Quel figlio chiamato paura

Quel figlio chiamato paura I sociologi: manca una vera politica per la famiglia^ lo Stato offre soltanto una doppia assenza Quel figlio chiamato paura «Averlo? Non è una scelta, ma una difficoltà» 1 TORINO I N Italia finisce sempre in un H dibattito ideologico e infinito, cos'è la famiglia e cosa dev'essere, si incomincia a discutere di filosofia e si conclude per non decidere niente, parla il Papa, gli vanno dietro i cattolici, gli danno ragione gli alleati di governo per tenere insieme il governo. Il risultato è che non si fanno più figli, non per scelta, ma perché è difficile. Gli Stati Uniti si apprestano a celebrare un nuovo babyboom più boom ancora di quello del dopoguerra; mentre l'Italia, insieme a Spagna e Giappone, detiene il primato di più bassa fecondità del mondo: 1,19 figli per donna. Nel nostro Paese ci sono oggi 2,8 milioni di bambini sotto i cinque anni e 1,9 milioni di anziani sopra gli 80. Fra cinquantanni ci saranno 1,5 milioni di bambini e 4,3 milioni di anziani. La sociologa Chiara Saraceno, che da una vita studia la famiglia ed è una severa critica delle politiche sociali, per far capire il paradosso italiano usa un esempio molto pratico e molto attuale: «Diciamo ai giovani che devono essere flessibili, imprenditori di se stessi, che devono aprire partite Iva, darsi da fare. Ma gli assegni famigliari per i figli si hanno solo se si è lavoratori dipendenti: come possono i giovani "imprenditori di se stessi" diventare genitori se i lavoratori dipendenti sono sempre di meno?». II mercato del lavoro offre ai giovani quasi solo contratti di formazione, unico Paese al mondo in cui si possono fare fino a 34 anni di età. E poi lavori precari, a tempo definito. Il contratto naturalmente prevede che si può prendere il congedo di maternità anche se si ha soltanto un contratto di formazione: ma chi ha il coraggio? Ecco, coraggio, azzardo. Questo ci vuole per fare figli in Italia, unico Paese in cui i figli non sono considerati ricchezza sociale, quasi ovunque in Europa (in Frància soprattutto) c'è una base di aiuto economico uguale per tutti, i figli sono considerati un bene collettivo. «Io - dice la professoressa Saraceno - non credo che la gente debba essere incoraggiata a far figli, ma penso che non ne debba essere scoraggiata. I figli devono essere una libera scelta, compito delle politiche sociali è quello di aumentare il grado di autonomia della gente, far sì che ognuno possa assumersi le sue responsabilità». Invece, da parte dello Stato, si verifica nel nostro Paese una «doppia assenza»: da una parte non si sostiene il costo dei figli, dall'altra non si sostiene la capacità dei genitori di continuare a produrre reddito nonostante i figli. E tutto questo in un processo di scomposizione e ricomposizione della famiglia che sta cambiando il panorama sociale. Secondo i demografi, scrive Anna Laura Zanatta in Le nuove famiglie, il Mulino, «nei Paesi dell'Europa occidentale si sta verificando il passaggio dall'epoca d'oro del matrimonio all'alba della coabitazione, dalla centralità del bambino a quella della coppia e da un modello unico di famiglia a una pluralità di forme famigliari». Il declino del matrimonio è un fatto nei Paesi mdustrializzati; meno sensibile in Italia. Ma la tendenza è quella. Intanto ci sono le «famiglie di latto», sintomo di crisi matrimoniale, non necessariamente della crisi della vita di coppia. Quante siano nessuno lo sa, certamente più delle cifre ufficiali. Il ritratto tipico di una famiglia di fatto è: coppia più giovane, ma non giovanissima, senza figli, vive in una grande città del Nord, entrambi i partner lavorano, elevato livello di istruzione e un precedente matrimonio alle spalle. Il sociologo Marzio Barbagli ha classificato le quattro ragioni per costituire una famiglia di fatto: l'impossibilità di risposarsi, il rifiuto ideologico del matrimonio, la scelta di donne con posizioni professionali alte e che non vogliono impegnarsi in un matrimonio, una convivenza «prova» per