DUE PRETI DIVISI DAL PECCATO

DUE PRETI DIVISI DAL PECCATO DUE PRETI DIVISI DAL PECCATO LETTERE Al ROMANI Piero Ferrerò Garzanti pp. 127 L. 22.000 ER il modo con cui affronta la tematica religiosa e la particolare cultura che sottintende, Lettere ai Romani di Piero Ferrerò, è un romanzo inconsueto, non dirò inattuale, per i nostri giorni. Certo è fuori questione l'urgenza, e quindi la verità, di un sentimento che si presume maturato negli anni, insieme alla misura stilistica che contempera la spontaneità della confessione con la sottigliezza sperimentata della controversia. E' un romanzo epistolare, due preti si scrivono, hanno studiato insieme. Ma uno, Serafino, è monsignore di Curia, l'altro, Sebastiano, è un semplice prete, esiliato da Roma nella provincia nativa a riprendere la salute o ad aspettare la morte. Ha accompagnato, con l'occasione, la salma di un prete, comune amico, che pure senza dare pubblicamente scandalo ha convissuto con una donna. E quella cassa che viaggia in treno, sulla quale i necrofori ribaldi giocano a scopone, intona subito, insieme al «vanitas vanitatum», il tema del peccato che sarà al centro del romanzo. versa ma capace di penetrare con insolita forza nell'uomo e rendergli onore. Lettere ai Romani è un titolo che non Sebastiano, ospite di un seminario, non sopporta il formalismo e la grettezza dei confratelli. Il solco si accentua quando, fuori da ogni regola, comincia a frequentare cattivi soggetti - prostitute, teppisti, miscredenti - fino a esprimere pietà e apprezzamento per un giovane prete suicida. Discorre con quei peccatori per evangelizzarli e soprattutto per evangelizzarsi. Il fatto è che, mentre sente avvicinarsi la morte, teme di aver sprecato tutto, vuole recuperare febbrilmente una dimensione sacerdotale che gli sembra smarrita nella routine e nelle divagazioni teologiche. Si sente travolto da uno sgorgo di umanità, di condivisione con esseri che passano nel fiato caldo della vita con il loro carico di colpe, mediocrità e nascoste tenerezze, si ostina a volerli, a ritenerli «salvi». Scopre con meraviglia dei beni che una severa educazione ecclesiastica aveva occultato: le profonde radici che ci legano alla terra bellissima e peritura, la dolcezza della memoria, dall'affetto materno alla consuetudine rumorosa e allegra coi compagni di studi... «Ho sentito che devo credere nell'uomo come nell'albero, per credere nell'angelo». Confida a Serafino questa risorgente fedeltà alla terra, avviando un contraddittorio che, per quanto teso e conflittuale, non riuscirà ad appannare l'antica amicizia. Il monsignore è turbato e sgomento, cerca di far valere le ragioni della prudenza, lo invita ad accettare se stesso e il suo onesto passato. Ma rintuzza con vivacità e sarcasmo le lettere di un delatore che gli arrivano dal seminario, corrisponde amabilmente alle citazioni di poeti come Verlaine e Hòlderlin, ad entrambi carissimi, portatori di una vocazione di¬ versa ma capace di penetrare con insolita forza nell'uomo e rendergli onore. Lettere ai Romani è un titolo che non deve essere equivocato nella sua immediatezza. Si riferisce non tanto al colto e riuscito prelato, quanto ai conformismi e ai compromessi dell'istituzione (intorno a un Papa morente viene suggerita per rapidi scorci un'atmosfera di mondane attese, di diplomatici complotti) che valgono tanto per Roma quanto per la sperduta cittadina in cui vive Sebastiano. Rimanda in particolare alla «Lettera ai Romani» di San Paolo, al passo controverso secondo cui la stessa legge, che Cristo è venuto a perfezionare (o sovvertire?) è incentivo al peccato. In realtà, Serafino è toccato nel profondo dall'esperienza di quel «prete rischioso» che non sa mettere limiti alla carità, che oscilla tra esultanza e disperazione, che attende dalla morte un verdetto risolutivo. Sulle pagine ultime sembra aleggiare il soffio della Grazia. Una parola che rimanda, sia pure in un contesto più accidentato, a un nome che Piero Ferrerò non ha citato, al Bernanos del Diario di un curato di campagna. Lettere ai Romani è un bel libro che, senza lasciarsi appesantire dai riferimenti colti, non inceppato dagli occasionali ingorghi di oscurità, ripropone con limpidezza e adesione alla coscienza contemporanea il drammatico contenzioso tra colpa e riscatto, tra caduta e salvezza. Lorenzo Mondo iclostica an carmente ttracano, rmai ra in toria me che o cobush australiano, dei brucianti deserti africani e delle più gelide zone artiche? I I atica e sotPiero non erto è di la sume misuontagliez uno, to da a acsenza a che nsolie. e non mmeal ai alegarola to più FerreDiario o che, rifericasioe con ienza ntenduta e ondo

Persone citate: Bernanos, Curia, Lorenzo Mondo, Piero Ferrerò, Verlaine

Luoghi citati: Roma, San Paolo