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IL SOGNO INCOMPIUTO DI ISRAELE INCHIESTA IL SOGNO INCOMPIUTO DI ISRAELE CGERUSALEMME I sono momenti in cui Doron Rosenblum, commentatore del quotidiano Ha'aretz e critico caparbio dello Stato ebraico, ha la molesta impressione di vivere non già in Israele reale, ma in una metafora cui vien dato il nome di Israele. Una metafora dove non sono previsti contrasti, risse. Un'utopia armonica, che inghiotte l'individuo senza dargli libertà di scelta e trasformando il suo mondo in grumo, in spazio divinamente eletto dunque chiuso, i cui abitanti non sono cittadini ma fedeli, adepti, legati reciprocamente da complicità primordiali. Il grumo può divenire imprigionante, e non a caso l'ultimo libro di Rosenblum si apre con una parafrasi di Kafka: «Un mattino, il cittadino K. si svegliò dal sonno, e scoprì che viveva nella marmellata». Marmellata è il senso di appartenenza a un collettivo, che Israele vuol suscitare. E' il diritto del sangue, che prevale sul diritto del suolo. Marmellata è la fraternità familista che si sostituisce alla società cittadina, è la parentela che non si sceglie ma si riceve in eredità: è il Noi ebraico, che accomuna, protegge, e separa dal mondo esterno. E' contro questa «marmellata appicci cosa» che Rosenblum prote sta. «La sola parola Noi mi fa star male - dice nel caffè del teatro di Tel Aviv, dove lo incontro - qui si sprofonda nella melassa del Noi, e solo in apparenza il vocabolo è mobilitante, responsabilizzante. Non lo è più invece, da molto tempo. Da molto tempo Israele ha perso la capacità di resistere, di mobilitarsi, che aveva ai tempi del sionismo». La nazione è immobilizzata da angosce, che non sa analizzare né governare. Non è per mobilitarsi che ha votato Netanyahu nel '96, ma per nascondere la testa nella sabbia e sdraiarsi. Altri in Israele mi parlano di questa paradossale smobilitazione, che regna dopo l'assassinio di Rabin e la sconfìtta elettorale di Peres. Barbara Spinelli CONTINUA A PAG. 9 PRIMA COLONNA