ridurre i rischi di un'unione sbagliata. Le statistiche dicono però che una lunga convivenza prima del matrimonio non è garanzia di lunga durata dell'unio- ne che anzi, spesso, finisce prima delle altre. Infine c'è una quinta ragione per costituire una famiglia di fatto ed è la mancanza di un preciso progetto matrimoniale. Ci sono poi le famiglie con un solo genitore, che in Italia sono diventate oggetto di rilevazione statistica da poco più di dieci anni, come se prima il problema non fosse avvertito in quanto tale. Nel '94 erano il 7,7 per cento del totale, mezzo milione di nuclei con quasi 700 mila figli minori. Con i figli maggiori si arriva all' 11 per cento del totale, un milione e 800 mila famiglie, in gran parte composte da vedove e vedovi, ma cresce la percentuale di quelle costituite da genitori celibi e nubili, separati e divorziati. Più della metà dei genitori soli hanno alle spalle una rottura matrimoniale, quasi il doppio di quanti erano nell'83. Una realtà che genera altri fe¬ nomeni tipo quello delle donne sole con figli che lavorano: sono più numerose di quelle in coppia. Mancano interventi sociali a sostegno di queste donne e dei loro figli: la separazione è quasi sempre fonte di impoverimento. I conflitti con gli ex coniugi, l'esiguità degli assegni di mantenimento, la difficoltà o l'impossibilità ad ottenerne il pagamento sono poi un altro grande problema. Il nuovo soggetto, se cos'i si può dire, sempre più numeroso, sono le «famiglie ricomposte», o «aperte», o «estese», o «allargate». Quella composte da due persone che provengono entrambe, o una sola, da un precedente matrimonio e nella quale vivono figli della prima e della seconda unione. So- no il 5,5 per cento del totale nelle grandi aree metropolitane, innescano fenomeni nuovi, negativi e positivi, come l'estensione di una rete di solidarietà famigliare più densa (si moltiplicano i nonni, i cognati, le zie...), ma anche la difficoltà per i figli della donna risposata a vivere con un uomo che non è il padre, anche solo a come chiamarlo: per nome? Stepfather, dicono gli anglossassoni e non si sa come tradurlo perché patrigno, oltre che vecchio, è sbagliato. In questa giungla di nuovi rapporti, dice Chiara Saraceno (che alle politiche sociali verso le nuove famiglie ha dedicato un saggio da poco uscito dal Mulino), «affermare che la famiglia ha un unico modello (quello tradizionale) va a svantaggio dei membri più deboli e non riconosce un valore come l'assunzione di responsabilità. E nessuno mi ha mai dimostrato che una famiglia fondata su un matrimonio sia luogo dove automaticamente si prendono responsabilità». Perché non nelle convivenze? La conclusione, dice Saraceno, è che in Italia manca una vera politica sociale per la famiglia, che alla fine di tutto si punta sempre sulla solidarietà famigliare e dei parenti, che «l'aspettativa di un'inversione di tendenza nei comportamenti riproduttivi sembra legata alla speranza che le donne decidano di far ritorno al loro lavoro di casalinghe a tempo pieno». Un po' poco, vecchio e destinato a produrre povertà. Cesare Martinetti Chiara Saraceno: «In Italia le coppie non devono essere scoraggiate verso la paternità» Il problema degli assegni La giungla dei nuclei di fatto «Il rischio è che si faccia strada un modello sbagliato: il non assumersi responsabilità» «Siamo l'unico Paese in cui i bambini non sono considerati ricchezza sociale» Il costo è scaricato completamente sui genitori NASCITE ABITANTI '■■ir. 1995 520.064 57.332.996 DONNE UOMINI SALDO IMMIGRAZIONE MORTI + 93.557 1996 536.740 57.460.997 +2,2 per mille 29.567.628 27.893.349 + 148.997 557.756 ■1*997 540.048 S7.S63.354 + 0,4 per mille 29.612.762 27.950.592 + 127.008 564.679 IL BEL PAESE CHE CAMBIA BELGIO 1^5 DANIMARCA .1,81 GERMAN! A 1,16 GRECIA 1,38 SPAGNA 1,22 FRANCIA 1,66 IRLANDA 1,86 PORTOGALLO 1,44 GRAN BRETAGNA 1,74 SVIZZERA TASSO 1,49 Di FERTILITÀ pi

Persone citate: Anna Laura Zanatta, Cesare Martinetti, Chiara Saraceno, Marzio Barbagli, Mulino, Saraceno