PER EDUARDO DE FILIPPO LA CATTIVERIA NON FINIVA MAI
PER EDUARDO DE FILIPPO LA CATTIVERIA NON FINIVA MAI IL PERSONAGGIO PER EDUARDO DE FILIPPO LA CATTIVERIA NON FINIVA MAI Ritratto (kartista « tròppo amato, troppo odiato» N attore bussa per parecchie volte al camerino del grande Eduardo De Filippo all'apice della sua carriera. Nessuno risponde. Sempre silenzio, nonostante le ripetute richieste. Alla fine il drammaturgo dà un segno di vita: «Chi è?». «Posso entrare?», domanda l'attore. «No, sto pensando». L'episodio è riportato nel volume a cura di Italo Moscati II cattivo Eduardo. Un artista troppo amato e troppo odiato, in uscita da Marsilio, che riunisce testimonianze di personalità dello spettacolo come Liliana Cavani, Carmelo Bene, Giuseppe Patroni Griffi e saggi di studiosi e biografi come Franca Angelini, Valerio Caprara, Maurizio Giammusso: da tutti gli interventi emerge un ritratto a tutto tondo del commediografo scomparso nel 1984 in cui spicca il lato contraddittorio, complicato e anche crudele non solo del carattere ma anche del suo teatro e della sua opera. Figlio del celebre attore e autore Eduardo Scarpetta, fratello di Peppino e di Titina, con cui aveva messo in piedi il Teatro Umoristico, Eduardo si permetteva infinite angherie con tutti quelli che dipendevano da lui. Chiuso in se stesso, imprevedibile nelle sue reazioni, un giorno era allegro, capace addirittura di ridere per un errore di recitazione dei suoi partners, altre volte era intollerante, sgarbato, feroce. «Eduardo era molto severo ma quando vedeva che gli interpreti avevano capito li lasciava fare», rammenta l'attrice Regina Bianchi, che lavorò nel Teatro Umoristico con i De Filippo e che portò la sua famosa interpretazione di «Filumena Marturano» sul piccolo schermo. La fiducia, concessa con molta parsimonia, De Filippo, però, la ritirava anche all'improvviso e con molta cattiveria. Così la Bianchi ricorda che Eduardo dopo averla convinta a interpretare la parte di «Filumena Marturano» e dopo il grande successo si liberò della sua presenza senza troppi convenevoli perché gli davano fastidio gli applausi che il pubblico le tributava. Il «tiranno» Eduardo non si risparmiava le sue perfidie, nemmeno davanti ad una platea stracolma. Durante una recita, ritenendo che un attore anziano non avesse ben pronunciato una battuta, gli disse a brutto muso, davanti al pubblico esterrefatto, di ripeterla. «Non si preoccupò di fargli fare brutta figura davanti agli spettatori», rammenta l'attrice. «Non lo faceva per sadismo. Era il suo modo assoluto di intendere il teatro, era lo stesso spirito che lo portava ad arrivare per primo in scena e ad essere l'ultimo ad uscire». Generose in alcune circostanze - fece, per esempio, operare all'estero, interamente a sue spese, un attore della sua compagnia -, altre volte era tirchio in maniera incredibile. Per questo motivo Carmelo Bene confessò di aver rotto la sua storica amicizia con lui. Era poi arrogante, sfottente, come emerge da un altro episodio ,in cui viene fuori anche tutto il suo gusto per il paradosso. Un giovanotto che lavorava con lui da un po' di tempo lo avvicinò per chiedergli un aumento: «Sa... sono quattro stagioni che faccio con voi...». La risposta non si fece attendere: «Quattro stagioni? Non vi avevo visto». Uno dei primi a far le spese dei suoi scatti di umore sarà proprio il fratello Peppino, da cui Eduardo «divorziò» artisticamente alla fine del '44 in maniera drammatica Valeria Monconi riporta questo dialogo a cui fu presente: «Ero con Eduardo e Onorato, il celebre caricaturista. Questi gli disse che era stato al cimitero del Verano per mettere dei fiori sulla tomba di Titina. Poi aggiunse che aveva incontrato Peppino. Eduardo, glaciale commentò: "Ah, e lo portavano?"». De Filippo non risparmiava i suoi sgarbi nemmeno agli amici. Così, per esempio, Marcello Mastroianni mobilitò tutto il mondo dello spettacolo e organizzò una grande festa in suo onore a Castel Sant'Angelo. Il commediografo non si presentò nemmeno a ritirare la targa con cui lo volevano celebrare, lasciando il povero Marcello nei guai. Ma da dove nasce tanta animosità che, poi, è anche il motore, sostiene Moscati, dell'arte suprema di De Filippo? La studiosa Franca Angelini nel suo notevole excursus sui De Filippo vede la crudeltà come un prodotto della famiglia d'arte, divisa tra «il gelo dell'esercizio duro del mestiere e la vischiosità dell'affetto famigliare. Mentre Eduardo riprende nella sua vis comica Scarpetta e Pulcinella ma guarda anche alla "Tempesta" di Shakespeare, Peppino continua la tradizione del grande Petito e delle Pulcinellate barocche». Eduardo era anche bravissimo a suscitare sensi di colpa: Tullio Kezich ricorda che, volendolo intervistare, non riuscì a tirargli fuori che poche sillabe scontrose. In cambio Kezich ricevette le confidenze di un attore disperato per le difficoltà dei rapporti con De Filippo. L'autore di teatro viveva barricato nel camerino dove scriveva le sue commedie, ma metteva tutti in imbarazzo: con lui non si sapeva mai se bisognasse andare a salutarle oppure ignorarlo per non dargli disturbo. In ogni caso si sbagliava sempre. Una sensazione che pervase anche Kezich durante tutta la sua fallita ed impossibile intervista. Durezze, impensabili «ruvidità»: ma la linfa vitale del teatro di Eduardo è proprio nella sua ferocia che - come afferma Moscati - fa parte della sua napoletanità delle sue radici in una città che lui descrive come «un regno non tanto dell'armonia quanto della fatica di vivere e di comprendersi». La sua grandezza si capisce dunque meglio al di fuori di ogni interpretazione pietistica e neorealistica da cui nasce anche il suo respiro internazionale. Mirella Serri IL CATTIVO EDUARDO a cura di Italo Moscati Marsilio pp. 222 L.22.000 Così lo ricordano ornici, attori e critici: testimonianze raccolte da Italo Moscati Sopra i fratelli De Filippo: da sinistra, Eduardo, Titina e Peppino; a fianco Carmelo Bene: un'amicizia rotta «per ragioni di tirchieria»
Luoghi citati: Castel Sant'angelo
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