« Non è desiderio di vendetta » di M. V.
« Non è desiderio di vendetta » INTERVISTA L'IMMUNOLOGO E L'ALLARME « Non è desiderio di vendetta » // medico: stanno bene e non ci pensano GINEVRA OTTOR Giuseppe Ippolito, com'è possibile che proprio chi è stato contagiato sottovaluti la possibilità di trasmissione del virus? «La percezione del rischio risente del grande entusiasmo ,peic i nuovi farmaci che hanno allungato la vita dei malati di Aids e ne hanno fatto aumentare la qualità. L'ottimismo sul futuro, la convinzione che l'Aids possa essere una malattia cronica che si controlla come una malattia non infettiva, producono sensazioni di sicurezza non corrette. Il rischio di trasmissione continua a essere alto e le modalità di contagio sempre le stesse. E i nuovi farmaci servono per curare la malattia, non per prevenirla. Anche se in alcuni casi particolari, come la trasmissione del virus da madre a figlio, possono fare anche questo». Chi sono i più consapevoli del rischio? «I bisessuali.. Solo il 29,4 per cento pensa che il rischio di contagio sia nullo, contro il 39 per cento delle donne e il 35 degli uomini. Sul rischio "basso" concordano bisessuali (45 per cento) e omosessuali (46 per cento), ma solo il 36 per cento delle donne. Sono queste, paradossalmente, le più ottimiste in questo tipo di valutazione: perché sanno che è più facile per loro essere contagiate che contagiare. Ma sulla valutazione del rischio "alto" gli uomini le raggiungono: 12 per cento contro 13. E su quello "altissimo" sono tutti allineati al 5 per cento. Risultati incredibili, ai quali inizialmente sembrava difficile credere, ma che concordano pienamente con quelli di uno studio analogo condotto a Chicago». Questo significa che le campagne d'informazione sull'Aids sono state falli- mentari? «No, sicuramente la prevenzione ha funzionato e funziona, tant'è che i nuovi casi, negli ultimi anni, sono drasticamente diminuiti. Soggetti con comportamenti tradizionalmente a rischio come i tossicodipendenti, ad esempio, hanno cambiato alcune abitudini come io scambio delle siringhe infette e i livelli d'infezione sono calati. Così come sono scesi tra gli omosessuali, anche loro molto bene informati dei rischi. Ora è tempo di pensare a campagne specifi¬ che per i sieropositivi. L'ottimismo può essere pericoloso per le dinamiche future dell'infezione: più questi pazienti si sentono bene, più fanno una vita normale e più sono portati a non applicare scrupolosamente tutte le precauzioni. La consapevolezza tra i malati è molto alta e certo tra essi non è presente nessun desiderio d'infettare gli altri, ma è semplicemente forte il desiderio di avere una vita normale. Nessun senso di vendetta, ma solo quello di essere come tutti gli altri». [m. v.]
Persone citate: Giuseppe Ippolito
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