Un nuovo strappo nella Città Proibita di Aldo Rizzo

Un nuovo strappo nella Città Proibita OSSERVATORIO Un nuovo strappo nella Città Proibita giornali cinesi di ieri non hanno dato alcim rilievo al grande, straordinario dibattito svoltosi il giorno prima, in diretta tv, tra Bill Clinton e Jiang Zemin. Quelli di oggi certamente non dicono che è stato rilasciato il dissidente Li Zhiying, o che Clinton ha chiesto la liberazione di altri detenuti politici, fra i quali va compreso in qualche misura l'ex premier Zhao Ziyang. La democratizzazione della Cina, se di questo si tratta, procede tra mille cautele e richiederà chissà quanto tempo. Ma ciò che è avvenuto sabato davanti a centinaia di milioni di telespettatori, anche cinesi, soprattutto cinesi, non può essere eliminato o ridimensionato più che tanto dalla reticenza dei giornali di regime. C'è stato comunque uno «strappo» e il merito va a Bill Clinton, per averlo sostanzialmente imposto ai leader di Pechino. Torna in niente un altro, straordinario viaggio di un presidente degli Stati Uniti. Quando Richard Nixon sbarcò in Cina, il 21 febbraio 1972, e la sua stretta di mano con Zhou Eidai, in attesa di Mao Zedong, fu ripresa in diretta dalle telecamere, si disse che era «il più grande spettacolo del mondo dopo l'arrivo dell'uomo sulla Luna». Infatti fu poco meno emozionante del piede di Neil Armstrong che toccava il suolo lunare, il 21 luglio 1969; per dire quanto grande fosse la novità politica, dopo anni di «rivoluzione culturale», come venne chiamata quell'ondata di sanguinoso furore maoista, che voleva contrapporre il comunismo cinese a ogni altra società del mondo, compresa quella sovietica. E a proposito di Unione Sovietica, clamoroso fu un altro viaggio, quello di Mikhail Gorbaciov nell'ormai mitico 1989. Quando il leader della «perestrojka» arrivò a Pechino, il 15 maggio, trovò la piazza Tienanmen occupata dagli studenti, che lo acclamavano come esempio di libertà per la Cina. Lui, Gorbaciov, voleva normalizzare i rapporti tra quelle che erano ancora le due potenze comuniste e non ebbe la volontà, il coraggio, o semplicemente la possibilità di lanciare ai giovani un segnale di solidarietà. Finì col massacro degli studenti, venti giorni dopo, I mentre il comunismo stava I per crollare in tutta l'Europa dell'Est, minando irrimediabilmente la stessa Urss. Quanto alla Cina, guidata da Deng Xiaoping, avrebbe proseguito una radicale riforma economica, ma senza implicazioni politiche (come si diceva in quegli anni, la «perestrojka», ma non la «glasnost»). Rispetto a questi due storici precedenti, il viaggio di Clinton, tenendo conto anche del tempo che è passato, rappresenta un indubbio salto di qualità. Se Nixon e il suo grande suggeritore Kissinger avevano in mente uno spericolato esercizio di Realpolitik, in chiave antisovietica, se Gorbaciov, a sua volta, pensava di alleggerire a Est oltre che a Ovest il contenzioso internazionale che gravava sull'Urss, Clinton ha ritenuto, non senza coraggio, di poter conciliare finalmente la politica degli interessi (politico-strategici ed economico-commerciali) con la politica dei princìpi. Naturalmente trovando per la prima volta una sponda, come si dice, nella dirigenza ultrapragmatica e solo residualmente e tatticamente ideologica del dopoDeng. Che questa sponda si definisca e si allarghi fino a diventare la controparte di un'«alleanza strategica», capace di assicurare stabilità e progresso a un'Asia in tumulto, tra fattori incrociati di sviluppo e di crisi economica, e nevrosi di potenza militare, è per ora una speranza. Oltre tutto, per grande e determinante che sia la presenza della Cina, non si può dimenticare il ruolo del Giappone, la cui cinquantennale amicizia con l'America non può certo essere sacrificata da Clinton nel quadro asiatico e mondiale. E infine bisogna vedere come evolverà realmente la prospettiva di una democrazia cinese. Comunque uno strappo c'è stato, in positivo, e Clinton ne porta il merito principale. Aldo Rizzo *oJ