I LIMITI DI UNA PROPOSTA di Sandro Cappelletto

I LIMITI DI UNA PROPOSTA FALSE RELAZIONI I LIMITI DI UNA PROPOSTA NELLO stagno progettuale dove galleggiano gli enti lirici italiani, il documento a dieci mani uscito dalla bottega d'arte torinese potrebbe produrre un bel rumore, una dissonanza forte e persistente. Ma la traiettoria di lancio appare più breve delle intenzioni. Due le false relazioni: 1) la separazione tra memoria e futuro, tra essère museo e diventare laboratorio - 2) la persuasione che «la funzione di salvataggio e diffusione del repertorio operistico sarà appannaggio dei nuovi media». Tutte le inchieste condotte sul pubblico della lirica evidenziano che la specificità richiesta a questo prodotto è nella presenza viva dell'interprete, nel suo esporsi più che al cinema o alla tv, e come in teatro - al rischio del tempo reale della creazione. L'esigenza di trovare una «nuova identità» non appartiene, in assoluto, ai teatri, ma a chi li fa vivere. Il Metropolitan di New York non la avverte per nulla: eppure il suo bilancio è tranquillo, la sala affollata, gli sponsor appagati, i critici un po' insofferenti per l'eccesso di pavarottismo. Negli Stati Uniti tutti sanno che, per trovare «un reale incontro tra la cultura contemporanea e il teatro musicale», bisogna rivolgersi altrove. In Europa - valga l'esempio di Salisburgo - il ruolo dei direttori artistici e dei responsabili culturali di un ente lirico è ancora decisivo, come conferma la situazione italiana. Le esperienze di Roma e Palermo sono esemplari nella loro diversità: a Roma il Progetto Musica, un festival contemporaneo che ha luogo da cinque anni, ha coinvolto tutte le realtà musicali, tranne il Teatro dell'Opera, perfettamente tetragono al progetto. A Palermo, il Festival Novecento vede tra i promotori più attivi anche il Massimo: La Scala, che annuncia per il 2000 una stagione interamente dedicata al teatro lirico del '900 (e non si fermerà a «Turandot»), sembra più attenta che in passato alla modernità; la rassegna «L'altra scena», che si è appena conclusa a Venezia, ha proposto in un nuovo e più adatto spazio e a cura di quanto resta della Fenice, un festival del più recente teatro musicale da camera di assoluto interesse. Esiste a Torino la possibilità di coinvolgere il Teatro Regio in questa prospettiva? Coinvolgere nelle tasche e nella mente, nel progetto e nella sua esecuzione, in sedi che, molto probabilmente, dovranno essere diverse dalla sala principale? C'è la volontà artistica di superare le resistenze contrattuali e sindacali che queste iniziative parallele fatalmente comportano? Le «identità particolari e dunque facilmente riconoscibili» non sono astrazioni; si costruiscono lavorando. Se il Regio volta le spalle, bisognerà inventarsi altri interlocutori: la realtà musicale di Torino è abbastanza complessa per sperare di trovarli. Se invece è disponibile, si dia da fare. Ma perché un «Ballo in maschera» cantato, diretto e agito bene devo andare a vederlo solo alla Scala, anzi a non vederlo, considerato che non troverò i biglietti? Sandro Cappelletto

Persone citate: La Scala