Sei volti in tv: «liberate la Sgarella»

Sei volti in tv: «liberate la Sgarella» «Questo gesto contribuirà a rendere meno gravosa la nostra situazione processuale» Sei volti in tv: «liberate la Sgarella» Appello degli arrestati per il sequestro: «Ma siamo innocenti» MELANO. Composti davanti alle telecamere, come per ima foto di gruppo. Tre in piedi, tre seduti, parla solo Pino Anghelone, camionista e postino della banda che dall'I 1 dicembre scorso Ha in ostaggio in Aspromonte Alessandra Sgarella. «Noi sottoscritti...», inizia a leggere tenendo il foglio davanti a sè con due dita, un po' lontano dal viso, come uno presbite. Cinque mesi dopo il sequestro, quattro giorni dopo il blitz di Oppido Mamertina, in quelle 15 righe scritte in grande con un computer c'è l'ultima speranza per la famiglia Sgarella. «Facciamo appello affinché le persone che custodiscono la signora Sgarella la liberino immediatamente restituendola all'affetto dei suoi cari», legge d'un fiato Pino Anghelone, senza una pausa, senza mai guardare l'occhio della telecamera fissa davanti a sé. La voce è forse troppo bassa o forse è troppo tutto, per questo gruppo di contadini calabresi inchiodati da una montagna di intercettazioni telefoniche ma che continuano a dichiararsi innocenti. Come il vecchio Vincenzo Lumbaca, il patriarca con i capelli ancora tutti neri malgrado 168 anni, il primo nell'elenco dettato da una precisa gerarchia, adesso impettito nella giacca scura, che davanti al giudice Guido Salvini si era seduto e aveva detto solo: «Innocente, sono». £ allora bisogna ripetere l'appello una seconda volta, senza che nessuno si impazientisca, con le tende chiuse sullo sfondo e fuori campo il pubblico ministero Alberto Nobili seduto alla sua scrivania, l'altro magistrato Alfredo Robledo in piedi. E ancora il capo della Digos di Milano Lucio Carluccio, quello della Criminalpol Mazza e le scorte e la polizia penitenziaria con le manette pronte, le catene e gìi schiavettoni. «Noi sottoscritti Lumbaca Vincenzo classe 1930, Lumbaca Rocco, Anghelone Giuseppe, Lumbaca Francesco, Lumbaca Vincenzo classe 1958 e Russo Domenico, nonostante la protestata estraneità al sequestro della signora Alessandra Sgarella,facciamo appello...», ripete conio stesso tono monocorde Pino Anghelone, come tutti barba lunga da 4 giorni, camicia a rigoni rossi, bianchi e blu. «Questo gesto contribuirà a rendere meno gravosa la nostra situazione processuale», è l'ultima frase. Come se per queste accuse da trenta anni di galera, lo sconto per l'appello non finisca di essere poco più di un soffio. Tanto che Enzo Lumbaca, 40 anni, tuta blu, prima giocherella con la stanghetta degli occhiali poi si osserva le mani, se le rimira. Ha solo uno scatto, quando ad appello concluso le telecamere non smettono di filmare. Si agita sulla sedia, poi si para il viso con una mano aperta. Mentre sotto voce, ma in modo che lo sentano tutti, il vecchio Vincenzo Lumbaca sibila in calabrese stretto: «Amma a fare i pagliacci». E' quasi un ordine, l'annuncio della fine dell'esibizione. I giornalisti se ne vanno, la porta dell'ufficio di Alberto Nobili al sesto piano del palazzo di giustizia si chiude. Poi escono gli agenti della polizia penitenziaria, in mezzo a loro i detenuti di ritorno in carcere. Ecco Rocco Lumbaca con la tshirt blu, Domenico Russo in maniche di camicia beige a rigoni, Francesco Lumbaca con la polo blu aperta e lo sguardo fisso davanti. Poi tutti gli altri, in silenzio. Un giornalista chiede chi sia stato, a leggere l'appello. «Il nome non serve, è a nome di tutti», la risposta decisa di Pino Anghelone. Una scelta collettiva, insomma. Una scelta non facile, se è vero che le parole sono state calibrate una a una, soppesate con cura con i difensori, prima di essere pronunciate davanti alle telecamere. «Ma io non ne sapevo niente...», replica uno dei legali della famiglia Lumbaca, Michele D'Agostino. Segno di un parto difficile, di una divisione all'interno del gruppo. Da dove per altro era partita la proposta ai magistrati, sin dal momento dell'arresto. Magari forse solo, per far uscire quel messaggio chiarissimo pur nelle pieghe dell'appello. «Nonostante la protestata estraneità al sequestro della signora Sgarella...», legge Pino Anghelone, prima di chiedere la liberazione. Una frase che vuol dire molte cose: che gli imputati sono innocenti. Ma che - soprattutto - non hanno collaborato con le indagini. Se non, come ha fatto qualcuno, riconoscere la propria voce e negare di aver detto certe frasi. Non hanno collaborato ma sanno sicuramente chi sia «Peppe», il carceriere presente quel giorno all'incontro intercettato nel frantoio. E dove sia il «buco» nel campo su per l'Aspromonte, dove è rinchiusa Alessandra Sgarella. E allora la partita adesso è solo nelle mani di «Peppe». Sta a lui e agli altri del clan, un gruppo esiguo forse, decidere se aderire all'appello che arriva da Milano oppure continuare il sequestro e aspettare. Magari la «primavera dell'anno prossimo» come si dicevano nel frantoio, quando sognavano di incassare il riscatto, non liberare l'ostaggio e chiedere altri soldi. O magari aspettare solo l'allentamento delle battute di polizia e carabinieri che da tre giorni setacciano la montagna. Sempre che Alessandra Sgarella sia ancora nelle mani dei Lumbaca e non sia stata venduta a un altro clan. Spostata in un altro «buco», in attesa di riprendere le trattative, magari più in là. Tra qualche mese quando l'Aspromonte diventerà ancora più inaccessibile. Tranne che ai latitanti e ai sequestratori di Alessandra Sgarella. Fabio Potetti Hanno capito che gli inquirenti hanno in mano elementi forti Chiedono un aiuto nel tentativo di alleggerire la loro situazione Il gruppo era diviso sull'opportunità del messaggio Il patriarca alla fine della registrazione «Dobbiamo fare i pagliacci» «Ciccio» Lumbaca è il più duro ma anche il più compromesso Alla fine anche lui ha accettato di sottoscrivere la dichiarazione CHI GLI ARRESTATI Rocco lumbaca, 44 anni, detto la «liitorina», domiciliato a Genova, commerciante ambulante di frutta e verdura. Anche lui era nel frantoio Enzo Lumbaca, 40 anni; residente a Bollate (Milano), si \ occupa di intermediazioni. Dalle intercettazioni risulta la sua presenza nel frantoio Domenico Russo, détto «l'esaurito», residente a Oppido Mamertina. Secondò l'accusa fa parte della banda dei rapitori 1 Francesco Lumbaca, detto «Ciccio», 43 anni, abita a Oppido Mamertina. Telefonista della banda Domenica Curro, 36 anni, 4 figli, attualmente agli arresti domiciliari. Nella banda il suo sarebbe un ruolo marginale Un momento della lettura dell'appello ieri in procura a Milano

Luoghi citati: Bollate, Genova, Milano, Oppido Mamertina