Il cinema, grande amore dei padrini di Francesco La Licata

Il cinema, grande amore dei padrini RELAZIONI PERICOLOSE Il cinema, grande amore dei padrini Ricatti striscianti e servizi imposti ai registi E ROMA una vecchia «passionacela», quella di Cosa nostra per il cinema. La Sicilia è stala spesso meta di autori e registi accorsi a raccontarla nella sua rappresentazione più inflazionata: la mafia con le sue faide, i giuramenti, i morti, gli odi indelebili. 1 mafiosi, da parte loro, sono sempre stati interessati a conoscere (quasi a seguire passo passo) come il cinema si apprestasse a raccontare una storia che li vedeva protagonisti, anche se negativi. Senza contare, poi, che - dal punto di vista del business - il cinema è stato anche occasione di lavoro (nella miglior delle ipotesi) o di «facili guadagni» come nel caso odierno, se dovesse trovare riscontri il racconto dei collaboratori di giustizia sul film «Tano da morire». Le reazioni di Roberta Torre e Donatella Palermo, regista e produttrice del musical ambientato al mercato della Vucciria, non lasciano spazio ai dubbi. Entrambe respingono con fermezza l'ipote- si che per realizzare il film sia stata pagata una tangente o pizzo, come si dice in gergo. Come interpretare, allora, le dichiarazioni di due pentiti che fanno accuse precise e dicono di essere in grado di dare un volto all'attore che portò «con le sue mani» i 30 milioni pagati in cambio della «tranquillità» necessaria per poter girare? E' la domanda che ci si pone sempre, di fronte ad episodi simili, ma riguardanti altri settori dell'attività produttiva. L'«impresa cinema», ovviamente, suscita molti più dubbi e polemiche per la notorietà dei protagonisti e, in questo caso, per il fatto che i mafiosi avrebbero imposto il pizzo ad un film che irride alla mafia e alla sua sottocultura. Insomma un bel guazzabuglio tra fiction e realtà. Un rebus che sarebbe sbagliato, però, liquidare come «incredibile». La storia di Palermo ci dice, infatti, che tanti registi - anche famosi ed autore¬ voli - sbarcati a Palermo sulla scia di un progetto coinvolgente, alla fine hanno dovuto smorzare il proprio entusiasmo perché trovatisi nel bel mezzo di complicati problemi, diciamo, ambientali. E' il caso di un autore molto conosciuto che bisognerà rimanga anonimo per motivi di privacy. Arrivato a Palermo, venne circondato da tante persone, tutte amabilissime e molto disponibili. La loro parola d'ordine era: «Ci pensiamo noi». Il regista era molto contento di essersi imbattuto in una realtà che smentiva tutta la letteratura sui siciliani più mafiosi dei veri boss. Dovette ricredersi quando gli fu amabilmente proposto di ricorrere ai servigi di un certo «service» palermitano in grado di «procurare tutto»: dalle autorizzazioni comunali, al protagonista, qualora non ne avessero uno, dai figuranti ai cascatori. Il regista ringraziò di vero cuore, ma rispose che il «service» lo avevano già, era ro¬ mano e provvedeva davvero a tutto. Accadde allora che scomparirono i camion della produzione posteggiati nel bel mezzo di piazza Politeama, mentre l'intera troupe riposava nell'albergo omonimo. Immaginabile, lo sconcerto generale. Insomma, i camion furono recuperati ma il «service» palermitano cominciò a lavorare con la produzione. L'aneddoto probabilmente ha poco a che fare con l'evoluzione della storia di «Tano da morire», ma serve a rappresentare una situazione che va avanti da 20 anni almeno. E' probabile che soltanto Giuseppe Castellana, autore e regista palermitano, abbia potuto superare facilmente certi problemi ambientali. Lui, però, è il figlio di Michele Greco, il «papa» di Cosa nostra, altro grande appassionato di cinema se è vero, come dice qualche collaboratore di giustizia, che si spostava fino a Roma per visionare in anteprima i film in uscita, in compagnia di uno spettatore d'eccezione come il senatore Giulio Andreotti. Ha pagato «Tano da morire»? Probabilmente non lo sanno neppure Roberta Torre e la produzione. Cerchiamo conforto nell'esperienza di un veterano del cinema palermitano. Dice Franco Maresco, uno (l'altro è Daniele Cipri) dei «genitori» di «Cinico tv», dello «zio di Brooklyn» e del recente «Totò che visse due volte»: «Su Roberta ci metto la mano sul fuoco ed anche sulla produzione. Sono persone lontane anni luce da certe situazioni. Ciò non vuol dire che non esistano, che non siano esistiti negli anni problemi di condizionamenti, se si tiene conto che girare alla Vucciria è come esplorare foreste vergini. Ci vuole lo scout, chiaro?». «Comunque - continua Maresco, che sta lavorando ad un film su Palermo - bisogna rimanere sereni e calmi cercando di individuare i punti deboli, se ve ne sono. Non si può rischiare che vengano penalizzate le già scarse occasioni di lavoro nella nostra città». Francesco La Licata «Rifiutammo un aiuto per la troupe e il giorno dopo tutti i nostri camion erano spariti dalla piazza» Franco Maresco e Daniele Cipri, registi di «Cinico tv» e di «Totò che visse due volte»

Luoghi citati: Palermo, Roma, Sicilia