Il nuovo rene si produce nel corpo di Gabriele Beccaria
Il nuovo rene si produce nel corpo «Anche in Italia si testa l'autorigenerazione per ovviare alla scarsità di donatori» Il nuovo rene si produce nel corpo Trapianti, dagli Usa un esperimento sui topi MILANO. Se non ci sono abbastanza reni da trapiantare, perché non produrli su richiesta nel corpo di chi ha bisogno? Se l'è chiesto Marc Hammennan, ricercatore della Washington University, a Saint Louis, Usa, che si è risposto, sicuro, di sì. «E' possibile», ha dichiarato al quotidiano «Independent» annunciando dent», annunciando un esperimento - «il primo al mondo nel suo genere» - che ai non addetti ai lavori sa di fantascientifico. Ha preso una serie di cellule embrionali da alcuni topi di laboratorio - i donatori - e le ha fatte crescere in un'altra specie ricevente, ratti in questo caso. Dopo sei settimane, nell'area dov'era avvenuto l'innesto, tra la pelle e gli organi dell'addome, i nuovi reni avevano attecchito e si erano sviluppati abbastanza per raggiungere le dimensioni di un terzo del normale. Per ora, in questi primi test, gli organi così prodotti funzionano al minimo, ma il professor Hammerman promette che riuscirà a incrementarne la funzionalità, fino a livelli quasi normali. L'obiettivo - è evidente - è perfezionare la tecnica per trasferirla all'uomo. E, tra le idee che si sono fatte strada, c'è quella di ricorrere ai maiali, sfruttandone le compatibilità con il nostro organismo. Loro cederebbero le cellule cosiddette <mrimitive» e il malato umano farebbe il resto. Alla fine del processo ci si ritroverebbe con un organo chimerico - in parte animale e in parte umano - in grado di svolgere la missione affidatagli. Quanto ai tempi, all'università di Saint Louis si parla di cinque10 anni. E dai reni si potrebbe passare ad altro, come si sta sperimentando con una tecnica parallela messa a punto da un'azienda californiana, la «Advanced Tissue Sciences», in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology e il Children Hospital di Boston: il meccanismo dell'«ingegneria dei tessuti» mira a indurre la ricrescita all'interno dell'organismo di nuovi organi e, appunto, di nuovi tessuti. In alcuni topi e cani si sono già fatti spuntare fegati e cuori, utilizzando gruppi di cellule e «impalcature» a base di polimeri. Contemporaneamente, «anche in Italia si studiano le caratteristiche autorigenerative di alcune cellule, come quelle epatiche: per esempio, si sta pensando a una sorta di "fegato artificiale", sintetizzando i fattori di crescita», spiega Girolamo Sirchia, presidente della «Nord Italia Transplant», organizzazione leader nei prelievi e nei trapianti. «Quest'ultima, o quella annunciata negli Usa, è una strada interessante, anche se ancora sperimentale». Interessante in primo luogo per ovviare alla cronica scarsità di persone disposte a regalare una parte di sé quando non può più utilizzarla. «Oggi, nel nostro Paese, si eseguono 1200-1300 trapianti di rene l'anno e un migliaio di fegato e cuore, ma siamo ad appena un terzo del fabbisogno», sottolinea Sirchia. A 30 anni dal primo trapianto italiano (ricorrenza celebrata qualche giorno fa al PohcHnico Umberto I di Roma), «le richieste di organi continuano a crescere e Regioni e ospedali hanno raggiunto risultati molto diversi: in alcuni casi di livello europeo e in altri quasi nulli. In attesa delle nuove e rivoluzionarie tecniche dice Sirchia - si deve premere sulle strutture esistenti, come il coordinatore di prelievo, e diffondere la cultura, ancora insufficiente, della donazione. Medici e pazienti devono imparare a dialogare». Gabriele Beccaria In alto un attivista alla conferenza mondiale di Ginevra sull'Aids A lato un trasporto di organi con un elicottero dei carabinieri
Persone citate: Girolamo Sirchia, Hammerman, Marc Hammennan, Sirchia, Umberto I
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