L'OMBRA ROSSA NELL'ESERCITO DEL RE

L'OMBRA ROSSA NELL'ESERCITO DEL RE INCONTRO - avvenuto sul fronte ^«P^ italiano negli ultimi mesi della seI conda guerra mondiale - è di quel/ li che, apparentemente, non pos£ sono dare frutti. Da un lato uffi* ciali di carriera del regio esercito, formati alla scuola dello Stato Maggiore e rigidamente ligi alla causa dei Savoia nonostante Vittorio Emanuele III, un anno e mezzo prima, li abbia lasciati soli, fuggendosene da Roma. A questi generali si fanno incontro giovani e duri militanti comunisti, alcuni dei quali reduci dalle galere e dal confino fascista. Si sono tolti dal collo i rossi fazzoletti delle brigate partigiane nelle quali hanno combattuto in Toscana. Da pochi mesi si sono arruolati volontari nelle truppe regolari dell'esercito italiano che dopo il tragico sbando dell'8 settembre 1943 sta faticosamente rimettendosi in piedi. Cosa mai può venire da così dissonante incontro? Palmiro Togliatti, che nei primi mesi del 1945 è tra i principali puntelli del governo Bonomi, non può che scuotere ironicamente la testa e concedere uno di quei sorrisini al veleno che sciolgono - come fossero immerse nel vetriolo - le argomentazioni di chi non sa cogliere il respiro lungo della storia. Adeguandolo, se è il caso, ad opportuni compromessi. Come pp pricorda Giorgio Bocca nella biografia dedicata al leader comunista, Togliatti s'intende bene con chi ha i piedi per terra, anche se è stato - o sarà - un suo pericoloso avversario. Con Badoglio, ad esempio, Togliatti riesce ad essere in sintonia: certo, il generale è l'uomo del colpo di Stato dell'estate del 1943 ma «non è uno stupido e conquista Togliatti - scrive Bocca - con certi suoi giudizi secchi da contadino piemontese». Ad esempio quello su Sforza: «L'è pien 'd voeid», è pieno di vuoto. E tuttavia la delegazione dei giovani militanti che nel gennaio 1945 ha raggiunto Roma per chiedere al vertice del Pei di appoggiare l'opera di rinnovamento che cercano di svolgere nel nuovo esercito, non ha la vita facile. Tutt'altro. Ma non demordono. Hanno la convinzione che le migliaia di volontari ex partigiani - prevalentemente toscani, arruolatisi tra il finire del 1944 e i primi del 1945 nei reparti regolari e prossimi ad essere impiegati al Nord - finiranno per imporre una nuova democrazia anche nella più conservatrice delle istituzioni italiane. A condividere le loro speranze, però, sono pochi, anche all'interno della Direzione del Partito che allora è ubicata in via Nazionale. Qui i delegati dei volontari incontrano tra gli altri Enrico Berlinguer come rammenta nel volume «Lo strano soldato» uno dei protagonisti della vicenda, Enzo Nizza: «Entrati in un bugigattolo scuro e polveroso vidi per la prima volta il dirigente dei giovani comunisti. Mi ero immaginato un a uno, esclamando "Viva i soldati della nuova Italia". Poi, mentre noi ci guardavamo imbarazzati, fece un passo indietro e ci squadrò meglio, concludendo: "Quando avrete le stellette, sarete perfetti"». Grosso modo la pensano nello stesso modo il generale Primieri, comandante del Gruppo di Combattimento «Cremona» nel quale sono confluiti migliaia di volontari comunisti, e i colonnelli Ferrari e Musco che guidano due reggimenti dell'unità. Tutti questi ufficiali sono professionisti delle armi di grande esperienza e di lucida intelligenza. Conservatori, certo, ma con una grande consapevolezza del momento irripetibile che il Paese sta vivendo. E così - mentre il «Cremona» s'inserisce nella prima linea che sta incalzando i tedeschi Una brigata di partigiani comunisti negli anni della Resistenza uomo d'azione, tutto fuoco nelle vene, magari un ex gappista, invece ci trovammo di fronte un giovane dall'aria triste e fin troppo riflessiva... Aveva la mia età, ma un modo così distaccato di ascoltarci che sembrava molto più vecchio. Nonostante la nostra enfasi prese alcuni appunti e ci liquidò con poche