«Baby-squillo per gli italiani» di Gian Antonio Orighi
«Baby-squillo per gli italiani» «Baby-squillo per gli italiani» A Sarajevo: «ElMundo» insiste Le testimonianze di 5 quindicenni MADRID NOSTRO SERVIZIO A un mese dalle rivelazioni su una presunta rete di baby-prostitute a Sarajevo, scoperta un anno fa da uno 007 del servizio militare spagnolo «Cesio» e controllata dalle forze di pace della Nato, quasi tutte italiane (subito smentite dal nostro ministero della Difesa, dal ministero della Difesa di Madrid e dal segretario generale della Nato Solana), il quotidiano madrileno «El Mundo» è tornato ieri alla carica. Fornendo sei testimonianze, cinque di baby-prostitute e una di un poliziotto locale, che proverebbero le sue accuse. Sarebbe diversa l'età delle adolescenti. Secondo la versione del 23 maggio scorso, le vittime che si sarebbero vendute all'interno della caserma del quartiere di Zetra, dove ha. sede la Brigata Nord dei nostri Caschi Blu, avevano tra i 12 ed i 13 anni. Adesso la loro età va dai 14 ai 15 anni. Una di loro, Gorana V., è fotografata di spalle davanti ad uno degli accessi che usava per entrare nella caserma di Zetra. Anche i prezzi che avrebbero pagato i militari italiani sono cresciuti: il 23 maggio erano 40 marchi, 39 giorni dopo siamo saliti a 50 marchi per una «fellatio» e 100 per un rapporto completo. Queste le testimonianze di Gorana, Jasmin, Sabina, vendute da un boss della mafia di Sarajevo, Jasmin Dahic. «Arrivavamo sempre dopo le 23, l'ora in cui i soldati dovevano rientrare in caserma. Vicino al filo spinato ci aspettavano due o tre soldati, quasi sempre gli stessi - racconta Gorana -. Ci prostituivamo nei containers che ospitavano i dormitori italiani; d'estate, dentro gli edifici in rovina all'interno della caserma». Svetlana racconta: «Due anni fa ci vennero a prendere quattro soldati italiani con un blindato, a bordo del quale entrammo per la porta principale che si trova vicino al fiume Zeljeznica. Sono entrata più di venti volte nella caserma di Idilza, quasi sempre su blindati perché nessuno ci vedesse. Mi prostituivo quasi esclusivamente con italiani». Sabina, poi, sostiene che entrava nella caserma di Idilza grazie ad un tesse¬ rino di riconoscimento da interprete, falsificato, fornito al suo protettore da un ufficiale italiano. S. S., un poliziotto locale, riconosce amaramente: «E' "vox populi" che molte minorenni esercitano la prostituzione nelle caserme della Nato. Il mio governo lo sa. Ma chi osa denunciare chi è venuto in Bosnia a restituirci la pace?». «El Mundo» lancia una sfida: «Forniamo nomi e luoghi. Perché Solana non li verifica?». Gian Antonio Orighi
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