Occhetto, l'utopia globale

Occhetto, l'utopia globale Nel suo nuovo libro l'ex segretario pds prende in contropiede il dogma ultraliberista Occhetto, l'utopia globale Governo mondiale contro i rischi del mercato senza frontiere c I vuole una buona dose di coraggio per scrivere un libro che affronta il tema del «governo del mondo», in una fase storica in cui domina, all'esatto antipodo, l'idea, o la credenza, che il mondo si governa da sé, attraverso l'invisibile mano del mercato, ovvero il «siglomap», alias «single-global-marketplace». Tanto più avventurosa, l'idea, se si tiene conto che viviamo nell'epoca della progressiva delegittimazione delle istituzioni internazionali, a cominciare dall'Onu e dalle sue agenzie, strette nella morsa di compiti crescenti e di poteri inesistenti. E' ben vero che la crisi asiatica, la fuga precipitosa ed emblematica, all'aeroporto di Giacarta, dei «boys» del Fondo Monetario Internazionale, manifestano scricchiolii preoccupanti nello schemino del «siglomap». Ma il libro di Achille Occhetto (Governare il mondo, Editori Riuniti) va comunque controcorrente, anzi contro due correnti: il provincialismo del dibattito politico e culturale italiano e il dogma ultra-neo-liberista, dell'adorazione del movimento libero e vorticoso dei capitali. Occhetto anticipa l'ironia prevedibile dei critici: «Un governo mondiale sarebbe la peggiore delle tirannie». E aggiunge: «Sarebbe orribile» anche la sola idea di un governo mondiale costruito su pilastri come la vittoria di una sistema sociale sull'altro; l'eliminazione dei contrasti sociali attraverso l'elirni- nazione dei contendenti minoritari; la marginalizzazione delle minoranze e un regime democratico che tenga conto soltanto dei bisogni della maggioranza. Il che, a ben vedere, è più o meno quanto sta accadendo sotto i nostri occhi, anche se è difficile captarlo perché si snoda impercettibilmente. E la gente - e non solo l'uomo della strada, ma spesso anche coloro che si collocano negli scalini più alti, dove si prendono decisioni - ne è tagliata fuori «perché non sa queL~ che accade e, peggio ancora, non sa nemmeno di non sapere». Achille utopico, e non lo nega. Anzi lo rivendica come una necessità, ironizzando spesso e volentieri sulla «realpolitik dei realisti» che trasformano la tattica in assoluto, la politica in tecnica teatrale. Insomma pensare in grande è indispensabile. I concetti da cambiare sono tanti, quasi tutti quelli che dominarono durante la guerra fredda. Non si può costruire un nuovo ordine internazionale con l'idea - che prevale - di passare dai due blocchi all'estensione progressiva di quell'unico che è rimasto e che si crede vincitore. La sicurezza assoluta dei potenti equivale (parafrasando Henry Kissinger) all'insicurezza assoluta dei deboli, mentre Occhetto, con Gorbaciov e Willy Brandt, Olof Palme, la signora Brundtland, afferma che «non c'è salvezza né nel dominio sugli altri, né nell'isolamento». Il libro è pieno di proposte e contiene anche un'importante correzione concettuale, che, del resto, ne sorregge tutta l'intelaiatura. Quella del passaggio dall'idea del «governo mondiale» a quella (intraducibile in italiano, ma ben comprensibile) della «global governance» dello svedese Carlsson. Un «processo» che deve passare attraverso fasi di volontaria e revocabile delega di sovranità a istituzioni internazionali riformate, che deve prevedere un consiglio di sicurezza «economico», capace di assumere su di sé l'indirizzo delle istituzioni di Bretton Woods, attualmente alle dirette dipendenze del G-7. E ima serie di cruciali corollari: la «global governance» impone un mutamento dell'idea stessa di concorrenza, non appena ci si renda conto che «assieme al povero che sta male finisce per star male l'insieme del pianeta. Il suo dolore diventa il dolore della natura stessa e di tutta l'umanità». Citato una sola volta, di sfuggita, il Marx dell'inscindibile unità tra uomo e natura, lettura giovanile di Achille Occhetto segretario della Fgci, fa capolino da queste righe «utopiche». Giuliette Chiesa Achille Occhetto