'68, il calcio fa la rivoluzione

'68, il calcio fa la rivoluzione Il 3 luglio di 30 anni fa nasceva a Coverciano l'Associazione Italiana Calciatori: anche il pallone scopriva il sindacato '68, il calcio fa la rivoluzione Pensione e mutua-, divi degli stadi come Cipputi I difficile, per un movimento nato nel '68, affrancarsi da quello spazio e da quel tempo, eludere quelle doglie e quei fermenti, così duri, così diversi, così «anti». Non sapremo mai fino a che punto l'Associazione italiana calciatori abbia scelto quell'almo per venire alla luce, o quell'anno le sia passato sopra tumultuoso, fornendole il carburante più potente e sovversivo: la coscienza. Resta la data, 3 luglio 1968, e ancora più della data, lo sfondo: gli scontri fra studenti a polizia a Valle Giulia, l'insuccesso dell'unificazione socialista alle elezioni, l'invasione della Cecoslovacchia. Lo sport si appresta a celebrare le Olimpiadi di Città di Messico. L'Italia del calcio si è laureata campione d'Europa a Roma, il 10 giugno, contro la Jugoslavia. Il calciatore, se bravo, gode di ottimo stipendio, ma giuridicamente non è niente. 0 meglio: è «tutto» della società che lo paga. Viene acquistato e venduto. Non può ribellarsi. L'idea del sindacato zampilla all'improvviso, e non dal basso. Dall'alto. Sono giocatori famosi come Gianni Rivera, Sandro Mazzola, Giacomo Bulgarelli a farsene carico. Il progetto prende corpo e slancio a Coverciano, durante il raduno per la partita con la Bulgaria (6 aprile). Si cerca un capo. Trent'anni dopo quel capo è ancora l'avvocato Sergio Campana, ex mezz'ala di Bologna e Vicenza. «Avevo appena smesso. Mi ero laureato con una tesi sulla figura giuridica dell'arbitro di calcio. Mi interpellarono. Accettai con furore: io, moderato per natura, attratto dall'enormità del disegno. Intorno a noi, stava cambiando tutto. Dentro di noi, niente. Fu questo contrasto a sprigionare la scintilla». L'Associazione si costituisce a Milano, in via Fontana 22, presso lo studio del notaio Giancarlo Barassi. «Si respirava un'aria di grandi innovazioni - ricorda Rivera -. Non escludo che sia stata proprio quella la molla. Il '68 è stato tutto e il contrario di tutto: energia positiva e bieche strumentalizzazioni». Neppure Campana lo esclude, attento com'era al sociale, a una carriera che fosse anche vita, e non solo arena. Dare un'anima di gruppo «ai cani sciolti che eravamo. Non tutti ricchi, ma tutti sciolti. Di solidarietà, fra noi, ne circolava poca. C'erano gli eletti e i reietti. La gente e la stampa ci trattavano da privilegiati. Non ne volevano sapere». Adesso può sembrare retorico accatastare tutte le conquiste, dall'abolizione del vincolo alla previdenza, per sbatterle in faccia a coloro che hanno sempre considerato il sindacato uno schiaffo alla miseria. Coni, federazione e leghe guardavano alla cellula di Campana come a un covo di nababbi un po' troppo turbolenti: e, perché no, di sinistra. Difensori estremi di una ricchezza mal distribuita. La prima minaccia di sciopero risale all'11 maggio 1969. Motivo, l'abrogazione di una norma che permetteva alle società di serie A e B di ridurre gli emolumenti del 40% se i giocatori in questione non aves- sera raggiunto un determinato numero di presenze (19 per la A, 23 perla B). L'istanza venne accettata; e la norma, cassata con effetto retroattivo. Campana sorride: «Mi davano del matto. Quando marciai su Roma per spuntare la previdenza e l'assistenza, la Gazzetta dello Sport paventò "la più clamorosa delle marce indietro"». Era l'agosto del 1972. Bastò agitare lo spauracchio di non far partire i campionati. «Fui ricevuto dal ministro del Lavoro, Dionigi Coppo. Il pacchetto divenne legge ufficiale dello Stato nel giugno del 1973. A nemmeno cin¬ que anni dalla nostra fondazione». Se non è record, il trentennio di