DOPO IL GOLPE 30 ANNI DA MUAMMAR di Igor Man

DOPO IL GOLPE 30 ANNI DA MUAMMAR DOPO IL GOLPE 30 ANNI DA MUAMMAR GHEDDAFI, UNA SFIDA DAL DESERTO Angelo Del Boca Laterza pp.372 L 35.000 HEDDAFI va per i trenta. Anniversari. Prese il potere il 1° di settembre del 1969, ch'era un «ragazzino», tra poco più di un anno celebrerà, Insh'Allah, il trentesimo anniversario del suo golpe, incruento ma devastante. Per gli Stati Uniti d'America che con la perdita della base aerea di Wheelus Field vedevano cancellata la loro presenza massiccia, altamente strategica, nel cuore del Mediterraneo; per la Gran Bretagna che con la destituzione di Re Idriss perdeva una «colonia invisibile immersa nel petrolio». Ventinove anni fa, il fatto che Gheddafi e i suoi compagni si dichiarassero (e fossero) devoti islamici anticomunisti, rassicura gli inglesi che sgomberano senza difficoltà Tobruk; lo stesso faranno gli americani. L'arrendevolezza angloamericana fa circolare il sospetto che Gheddafi sia uomo della Cia, sennonché Muammar, figlio delle frustrazioni storiche degli arabi, mostra presto i denti: nazionalizza il petrolio, bandisce alcol e divertimenti, scaccia brutalmente gli italiani che han trasformato la sabbia della Cirenaica in un giardino, predica l'unione della Umma, la rissosa famiglia araba, «per distruggere Israele». Ossessionato dal dettato panarabo di Nasser, del quale si considera il delfino, ispirato dalle «voci notturne che salgono dal profondo del deserto», caratterialmente instabile, Gheddafi fa di se stesso un personaggio inedito per le scene nordafricane, quello del Capo Supremo che nega di esserlo ma presume di proporsi (non soltanto ai libici) come al Quid, la Guida, il leader massimo. In verità egli è il consigliere delegato d'una società davvero a responsabilità limitata, quella Jamahiria libica ch'è il «caos organizzato», una rivoluzione culturale africo-maoista permanente. Epperò può essere anche divertente per un re-filosofo come Gheddafi gestire quel tipo di caos quando l'economia tira grazie al petrolio e la Libia è uno Stato so¬ vrano. E' senz'altro difficile mandare avanti la macchina quando si è sotto embargo, ossessivamente demonizzato, e, a conti fatti, leader di un Paese a sovranità limitata o, meglio, condizionata. Per volere degli Stati Uniti, infatti, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha imposto, dal 15 di aprile del 1992, durissime sanzioni alla Libia insieme con mi severo embargo aereo. Tutto ciò perché Gheddafi si è sempre rifiutato di consegnare (a Londra, a Washington) due suoi agenti segreti, presunti autori dell'infame attentato di Lockerbie: 287 morti per una bomba esplosa in un Boeing della PanAm. Sei anni di sanzioni hanno, apparentemente, «maturato» il beduino dalle sette vite e dalle 700 uniformi, e fatto riflettere gli ad¬ detti ai lavori: è da sottolineare la coincidenza fra l'uscita di un poderoso libro su Gheddafi e le realistiche prese di posizione sulla opportunità di sciogliere l'embargo, senza con questo voler «assolvere» il colonnello. Il libro si intitola Gheddafi - Una sfida dal deserto, lo pubblica Laterza, lo ha scritto uno storico serio e appassionato, già giornalista-inviato invero speciale: Angelo Del Boca. Tra le (responsabili) prese di posizione ricorderemo quella di un personaggio qual è il giovine, pragmatico amministratore delegato dell'Eni, Franco Bernabé. Tanto Bernabé è «freddo» nel suo realismo di grande manager, tanto Del Boca è «caldo» nel suo rigore di storico umanista. Gli è che Angelo Del Boca non ha mai dimenticato di aver fatto il giornalista, per di più «controcorrente». Credetemi, non era facile cinquant'anni fa scrivere infischiandosene di tabù possenti, come ha fatto Del Boca (con pochissimi altri giornalisti). Ma non è, d'altra parte, facile nemmeno oggi fare lo storico col coraggioso rigore (e vigore) con cui lo fa Del Boca: onesto e caparbio nel denunciare (documenti alla mano) l'uso dei gas (italiani) in Etiopia ovvero l'orrore della «riconquista» della Libia. In questa sua ultima fatica, dedicata alla Jamahiria di Gheddafi, la chiave di lettura dei fatti è la stessa usata per la vicenda etiopica, per la vicenda somala eccetera: servirsi della ricerca per stendere un resoconto criticamente valido, capace di demolire ogni «memoria coloniale», in forza di una analisi dei fatti che, equamente, finisca col porre sul tavolo della Storia gli opposti punti di vista. In ragione del mio lavoro per La Stampa ho incontrato Gheddafi almeno dieci volte: quando, fresco di golpe, riceveva i giornalisti vestito in borghese, con la camicia a maniche corte sotto la giacca color senape, le scarpe di finto coccodrillo (con fibbia), così magro e giovine da sembrare uno studente di scuole serali piuttosto che quel leader sin da allora inquietante, nel tempo presente, trovandolo gonfio di preoccupazione e amarezza, non principe ma rospo. Per quanto sia possibile conoscere un arabo, per di più un beduino qual è Gheddafi, posso dire d'averlo riconosciuto, tutto sommato, nelle pagine del libro, importante, serio, problematico, di Angelo Del Boca. Contesto, però, che al Quaid sia un uomo «colto», come scrive Del Boca. Gheddafi è un autodidatta nel senso più disastroso della parola. E la sua Terza Teoria, somiglia malamente a quell'anarchismo che ha il suo classico fondamentale in Proudhon ed è stato propugnato e sviluppato, nella teoria e nella prassi, da Bakunin e Kropotkin, nonché celebrato in chiave romantica da Tolstoi. (Tutti nomi che non dicono nulla al Nostro, come da sua esplicita dichiarazione a me stesso). Ha ben scritto «l'italiano di Libia» Valentino Parlato, come la sigla di Gheddafi massimamente problematica sia il mabul, vale a dire il matto, «con tutta l'espressione - compresa quella sacrale - che la parola mabul comporta». Un matto che ragiona da musulmano autentico se è vero che (non da oggi) gli integralisti islamici lo odiano e tentano, ogni tanto, di ammazzarlo. Ma lui ha la baraka, e sinora l'ha sfangata. Ripagando gli integralisti col disprezzo, odiandoli. Si veda al riguardo quanto Gheddafi ha dichiarato proprio ad Angelo Del Boca a proposito dei Fratelli Musulmani: «Sono religiosi i quali vogliono risolvere con la religione problemi che sono politici. Sono servi dell'imperialismo. Rappresentano la destra reazionaria, i nemici del progresso, del socialismo, dell'unità araba. Raggruppano i delinquenti, i bugiardi, gli sporcaccioni, i fumatori di hashish, gli ubriaconi, i codardi, i malfattori. Ecco chi sono i fratelli musulmani. E tutto ciò ha fatto di loro i servi dell'America». Igor Man Gheddafi con Arafat. Il disegno centrale è di Loredano GHEDDAFI, UNA SFIDA DAL DESERTO Angelo Del Boca Laterza pp.372 L 35.000