso Cecchi, Visconti
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