Rifondazione alla resa dei conti di Antonella Rampino

Rifondazione alla resa dei conti Rifondazione alla resa dei conti Tra Fausto e Armando la battaglia del weekend ROMA. Se la politica è la prosecuzione della guerra con altri mézzi, come diceva Von Clausewitz, dentro Rifondazione comunista la politica è tornata indietro. Siamo alla guerra: la conta dei generali e dei colonnelli, di qua i cossuttiani, di là i bertinottiani, da sempre rinviata perché essa porterebbe il partito alla dissoluzione, è adesso all'ordine del giorno. Letteralmente: potrebbe avvenire proprio durante il prossimo comitato politico. E la questione, che potrebbe sembrare semplice storia interna di un partito, è invece di assoluta rilevanza perché da essa dipendono le sorti del governo Prodi. E' dell'altroieri la riunione nella quale Cossutta, con l'abilità consumata del comunista di lungo corso e passo lento, ha «costretto» Bertinotti a mettere sotto esame assembleare la propria linea politica. Perché Cossutta immagina Rifondazione iscritta nella tradizione di tutti i partiti comunisti, per i quali non si esiste come pura e semplice opposizione, ma si lotta per la conquista del potere, per essere forza di governo. Bertinotti è invece assai affezionato alla rendita di posizione che gli deriva dal tenere il governo, la cui politica giudica essere non abbastanza di sinistra, perennemente sotto scacco. Il punto è che adesso, all'ala «governativa» del partito, Bertinotti sembra come un sire capriccioso, «un segretario incapace di operare una sintesi tra le linee del partito», come ha detto chiaro e tondo Cossutta. E, nel linguaggio comunista, la «sintesi» è ciò che segna la capacità di fare politica. Il marchingegno che Cossutta ha architettato per stringere alla «sintesi» il segretario, è semplicissimo: la verifica della maggioranza di governo, quella alla quale si rischia di arrivare con Bertinotti che minaccia la crisi, è fissata per lunedì. Verrà preceduta da un week-end di Comitato politico per sottoporre a esame la linea bertinottiana, che è quella di un «ampio mandato per la svolta di governo, ma anche per la rottura». Poi, dopo la riunione a Palazzo Chigi, di nuovo un altro Comitato politico. E saranno, c'è da giurarci, riunioni ruvide, nelle quali verrano alla luce scontri con radici antiche, e con la minoranza trozkista, il 15 per cento che fa capo a Marco Ferrando e Livio Maitan, che rischia di giocare da ago della bilancia, di scindersi a sua volta. Che si stiano affilando le armi è evidente. Bertinotti già dichiara: «Rifondazione, semmai, ha creato troppi pochi problemi al governo». Cossutta, invece, dice pubblicamente: «Rifondazione non può arrivare alla conta». Ma intanto i suoi colonnelli avvisano: i bertinottiani sono in maggioranza nella segreteria politica (6 a 3), in direzione nazionale (28 a 17), ma non nel comitato politico nazionale, l'assemblea dei 330 dirigenti del partito. Lì, come pu¬ re nelle istituzioni, il partito che conta 130 mila iscritti e 3 milioni e 300 mila voti (una forbice decisamente troppo larga, tale da lasciare nel vago la rispondenza nell'elettorato della linea politica), sono in prevalenza cossuttiani. E così sono pure i gruppi parlamentari, e le federazioni, specie a Torino e a Milano. Nella disfida, è evidente il disegno di Cossutta: lavorare ai fianchi Bertinotti. Raccontano in Transatlantico che il presidente sia preoccupatissimo, perché la destra avanza, mentre Bertinotti ha l'andare all'opposizione come miraggio. Raccontano di un Cossutta sicuro, «Fausto ha già scelto, se il governo non accetta la sua piattaforma in toto, lui sfila Rifondazione dalla maggioranza». Ed è così che è stato maturato il disegno per il quale, comunque, Bertinotti dovrà dire di sì o di no a Prodi subito, senza aspettare il vagheggiato semestre bianco, che gli permet¬ terebbe di andare all'opposizione senza pagare pegno, sia pure senza farlo pagare neanche all'Ulivo. Una strategia che rischia però di portare il partito sul baratro della divisione. Perché pochi sono gli scenari possibili nel prossimo Comitato politico: Bertinotti vince nel partito (e il governo cade). La spuntano i cossuttiani (e Prodi resta a Palazzo Chigi). Oppure Bertinotti raccoglie nel partito una maggioranza risicata. E allora, non solo si va alle elezioni, ma Rifondazione scompare. A meno di non voler dar retta a Von Clausewitz: a un certo punto sul campo della battaglia potrebbe calare la nebbia. Insomma, in questa battaglia politica, potrebbe perfino accadere che Bertinotti a un certo punto ci ripensi, e diventi più «ragionevole». Ma, come la nebbia, si tratta di qualcosa che proprio nessuno è in grado di prevedere. Antonella Rampino E c'è chi teme la dissoluzione del partito Armando Cossutta presidente di Rifondazione comunista

Luoghi citati: Milano, Roma, Torino