DALLA PRUSSIA AL TERZO REICH

DALLA PRUSSIA AL TERZO REICH V'7/A US Oi :N5 -18 i a mi « DALLA PRUSSIA AL TERZO REICH PRUSSIA la perversione di un'idea: da Federico il Grande a Adolf Hitler Giles MacDonogh Mondadori pp. 399 L 36.000 PRUSSIA la perversione di un'idea: da Federico il Grande a Adolf Hitler Giles MacDonogh Mondadori pp. 399 L 36.000 L 17 agosto 1991 il feretro di Federico il Grande, che durante l'ultima fase della guerra Hermann Gòring aveva fatto traslare nella Svevia Meridionale per sottrarlo all'Armata Rossa, venne riportato a Potsdam e fatto sfilare per la città di fronte a sessantamila persone e migliaia di poliziotti: a mezzanotte (secondo l'antico desiderio espresso dal sovrano nel 1786, poco prima di morire) la bara fu sepolta ai piedi della collina di Sans-Souci, presenti il cancelliere Helmut Kolh e una rappresentanza della Bundeswehr, l'esercito tedesco. La cerimonia era gravida di implicazioni politiche: l'onore reso a Federico il Grande riapriva il dibattito sull'eredità dello Stato prussiano, il «mostro militarista» che gli Alleati avevano cancellato dalla carta del mondo e che la storiografia delle due Germanie aveva a lungo rimosso. Per un Paese nel quale la ricostruzione dell'identità nazionale passa attraverso il confronto serrato con il proprio passato, «fare i conti» con la Prussia rappresentata un tassello non meno significativo di quello che Ernst Nolte e Klaus Hildebrand hanno affrontato nella loro revisione del nazismo: Prussia come Stato fomentatore del militarismo e della reazione, oppure Prussia come capro espiatorio delle colpe collettive tedesche? Nel dibattito si inserisce ora Giles MacDonogh, storico inglese che conosce a fondo la realtà tedesca, il quale dedica all'idea di Prussia quattrocento pagine dense di documentazione e di spunti analitici, ma anche di agilità divulgativa, secondo i migliori modelli della storiografia anglosassone. La tesi è lineare. All'origine della Prussia vi è la felice combinazione tra le virtù severe dei cittadini e il dinamismo politico-militare della dinastia Hohenzollern: nel volgere di quattro generazioni, da Federico II il Grande a Guglielmo I, la Prussia diventa il primo tra gli Stati tedeschi, con un'organizzazione interna che fa perno sul governo della legge e sulla tolleranza religiosa e con un tratto caratteriale che i tedeschi chiamano «nuchtermheit», quel misto di semplicità, di dedizione e di sobrietà che non ha traduzione italiana. Secondo MacDonogh, la perversione dell'idea prussiana inizia a fine Ottocento con Guglielmo II, quando la Prussia ha ormai unificato la Germania e si presenta sulla scena storica come la grande potenza emergente del continente: autoritario e magnificente, assai più «kaiser dell'Impero» che servitore dello Stato, ossessionato dall'ambizione di far rivaleggiare Berlino con gli splendori di San Pietroburgo e di Vienna, Guglielmo II domina un'età nella quale lo spirito del prussianesimo si compromette. La corruzione degli ambienti di corte, la mancata selezione della classe dirigente, il gusto per il lusso travolgono le originarie virtù civili e morali del popolo, e i tipici caratteri preimperiali (il senso del dovere, l'autocontrollo, la disciplina, il rispetto della legge) si trasformano in obbedienza cieca, in militarismo feroce, in intolleranza, in deificazione dello Stato. In questo modo l'età guglielmina prepara non solo il crollo del 1918 (una catastrofe annunciata dall'allentamento della compagine sociale prima ancora che dalle sconfitte sul campo di battaglia), ma anche il retroterra sul quale, qualche anno più tardi, potrà affermarsi il nazismo. Il lavoro di MacDonogh fa certamente giustizia del radicato pregiudizio secondo cui le efferatezze del Terzo Reich discendono direttamente dal prussianesimo: come già hanno osservato storici come Gerhard Ritter o Walter Hubtasch, alcuni tratti della cultura prussiana, come ad esempio la tolleranza in campo religioso, sono anatemi per il nazismo. Un'ombra resta tuttavia irrisolta: la storia è fatta di avvenimenti ma anche dalle politiche della memoria che su quegli avvenimenti si costruiscono, ed è indubbio che l'idea prussiana contenesse gli elementi utilizzabili per una interpretazione perversa. Riportare Federico il Grande a Potsdam e recuperare il passato prussiano è una giusta operazione «nazionale»: a condizione, tuttavia, che non si perda il filo della successione storica e che la revisione non si trasformi in una rimozione di segno opposto. Le pagine di MacDonogh, pur così ricche di suggestioni, questo rischio sembrano correrlo, nel momento in cui attribuiscono una cesura troppo netta all'età guglielmina ed esauriscono il problema nella degenerazione riconducendolo alle responsabilità del gruppo dirigente. Gianni OSiva