Mancino: una crisi adesso? Il Paese non lo capirebbe

Mancino: una crisi adesso? Il Paese non lo capirebbe INTERVISTA IL PRESIDENTE DEL SENATO Mancino: una crisi adesso? Il Paese non lo capirebbe «Prima bisogna dare risposte convincenti ai problemi del lavoro e del Mezzogiorno Le riforme? A settembre si potrà riparlarne» PRESIDENTE Mancino, dopo il fallimento della Bicamerale, pensa che si possano ancora fare le riforme? «Penso che, se c'è la volontà politica, è possibile riprendere il dialogo. Magari a settembre. Oggi è difficile faro previsioni, anche perché i temi in discussione di per sé dividono e non uniscono: c'è chi ritiene prioritaria l'elezione diretta del Capo dello Stato (anche io la penso in questo modo) e chi la soluzione alla questione giustizia; chi la fedeltà al "patto della crostata" e chi la regionalizzazione del sistema politico! Nel 1947 ciascuna forza politica di fece carico dei movimenti altrui, c'era uno spirito costituente insomma. Mi auguro che i partiti, adesso, trovino quello spirito». Già, ma la Bicamerale è morta... «Si possono anche affrontare, e approvare, solo alcune riforme secondo le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione. La modernizzazione del Paese è questione fondamentale degli Anni T uemila. Di questo processo, le riforme istituzionali sono una parte non secondaria: avere istituzioni rappresentative ed efficienti, rapporti equilibrati tra i diversi poteri dello Stato in sinergia tra i livelli territoriali, è un'esigenza molto diffusa. I partiti devono perciò dimostrarsi capaci di ritornare sul terreno delle riforme, riannodando i fui interrotti, e di condurlo in porto. Il "dopoBicamerale", insomma, deve essere una pausa, non una interruzione. Del resto, anche recentemente, il Capo dello Stato ha invitato le forze politiche a riprendere il confronto. Chissà...». Si dice che le riforme riguardino solo gli addetti ai problemi delle istituzioni Avverte anche lei questo «scollamento» fra il Paese e il Palazzo? «No, non è così. Anzi. Le nuove sfide della globalizzazione dei mercati e dell'economia senza frontiere fanno si che gli imprenditori, gli operatori finanziari, i rappresentanti del mondo del lavoro avvertano oggi molto più che in passato la necessità di un quadro istituzionale capace di garantire al sistema-Italia stabilità, rapidità, flessibilità e quindi adeguate possibilità di con correnza. La gente è più interessata di quanto spesso pensiamo: sa che un governo stabile può dare più certezze al Paese, e si batte per ottenere questo risultato. E si affida alle forze politiche perché approvino gli strumenti capaci di superare la debolezza del sistema proporzionale...quasi puro, un lusso della cosiddetta prima Repubblica». Oggi a Francoforte nasce la Banca Centrale Europea: a ri' forme bloccate, come vede l'ingresso dell'Italia nella mo neta unica? «L'entrata del nostro Paese nel gruppo dei primi ha segnato Un recupero di autorevolezza nel contesto europeo. E questo è stato possibile soprattutto per la disponibilità con cui gli italiani hanno assecon dato la politica di rigore e le mano vre economiche degli ultimi anni. Tuttavia, poiché non abbiamo risolto definitivamente i nodi connessi ai conti pubblici, resta il problema di tutti quei fattori che vedono l'Italia non ancora allineata con gli standards ottimali europei: la lentezza degli apparati pubblici; i tempi lunghi della giustizia; la mancanza di flessibilità; la permanenza di un sistema di controlli snesso solo formali; talvolta l'assenza di regole capaci di garantire l'effettiva concorrenza in settori strategici; infine, qualche residua tentazione verso improbabili sicurezze protezionistiche». La globalizzazione dei mercati riapre in molte società la questione del lavoro. Sviluppo e lavoro non sempre camminano insieme. In Italia c'è un'elevata domanda di lavoro e un alto tasso di disoccupazione. Che cosa pensa della situazione delle aree più arretrate, soprattutto nel Sud? «I livelli di disoccupazione delle aree meno sviluppate del nostro Paese, a cominciare dal Mezzogiorno, sono un peso insopportabile per l'economia integrata europea e possono rappresentare un rischio per la stessa tenuta della nostra democrazia. Ai deboli strumenti in atto occorrerà far seguire interventi, ad esempio, nel campo delle infrastrutture, della sicurezza, della tutela dell'ambiente. Ma bisogna anche individuare strumenti innovativi, flessibili, adeguati alle diverse realtà territoriali. In particolare, penso sarebbe opportuno realizzare una migliore e più organica concertazione istituzionale capace di rimuovere a monte ostacoli e difficoltà. In ogni caso, agli imprenditori e ai rappresentanti dei lavorato¬ ri, che hanno dato prova di senso di responsabilità, è richiesto, oggi, imo sforzo in più in tema di innovazione. Adeguare il mercato del lavoro alle nuove caratteristiche delle economie mondiali è una necessità per tutti». Di questi giorni, di fronte all'ipotesi di fallimento della verifica aperta da Prodi dopo il voto alla Camera sull'allargamento della Nato, lei passa come uno che frena... «Sì, freno perché reputo che le elezioni anticipate vadano contro gli interessi del Paese, soprattutto