parole...». Con i giovani militari comunisti è perfino più caloroso il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Berardi, al quale i delegati degli ex partigiani si presentano accompagnati dal sottosegretario alla Difesa, il comunista Palermo: «elegantissimo nella sua divisa ancien regime - ricorda ancora Nizza - il generale fece il giro della scrivania e ci veime incontro a braccia aperte. Ci abbracciò a uno in ritirata sul fronte marchigiano e romagnolo - si gioca una delicatissima partita, tutta interna all'unità militare, tra i giovani rivoluzionari che indossano la divisa del regio esercito e i loro ufficiali. I reparti in combattimento si comportano benissimo. Nei momenti liberi, però, gli ex partigiani cercano di ricreare - dentro le compagnie - quello che nessun ufficiale di carriera ha mai visto: assemblee, delegati di reggimento e battaglione, momenti di discussione politica, rivendicazioni a raffica su tutti gli aspetti della vita militare. Dal rancio alla disciplina, dall'educazione politica della truppa alla gestione dei reparti. I volontari toscani cercano di immettere, nei reggimenti, quell'atmosfera che si era creata dentro la guerra partigiana e che è ben resa dai romanzi di Carlo Cassola, ad esempio in «Fausto e Anna». Per alcuni mesi all'interno del «Cremona» si vive una stagione che - per certi versi e fatte le debite proporzioni - potrebbe assomigliare ad un casto e temperato «dualismo di potere», un «luogo comune» dove ufficiali tradizionalisti e militanti comunisti trovano spazio per intendersi e cooperare sia pure per un tempo delimitato. Ma sono anni in cui lo spirito di casta che separa ufficiali e soldati scava ancora immense voragini, anche nelle forze armate di Paesi come gli Usa, sicuramente democratici e avanzati. E chi avesse dubbi si legga lo splendido libro di W. B. Huie, la fucilazione del soldato Slovik, la storia dell'unico soldato americano fucilato per diserzione dal 1864 ad oggi, dove la vicenda che si snoda tra le truppe statunitensi che stanno liberando la Francia, avviene negli stessi mesi in cui decolla l'esperienza del «Cremona». E tuttavia questo vento di democrazia che per pochi mesi spira fragilmente in un esercito come quello italiano, allora appena uscito dalla dittatura, è storia che si "conclude già nel corso dell'estate del 1945 quando, con la conclusione della guerra'e la normalizzazione dei reparti, la quasi totalità dei volontari - anche quando potrebbe essere inserita nelle strutture delle nuove forze armate viene celermente «epurata» dai ranghi. Alcuni dei protagonisti dell'esperienza vivranno altri e importanti momenti delle vicende italiane: il giovane volontario Enzo Nizza, per esempio, diventa uno stretto collaboratore di Pietro Secchia e poi, per anni, coordinatore della stampa comunista. Prima di fondare «La pietra», una piccola ma grintosa casa editrice che opera validamente a Milano. Il colonnello Musco, vale a dire uno dei contraddittori più vivaci e intelligenti dei volontari all'interno del «Cremona», nei primi Anni Cinquanta diventa il capo dei servizi segreti italiani. Il colonnello Ferrara dirigerà, nello stesso periodo, la missione militare che sotto l'egida dell'Onu riporta gli italiani in Somalia mentre il generale Primieri scala le più alte gerarchie atlantiche, conservando un ottimo rapporto con gli alleati americani. Oreste del Buono Giorgio Boatti Mei «Gruppo Cremona»: gli ex partigiani cercano di ricreare assemblee, delegati di reggimento e battaglione, momenti di discussione politica Testi citati: Lo strano soldato Autobiografia della brigata Garibaldi «Spartaco Lavagnini» La Pietra Milano 1976 Giorgio Bocca Palmiro Togliatti, Laterza, Bari 1973 Carlo Cassola Fausto e Anna Einaudi. Torino 1952. William Bradford Huie La fucilazione del soldato Slovik Rizzoli. Milano 1955 L'OMBRA ROSSA NELL'ESERCITO DEL RE Quando i volontari comunisti indossarono la divisa