I caduti del business a ogni costo

I caduti del business a ogni costo «Legalità nel lavoro? Sulle Alpi Apuane l'unica regola che conta è scavare sempre di più» I caduti del business a ogni costo Nelle cave di marmo superlavoro e niente regole CARRARA DAL NOSTRO INVIATO Ricorda Enrico Nori che una volta, anni fa, un industriale del marmo, all'una di notte, lo salutò dicendo: «Vado in cava...». A far cosa? «Ad ascoltare la montagna». La signora Fiorella ci racconta che anche quell'ultima domenica, qui a pranzo, in famiglia, sotto questo pergolato di vigna verde mossa dal vento, suo marito disse che aveva ascoltato la montagna e aveva visto che «s'era aperta di trenta centimetri...». Due giorni dopo dopo, martedì, Francesco Bragazzi, 27 anni, era morto, una sagoma sanguinante, povera poltiglia umana, spiaccicata da trecento tonnellate di marmo insieme al suo compagno Marco Pisanelli, 31 anni. Gli ultimi due cavatori caduti in questo selvaggio Middle West d'Italia. Si muore a Carrara e si morirà, nelle cave. Il dottor Mario Fontanili, che di Bragazzi era il medico e che ora lo ricorda come il «più sensibile», prevede presto una «grossa tragedia». Non è l'avventurosa profezia di un catastrofista, ma il semplice esercizio delle ragione. Sono state tutte previste le ultime sciagure: quella con vittime a Bettogli di Bragazzi e Pisanelli, quelle senza vittime delle sei frane vomitate dalle Apuane giù per queste cave che - fortunatamente, casualmente - non hanno ammazzato nessuno. Renzo Gemignani, capo del soccorso alpino toscano, alpinista e guida sulle Apuane, l'uomo che meglio conosce le creste e le crepe e ne prevede i fremiti, dice che non rimane tanto tempo, «ci vuole un periodo di bonifica». Se si continua a scavare con questo ritmo «o il monte viene giù sui cavatori, o bisogna tagliare le vette». E' come - dice - se a No tre-Dame fossero stati abbattuti gli archi rampanti: prima o poi viene giù tutto. Più prima che poi. E' una tappa molto particolare nella via crucis italiana degli infortuni sul lavoro, questa di Carrara, Alpi Apuane, cave di marmo, estasi e tormento di mi chelangiolesca retorica. Qui c'è il mondo dei cavatori che una volta sapevano «ascoltare» la montagna. C'è il business osses sivo dello scava-scava. C'è l'intreccio di omertosa complicità tra lavoratori e imprenditori C'è un'eredità feudale di imo sfruttamento senza regole della montagna, la decennale convi venza tra politici, sindacalisti e impresari. C'è un altro pezzo d'Italia dove la legalità sul lavo ro è una variabile più che indipendente: ci si infortuna e si muore, di lavoro. Su un migliaio di lavoratori, negli ultimi tre anni si sono avuti 644 infortuni (cifre Inail), di cui 72 gravi (con prognosi superiore ai trenta giorni). Otto morti nel '97; per ora «solo» due quest'anno. Spe riamo. All'una, ora di pranzo, alla trattoria «dalla loia», ai Ponti di Vara, c'è l'assemblea dei Cobas, cavatori anarchici: 348 iscritti, «coordinati» («da noi, né segre tari, né capi») da Giovanni Pe drazzi, «Pedro», sindacalista poeta («Tutto è silenzio là sul la vor / questo è il rispetto del ca vator / la lotta è ancora dura / ma a noi non fa paura»). C'è l'in gegnere Maura Pellegri, respon sabile della sicurezza sul lavoro per la Usi, che non va giù per il sottile, basta con l'omertà: «Non riusciamo mai a sapere che cosa succede in una cava, a volte ce lo vengono a dire quelli delle cave vicine». Una cinquantina di uomini ascoltano in silenzio e non dicono una parola. La signorina, occhiali da sole e gesti nervosi, insiste: «Con i nuovi metodi di lavoro, non basta più la cultura del cavatore». Pausa. «E poi, molti di voi, non hanno nemmeno quella cultura perché lavorano qui da un anno appena». C'è il sindaco Lucio Segnanini, pds, appena insediato e appena insignito di tutti i poteri sulle cave da una legge regionale, che non si preoccupa di fare uno sgarbo alla Cgil venendo all'assemblea del buon Pedro, eretico del sindacato («Dove c'è un cavatore, io vado», dice il sindaco). Prima uscita ufficiale del Segnanini per annunciare una vera rivoluzione: agli imprenditori che non metteranno in sicurezza gli impianti sarà revocata