Pochi eroi contro l'invasore

Pochi eroi contro l'invasore Sotto il nome di sviluppo, una metastasi di avidità speculativa, ignoranza, calcolo elettorale Pochi eroi contro l'invasore DI Roma e dei suoi ministeri pensiamo ciò che pensano tutti, cioè che sono inefficienti, confusionari, cappuccinari e via deprecando. Luoghi comuni, senza dubbio, che uno preferirebbe non condividere con milioni di queruli concittadini, ma che le cronache confermano si può dire ogni giorno. E' dunque con gioia inebriante che salutiamo un libro uscito da uno di quei covi di pasticcioni e che sfogliamo con occhi increduli, quasi commossi. Paesaggio e ambiente, i poteri della tutela, rapporto 1997, a cura di Giuseppe Proietti (Gangemi Editore) è pubblicato dal ministero per i Beni culturali e ambientali, e più precisamente dall'Ufficio Centrale per i beni ambientali e paesaggistici. Un grosso volume, corredato di minuziose cartine tecniche, ampi dati statistici, note, tabelle, commentari, e che tratta di quanto l'Ufficio abbia potuto fare nel 1997 per opporsi alla devastazione del già non poco devastato paesaggio della Penisola. Un simile rapporto, di per sé meritorio e presumiamo burocraticamente obbligatorio, sarà certo uti- le agli addetti ai lavori, autorità locali, imprese, architetti, urbanisti, ecc.; ma apparirebbe al profano nient'altro che un arido documento se qualcuno tra quegli oscuri funzionari non avesse avuto l'idea di illustrarlo. La e" Mina stessa annuncia il vero e pi ^ 'rio colpo di genio. Nella parte alta d°U'immagine si vede il famigerato «mostro di Fuenti», l'immenso albergóne che, sbranata a puntino la roccia, venne costruito sulla scogliera amalfitana nei pressi di Vietri (Salerno). Un'escrescenza abominevole, venuta su grazie a una sfilza di autorizzazioni e che mesi fa, dopo una lunga guerra cartacea, è stata condannata alla demolizione. Tale demolizione, più volte annunciata, non è stata finora eseguita, il che prova se ce ne fosse bisogno di che lunghe braccia o tentacoli sia fornito il mostro. Ma la parte inferiore della figura anticipa il sospirato abbattimento: una simulazione digitale ci fa vedere come tornerà ad essere quel tratto di scogliera dopo l'eliminazione del repellente edificio. L'utilizzo delle moderne tecniche elettroniche (che ci sembra francamente miracoloso da parte della nostra amministrazione) non si ferma alla copertina. Il cuore del volume è anzi costituito da due serie di immagini a confronto: edifici che l'Ufficio di tutela ha stabilito si debbano demolire e i paesaggi come saranno dopo la demolizione; paesaggi come sono attuahnente e come sarebbero se l'Ufficio non avesse bloccato i relativi progetti di micro e macrole- sioni. Questa duplice virtualità è più parlante di qualsiasi appello, denuncia, campagna di stampa, e ne risulta inconfutabilmente il nessun conto in cui gli italiani tengono il paesaggio del loro Bel Paese. Sotto il nome intoccabile di «sviluppo» si dirama una metastasi di avidità speculativa, ignoranza, calcolo elettorale, furbizia, totale insensibilità estetica, essendo la bellezza un concetto astratto e fastidioso, e peraltro indefinibile. Sotto allora con ponti e porticcioli, villette a schiera e alberghi, cubi, tettoie e pompe di benzina «in luoghi celesti». S'intravede dietro questi «manufatti» il peggior tipo di italiano che si frega le mani: io mi faccio gli affari miei e voi statevene zitti perché è tutto regolare, anche la legge mi dà ragione. Tristissimo è infatti constatare che le costruzioni abusive da abbattere sono relativamente poche. La maggioranza dei progetti è passata per una impeccabile trafila, i timbri degli enti responsabili ci sono tutti. Né ci vuole molto a immaginare come questo possa avvenire e perché. Nel groviglio del¬ le varie competenze territoriali sembra assurdo (ma forse non lo è poi tanto) che i tutelatoli dell'ambiente vengano consultati non per primi ma per ultimi, quando tutto è già stato approvato in tutte le altre sedi senza che nessuno abbia alzato un dito contro l'evidente sconcezza Tocca ai tutelatori l'ingrato compito di bocciare in ultima istanza, di annullare, di fermare il cantiere già in movimento, e si può ben intuire che, dopo il Fisco, questo ministero sia il più detestato d'Italia. Ma come, per due piani in più, per cento posti-barca, per un canneto qualunque, per un uliveto qualsiasi! Ma che si facciano gli affari loro, questi cavillatori di Roma! Il volume ispira inquietanti riflessioni sui nuovi poteri (e soldi) promessi a Regioni, Province, Comuni. Sul federalismo, come su qualsiasi altro rivolgimento che riguardi l'assetto della Nazione, siamo a priori scettici, per non dire diffidenti. Sulla carta, in teoria, tutto sembra sempre quanto mai opportuno e ragionevole. Ma se poi ci figuriamo realisticamente quel particolare sindaco di quel piccolo Comune, che deve scegliere tra una faggeta e un parcheggio attrezzato, tra un profilo di collina e un supermercato con rotonda per concerti rock, ci riesce difficile aprire il cuore alla speranza. Il solo tremulo conforto ci viene dal fatto che questo libro può essere fatto rientrare in uno schema tanto ricorrente nella storia patria da sfiorare l'allegoria marmorea. La disfatta, il vergognoso cedimento all'urto (anzi all'impatto, come anche qui si ripete a ogni pagina, ma glielo perdoniamo) delle orde nemiche. Ma poi, quando tutto sembra perduto, un manipolo di eroi si oppone con scarsi mezzi all'invasore, tiene la trincea, si batte bene, evita la catastrofe definitiva. Siamo sempre lì, tra Caporetto e la linea del Piave che mormora. E c'è pur sempre, un po' più indietro, la linea del Mincio... Carlo Frutterò Franco Lucentini S'intravede dietro questi «manufatti» ilpeggior tipo di italiano che si frega le mani: io mi faccio gli affari miei e voi state zitti, anche la legge mi dà ragione

Persone citate: Carlo Frutterò, Franco Lucentini, Gangemi Editore, Giuseppe Proietti

Luoghi citati: Caporetto, Italia, Roma, Salerno