Grandi Opere, ricominciamo dalle città

Grandi Opere, ricominciamo dalle città Ritardi burocratici e soldi negati, così solo un progetto ogni 20 vede la luce Gdi O iii dll ià Grandi Opere, ricominciamo dalle città ERCHE' in Italia le grandi opere pubbliche stentano a decollare, contrariamente a quanto avviene in Europa? In Inghilterra va in porto un progetto su tre, da noi la media è di uno su venti. Luciano Gallino, stanco di sentir parlare di grandi opere in un clima di paralisi decisionale e di incapacità realizzatrice, suggerisce provocatoriamente il silenzio stampa e radiotelevisivo su questo tema («Silenzio, qui non si lavora», La Stampa 26/6) fino a quando verrà inaugurata «una sola, nemmeno troppo grande, Grande Opera Pubblica». Dovremmo dunque tacere. Ma l'esperienza insegna che il silenzo e l'interessamento discontinuo dei mezzi di informazione hanno contribuito a far scivolare nel libro dei sogni opere indispensabili, urgenti, volute da tutti, mentre si finanziavano cattedrali nel deserto, porti e aeroporti inutili (Gioia Tauro vive dopo decenni e per usi ben diversi da quelli di progetto), pezzi di autostrade che finivano nel nulla (Irpinia) o in un cimitero (Liguria). Tra le grandi opere pubbliche rimaste sulla carta o in attesa di completamento sono quelle per la protezione di Firenze dalle piene dell'Arno e di Venezia dall'acqua alta, a 32 anni dal disastro (nel frattempo gli inglesi hanno ripulito il Tamigi e messo in ordine il bacino). Se ce ne fossimo occupati con maggiore insistenza, mobilitando l'opinione pubblica e costringendo i politici ad avvertire la gravità del problema, forse oggi Firenze e il bacino dell'Arno sarebbero al sicuro. Quanto alle dighe mobili che dovrebbero sbarrare gli ingressi della Laguna di Venezia nel caso di acqua alta l'indecisione è dovuta ai contrasti di vedute tra scienziati e tecnici, mentre si rinvia scandalosamente persino il progetto (esistente da anni e non troppo costoso) di spostamento del canale petroli. Perché in Italia si stenta tanto a trovare i finanziamenti per opere già approvate che avrebbero il consenso generale, per opere ritenute da tutti indispensabili, mentre fiumi di denaro pubblico vanno a «operette» di dubbia utilità? Se in un anno si spendono più di 30 mila miliardi per lavori pubblici, come mai non si trovano i quattrini per le reti di metrò progettate da decenni (Torino zero, Genova poco più di 2 km dopo il gran clamore delle Colombiane), per i tronchi autostradali e ferroviari fuori discussione? Se ne parla troppo? Ma nei Paesi europei citati da Gallino le grandi opere pubbliche non vengono affatto realizzate nel silenzio. In Inghilterra, dove la galleria sotto la Manica fu discussa piuttosto a lungo (e lo è tuttora) ogni piano e progetto di interesse pubblico deve avere larga pubblicità preventiva per favorire la partecipazione dei cittadini. A Barcellona fu ottenuto il largo consenso della popolazione informando, facendo mostre dei progetti, modificandoli via via, stimolando la discussione prima e non a cose fatte. In Francia il Code de l'Urbanisme fa obbligo di udienze pubbliche nel caso di progetti di ferrovie, strade, porti ecc., con affissione di manifesti e pubblicazione su quotidiani a diffusione nazionale. Caso parigino recente: la Biblioteca Nazionale è stata preceduta e seguita da accesi dibattiti (il progetto è stato parzialmente modificato). Più del silenzio avremmo bisogno di informazioni chiare e documentate sui grandi progetti. Avremmo anche bisogno di una maggiore attenzione per problemi delle grandi città ver so cui dirottare risorse male impiegate altrove. Gallino cita tra i successi francesi il Nuovo Louvre: negli anni delle «Grandi Opere» mitterrandiane Parigi ebbe dallo Stato una quantità di denaro dieci volte superiore a quella del decantato progetto «Roma capitale». Se un'altra città europea avesse gli Uffizi, il progetto «Grandi Uffizi» non tarderebbe tanto. Infine, non trascuriamo la litigiosità croni ca che si aggiunge agli intralci burocratici: se i lavori per la ricostruzione della «Fenice» eb bero mesi fa una battuta d'ar resto non lo dobbiamo a diatri be sul come intervenire, ma ; scontri di appalti. Per cambiare qualcosa parliamone di più, con apertura al confronto delle idee sulla base di documentazioni certe e convincenti, non di sole opinioni o di soli pregiudizi, si tratti del Ponte sullo Stretto di Messina o delle opere per il Giubileo. Mario Fazio ministro dei Lavori Pubblici Costa

Persone citate: Gallino, Luciano Gallino, Mario Fazio