Un vaccino per l'infarto?

Un vaccino per l'infarto? KILLER DI FINE SECOLO Un vaccino per l'infarto? Con una nuova classe di farmaci E N questi ultimi mesi si è I parlato molto dell'avanza- 1 mento della ricerca in campo oncològico, trascurando il settore cardiovascolare. La trombosi arteriosa invece può essere considerata tuttora il «grande killer» di questa fine di secolo, perché le sue conseguenze sono tanto più gravi, quanto più vitale è l'organo interessato: infarto del miocardo e ictus cerebrale rappresentano il 45 per cento del totale dei decessi. Numerosi studi sono in corso per chiarire il fenomeno dell'aggregazione piastrinica (vedi il «New England Journal of Medicine»), perché i trombi che si formano nei vasi in cui il flusso è rapido (arterie) sono formati prevalentemente da piastrine (le piccole cellule senza nucleo presenti nel sangue) e da fibrina (il «cemento» che le tiene unite). Le piastrine hanno un ruolo importante quando si tratta di bloccare un processo emorragico. La trombosi può essere considerata una forma mal regolata e inappropriata di emostasi. L'aggregazione piastrinica viene stimolata da una serie di mediatori chimici che contribuiscono al reclutamento delle piastrine circostanti fra cui: la trombina (trasforma il fibrinogeno in fibrina), il trombossano 2 (deriva dall'acido arachidonico presente nella membrana cellulare), e formazione di particolari recettori definiti «integrine». Da qualche anno la ricerca è indirizzata a studiare queste integrine perché si è visto che sono indispensabili alle piastrine per potersi aggregare. Queste integrine sono dei recettori paragonabili ad un ponte di ancoraggio, e sono state definite glicoproteine Ilb-IIIa in base alla loro costituzione chimica. Da qui è nata l'idea di trovare dei farmaci che impediscano alle piastrine di collegarsi tra loro. Queste sostanze sono state definite antagoniste delle glicoproteine Ilb-IIIa o fibani e si preannunciano come essenziali negli interventi di angioplastica coronarica e posizionamento di «stent», vale a dire quando si tratta di prevenire le «ristenosi» che ancora oggi preoccupano il cardiochirurgo. I primi prototipi di questa nuova clas¬ se di farmaci sono, per ora, somministrabili per via endovenosa nell'ambito ospedaliero. Ora si tratta di ottenere delle formulazioni per via orale, più maneggevoli e utilizzabili in trattamenti prolungati (gli esperimenti sono già in corso per mettere a punto i dosaggi e gli effetti collaterali). Sino ad oggi sono conosciuti diversi antiaggreganti piastrinici (ticlopidina, dipiridamolo). Il più usato è l'acido acetil-salicilico (aspirina) il quale però crea, in alcuni casi, problemi di tolleranza gastrica, e inoltre ha un'attività limitata: agisce inibendo esclusivamente uno dei tanti mediatori dell'aggregazione piastrinica, il trombossano 2. Le prospettive della lotta all'aterotrombosi sono dunque promettenti sul piano farmacologico. Ma per vincere, sarà fondamentale la battaglia per ridurre i fattori di rischio che contribuiscono alla formazione della placca aterosclerotica (colesterolo, fumo di sigaretta, ipertensione, immunocomplessi, iperomocistinemia). Le piastrine infatti aderiscono in corrispondenza di ulcerazioni della placca. E' qui che si aggregano e facilitano la formazione del trombo, che restringe ulteriormente il lume vasale con tutti i guai che derivano. Renzo Pellati Ma nella lotta alla aterotrombosi è necessario anche ridurre i tanti fattori di rischio

Persone citate: Killer Di Fine, Renzo Pellati