Campana, poco ci manca. E' cambiato tutto dentro e fuori lo sport: «Il calciatore del Duemila non dissipa più. Il senso d'angoscia legato alla brevità della carriera e all'immanenza degli infortuni lo spinge a essere insieme più responsabile e più estremista: penso alle simulazioni, tutto fa brodo pur di spremere il massimo». Non sono mancati i momenti di scoramento. La sconfitta più atroce riguarda il calcio-scommesse degli Anni 80, uno scandalo che sporcò l'immagine di non pochi, e non modesti, giocatori. «Mi sono sempre chiesto se, come sindacato, facemmo di tutto per prevenire il fenomeno o se non, piuttosto, ci lasciammo rimorchiare dagli eventi». E più plausibile questa seconda pista. Il potere logora anche i sindacati, non solo i governi. Decisamente più pronto e intraprendente era stato, Campana, nella crociata contro il mercato. Un suo esposto-denuncia viene preso talmente alla lettera dal pretore Costagliola da determinare, il 4 luglio 1978, la madre di tutte le piazzate: i carabinieri fanno irruzione al «Leonardo da Vinci» di Milano, antro occasionale del mercato, seminando un ruspante scompiglio fra operatori, sensali e addette (notturne) degli addetti. «Personalmente, mi sarei accontentato di una presa di coscienza da parte di governo e federazione. Ci interessava sollevare il problema». Trent'anni. Sembra ieri. Il tempo vola. La legge Bosman ha scoperchiato il sistema. L'Europa impone il suo trend multietnico, le sue fregole di campionato sovrannazionale. La televisione domina, tiranna occhiuta e onnivora. Il traguardo del Duemila è il diritto di voto. In sede di Consiglio federale e di assemblea elettiva (del presidente). Ma un diritto vero, pesante, non di facciata. La proiezione del '68 che non fu. A 64 anni, Campana ci prova, ci conta. «Il voto, e poi lascio». I nemici lo attendono al varco. Guardandosi indietro, l'avvocato non scorge soltanto macerie. Tutt'altro. La pensione, la liquidazione, la mutua: Roberto Baggio come Cipputi. Non è una battuta, e tanto meno un sopruso. E' mi adeguamento alla realtà. Vinta la guerra della buona vecchiaia, resta da vincere la battaglia dell'anima, e non si tratta di , c'erano giati» una scaramuccia di basso profilo, assolutamente. Gianni Rivera, ancora lui, getta il sasso: «Sul piano dei diritti, i calciatori hanno fatto molta strada, abbattuto molti steccati, sbriciolato molti luoghi comuni. E i doveri? Ecco, su questo punto la categoria si ò, come dire?, arenata. Non scorgo una mobilitazione all'altezza. Si vive alla giornata. Penso di conoscere le ragioni. Per affermare i propri diritti, ci si iscrive al sindacato. Ma per i doveri, la quota associativa non basta, non serve: ci vuole più coscienza, tutto qui. E la coscienza non si compra: si allena». Al posto del vincolo, imperversano procuratori senza scrupoli. Nell'immaginario popolare, il calciatore è sempre quello che, anche quando sciopera, non ci rimette una lira. Campana non si riconosce in questo spaccato. Lo sport business è fra noi. Il sindacato copre il 90% dei giocatori professionisti. E' iscritto anche Ronaldo. Si regge su equilibri laboriosi e si batte per obiettivi non sempre nobili (per esempio, la discriminazione ira comunitari ed extra). Condanna la violenza, le simulazioni, sponsorizza la prova tv contro i Far West che sfuggono all'arbitro. Può piacere o non piacere. Di sicuro, ha lasciato un segno e contribuito ad asfaltare la strada percorsa con e contro le altre componenti. Non è nato in un anno qualunque. Questo lo ha aiutato a crescere, a sbagliare, a vincere. Roberto Beccanti™ // leader storico Campana: «Fra noi scarsa solidarietà, c'erano molti reietti e pochi privilegiati» I Qui accanto, da sinistra, Gianni Rivera e Mazzola; in basso, Bulgarelli; nell'immagine grande, il direttivo dell'Aie decide uno sciopero