Il Texas con il cappuccio

Il Texas con il cappuccio La manifestazione a poche settimane dall'omicidio di un nero trascinato da un furgone Il Texas con il cappuccio Alla marcia dei razzisti del Kit KluxKlan JASPER DAL NOSTRO INVIATO Se questa è l'AmeriKKXa, allora è uno spettacolo, patetico e orchestrato, che va in onda a mezzogiorno in punto, annunciato dai rintocchi del campanile di Jasper, Texas. In quel momento, come la coreografia prevede, dai camerini del municipio, gentilmente concessi da un'amministrazione pubblica a un'organizzazione razzista, escono venti persone incappucciate reggendo la bandiera confederata che sventolava sui campi insanguinati dalla guerra civile. C'è stata una grande attesa, prima di questo piccolo show organizzato nella città dove un uomo di colore è stato ucciso trascinando il suo corpo legato a un furgone. I negozianti hanno appeso alle vetrine un cartello con scritto «Sono andato a pesca» e si sono avviati verso i laghi. I residenti si sono barricati nell'ombra delle case assediate dall'afa. I poliziotti hanno transennato le strade che conducono al palazzo di giustizia, dove era prevista la manifestazione. Gli elicotteri si sono sollevati per controllare la situazione dall'alto. Poi la strada principale di Jasper comincia lentamente a riempirsi. Arrivano per primi i gruppi anti-razzisti. Curiosamente, li formano ragazzi con le facce da skinhead e slogan più truci di quelli opposti («Il solo razzista buono è un razzista morto»). Portano magliette con scritte come «Uccidi il nazi» o «Un tempo ero un americano bianco, poi, in nome dell'umanità, mi sono dimesso». Si accendono le telecamere delle decine di televisioni di tutto il mondo raccolte intorno a un fazzoletto di prato e ciascuno comincia la sua parte. Trecento poliziotti fanno gli straordinari per controllare tutte le vie di accesso. Gli unici a tenerli occupati sono i quaranta rappresentanti del «Nuovo partito delle pantere nere». Hanno annunciato la loro presenza in armi (la legge del Texas consente di andarsene in giro col fucile carico, purché con la sicura inserita) per «vigilare sull'incolumità della comunità afroamericana di Jasper». Non hanno ricevuto 0 permesso di avvicinarsi al centro del paese. Per due volte cercano di forzare il blocco della polizia, invano. I loro leader, ingioiellati e infilati in completi di sartoria dai bottoni scintillanti, si fanno una passeggiata stizzita, inseguiti dai microfoni, poi ritornano alla base. Nel ghetto, anche co- me manifestanti. I neri sono tuttavia in maggioranza, sulla piazza. Molti portano magliette con la scritta: «Gesù mi ama, ne sono certo». Due settimane fa, proprio qui, hanno pianto pubblicamente la morte di James Byrd. Ora assisteranno all'ipocrita manifestazione con cui il Ku Klux Klan prende le distanze dall'evento. Una donna nera di nome Martha, incinta al settimo mese, dice: «Non so se questo sia il posto giusto per far nascere mio figlio, non avrei davvero pensato di allevarlo in una città dove può accadere che la porta del municipio si apra e ne escano dei bianchi incappucciati che vengono qui a gettarci in faccia il loro odio». E' proprio quello che succede, invece. Il sindaco fa da portiere, i poliziotti da scorta, apre le danze un agente di colore, per sapiente intervento del casting. E poi, ale: carnevale. Escono gli incappucciati: venti in tutto. Sai bianchi e neri con tanti più gradi nella manica quanto più alto è il posto nella buffa scala gerarchica che prevede draghi, titani e maghi. Bandiere e disposizione coreografica. Unico a volto semi-scoperto, il gran capo Darrel Flinn, che porta però un paio di Ray-ban scuri. Non meno riconoscibile, la moglie, i cui capelli biondi escono dal cappuccio mentre si aggira scattando foto ricordo. Martha li guarda e commenta: «Già non accetto di essere insultata, perché poi da qualcuno che non ha il coraggio di farsi vedere in faccia mentre lo fa?». In realtà dicono parole blande. Hanno ottenuto libertà di parola per ribadire che vogliono libertà di parola. Il cappuccio si gonfia e sgonfia mentre parlano al microfono, sull'erba, davanti al gazebo e all'aiuola ben curata dai giardinieri comunali. Nella pausa, parte dagli altoparlanti una musica country e il pubblico di colore protesta, profondamente offeso dal banjo. E' una scampagnata d'inizio estate, dove tutti giocano a fare una parte più grande di quella per cui sono taghati. L'AmeriKKKa, quella vera, non è in questa piazza a micro-onde. Gli uomini mascherati che ci stanno cuocendo dentro sono soltanto una minoranza ru¬ morosa e controllabile. L'AmeriKKKa vera è andata a pesca, ma tornerà lunedì, riprendendo possesso di una città dove i neri non hanno un solo impiego decente, non possiedono un solo negozio, non contano niente. L'AmeriKKKa non si mette neppure il cappuccio, ti guarda in faccia, sorride, cita la Bibbia, dice di volere pace e uguaglianza e poi le regola a modo suo. E' questo Stato del Texas, dove l'unico ad aver evitato in extremis l'iniezione letale per intervento del (futuro presidente?) George Bush jr. è un serial killer confesso, di pelle bianca. E' questo ragazzo di Jasper, uno dei tre in prigione per l'omicidio, che non ha mai fatto un commento razzista in vita sua, la sera prima aveva comprato l'anello di fidanzamento e la sera dopo, per festeggiare le imminenti nozze, ha legato un nero al paraurti e l'ha trascinato come un barattolo. Gabriele Romagnoli A Jasper, quarantaPantere nere venuteper protestaretengono occupatitrecento poliziotti Giovani dei gruppi anti-razzisti esibiscono truci magliette con scritto «Uccidi il nazi» Un momento della manifestazione di ieri del Ku Klux Klan a Jasper, dove fu ucciso il nero James Byrd Nella foto piccola, John William King, uno dei tre giovani assassini

Persone citate: Flinn, Gabriele Romagnoli, George Bush, Gesù, James Byrd, John William King

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