di una parte non secondaria del Paese». Quale? «Il Mezzogiorno. Condivido il ragionamento del ministro Ciampi, secondo cui senza risanamento e la forte riduzione dei tassi difficilmente si potrebbe parlare oggi di impegni per il Sud. L'impegno deve, però, rispondere a una strategia, come giustamente chiedono Bartinotti, D'alema, Marini, le forze sociali e produttive, Romiti. La ripresa delle attività produttive deve significare un salto di qualità della politica: come si può pensare a ipotesi di crisi e, al limite, a elezioni anticipate, senza avere dato risposte persuasive alla sacrosanta domanda di lavoro nel Mezzogiorno? Come vede, ho argomenti per frenare. Temo che l'Italia possa vedere dispersi anni ed anni di sacrifici. Tenga presente, poi, che la parte più avanzata del paese chiede che alla macchina amministrativa, statale e periferica, sia impressa una velocità pari a quella dell'economia reale: ma la riforma Bassanini, seppure disincagliata dagli scogli della Bicamerale, ha pure bisogno di un governo nella pienezza f dei lei suoi poteri e di un Parlamento che lo assecondi nel processo di allocazione dei ruoli e delle funzioni in testa alle autonomie territoriali e alle regioni». Nella maggioranza di centrosinistra si fa da più parti presente che Rifondazione non può sottrarsi a doveri di solidarietà. L'Albania, prima, e la Nato ora, hanno creato difficoltà al governo e l'opposizione ha chiesto le dimissioni di Prodi. Qual è la sua opinione su quest'ultima fase della vita politica italiana? «Il mio ruolo non mi consente di affrontare questioni che vanno poste sul terreno esclusivamente politico. Personalmente, mi limito a discutere temi generali: di fronte al Paese ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. So che la stragrande maggioranza degli italiani è contraria alle elezioni o a una crisi al buio che porti alle elezioni ed io mi limito a chiedere alle forze politiche atti responsabili. La Costituente riconosce ai Presidenti delle Camere il potere di esprimersi sulla governabilità delle assemblee. Ed io mi limito a riconoscere, ad alta voce, la sussistenza delle condizioni per andare avanti». Ma lei ha detto anche di essere contrario al rimpasto, o sbaglio? «Non ho mai parlato di rimpasto: sarebbe una imperdonabile indebita interferenza, una contraddizione rispetto ai doveri di imparzialità. Del resto, anche di recente il Capo dello Stato ha autorevolmente fatto osservare che in democrazia le crisi sono fisiologiche. E giù commenti su un suo proposito favorevole alla crisi di governo. Purché... non si esageri. Mi chiedo se in questo Paese si possa ancora esprimere un'opinione senza agganciarla all'attualità politica..!"Anche io, più madestamente, ho ritenuto e ritengo che in ogni sistema politico le crisi di governo danno senso alla democrazia. Non conosco democrazie parlamentari senza ricambi di governo. Ma questo rilievo non riguarda l'attualità politica. Nei giorni scorsi ho sostenuto che una crisi senza sbocchi sarebbe contraria agli interessi del Paese: ne resto convinto. Ma dopo averlo dichiarato, mi sono anche fermato: il resto è affidato alle forze politiche, maggioranza e opposizione». Anche di opposizione? «Sì, l'opposizione ha sempre svolto un ruolo sulla continuità di una legislatura. Non sarebbe vincolante rispetto a una maggioranza che non andasse d'accordo... ma avrebbe pur sempre un peso. Anche di persuasione, intendo dire». Perché recentemente lei ha richiamato l'attenzione del Senato sul numero eccessivo di Commissioni Bicamerali? «Perché è un problema, come altri, che ha riflessi immediati e diretti sulla funzionalità del Parlamento. La sovrapposizione degli impegni parlamentari, le difficoltà di lavoro delle Commissioni permanenti, le conseguenze sulla qualità della produzione legislativa non possono lasciare indifferenti. Le Camere, per assolvere la loro funzione, devono essere da un lato rapresentative, dall'altro efficienti». Come pensa di porre rimedio a questo problema? «Ho scritto ai presidenti dei gruppi parlamentari, rappresentando la difficoltà. La mia lunga esperienza parlamentare mi induce a ritenere difficile l'abrogazione di alcune commissioni, istituite, come sa, per legge. Un freno, dopo il rilievo, è però auspicabile». Lei è stato recentemente a Torino a visitare la Sindone. Cosa ha provato? «Da cattolico, quell'insieme di sentimenti e di impressioni che solo i grandi misteri danno. Registro che, nonostante tutto, in questo scorcio di millennio sembra esserci una rinnovata spinta verso i temi della spiritualità, a cui ha dato un grande contributo Giovanni Paolo U. Anche chi deve occuparsi dell'organizzazione della società civile non può dimenticare il costante richiamo del Pontefice, fra i primi molti anni fa, sulle conseguenze delle ideologie collettivistiche, da un lato, e sui rischi di un capitalismo selvaggio, dall'altro. Dopo la caduta dei regimi comunisti, l'opzione più convincente appare il modello di società solidarista, ispirata al rispetto dei diritti dell'uomo». Flavio Corazza

Persone citate: Bassanini, Ciampi, Flavio Corazza, Giovanni Paolo U., Mancino, Prodi, Romiti

Luoghi citati: Albania, Francoforte, Italia, Torino