la concessione. Ovvio, viene da dire. Non qui a Carrara. E' il Comune il proprietario di mia montagna da cui generazioni di una quindicina di ricche famiglie e una giungla di cooperative e aziendine in subaffitto hanno cavato «oro» pagando canoni di miseria e giocando sulla pelle dei cavatori. «Si doveva fare da secoli», ammette il Segnanini. Gli chie¬ diamo perché non sia stato fatto. Risponde il sindaco: «Per mancanza di cultura. Forse». Diplomatico, il primo cittadino. Meno attento alle suscettibilità carrarine, un intellettuale come Enrico Nori, che di capitalismo se ne intende avendo passato una vita alla Fondazione Agnelli, compilatore «fantasma» dei discorsi del gotha Fiat, dice che nemmeno ai coloni del Far West è stato possibile arricchirsi senza leggi come hanno potuto fare gli imprenditori carrarini. Con un paradosso: «Il capitalismo più selvaggio, nella città più rossa d'Italia». E un mistero: «Qui aumentano in progressione parallela miliardari e disoccu¬ pati». Ventimila senza lavoro, tra Massa e Carrara, cifre da profondo Sud in questo comprensorio toscano desertificato come un day after dell'industria chimica: chi ricorda l'esplosione della Farmoplant e della sua nube tossica che trasformò la piana in ima piccola «Bhopal» italiana? Sarà per questo che tutto ciò che è illegale, qui sembra possibile. «Oltre il ponte di ferro (nelle cave, ndr) non esiste legge», si dice a Carrara. I cavatori, al momento dell'assunzione, firmano anche una lettera di licenziamento sulla quale in bianco c'è solo la data. Si lavora dall'alba al tramonto: stipendio minimo contrattuale (un milione e 7800 mila al mese) in regola; straordinari (altri 2-3 milioni) in nero. Come in nero è anche buona parte della produzione: chi dice il 50 per cento, chi l'80. Qui nessuno sa quanto marmo venga estratto ogni anno: si dice 6 milioni e mezzo di tonnellate, sei volte di più di dieci anni fa. Né regole di natura, né regole di fisco. Ma c'è qualcuno che controlla cosa diavolo succede qui a Carrara? In questo feroce panorama tutto si tiene e i poveri morti delle cave non sono altro che un marginale corollario. Stupisce, semmai, che non siano di più. Il dottor Enrico Ligeri, che fu medico della Usi e da quel ruolo allontanato da misteriose pressioni, ricorda però che tra il '90 e il '95 riuscì ad imporre protocolli di sicurezza e i morti non furono più di uno all'anno. Ligeri accusa la «nuova» tecnologia di taglio, il filo diamantato che in 40 minuti ora sega un blocco che al vecchio filo elicoidale d'acciaio chiedeva un giorno e mezzo di lavoro. E non è solo una questione di tempi, di produzione e di occupazione: «La montagna si ribella: col filo elicoidale si arrivava fino a un certo punto, con quello diamantato si scava di tutto e di più. Non c'è "verso" e non c'è "contro" del monte che resista». E della stabilità chissenefrega. Fabrizio Giorgi, 31 anni, «sassaiolo», qui sul piazzale di Fantiscritti, sotto il monte Serrone dove qualche mese fa s'è staccata - di notte - una frana da un milione di tonnellate ed è scivolata su una cava dove - di giorno - lavorano sessanta operai, ci spiega cosa sta succedendo alle Apuane con un esempio: «Ha presente il gioco dello stecco che i bambini fanno sulla spiaggia? Si fa una montagna di sabbia e sulla punta si mette uno stecco del gelato. Poi ognuno, a turno, toglie una mano di sabbia. Perde chi toghe l'ultima mano, quella che fa cadere lo stecco». Il 28 aprile scorso, sotto lo stecco, ci sono rimasti Bragazzi e Pisanelli, totale quattro orfani, dai 5 anni in giù. Su ai Bettogli cavavano marmo «statuario», il più prezioso (2 milioni a tonnellata), in un punto dove la Usi aveva proibito il lavoro, perché la montagna aveva «parlato». Fabrizio Giorgi ci racconta che alla mensa di Fantiscritti da giorni e giorni si diceva che lì stava per crollare qualcosa. Bragazzi e Pisanelli ci sono andati lo stesso, perché erano i più «ubbidienti», perché tra i cavatori sempre si trova qualcuno che va, perché a volte il capo ti mette mezzo milione in mano e dice: «Vai». Fiorella Bragazzi ci racconta che qualche giorno fa l'ha chiamata il ragioniere della cava per offrirle 5 mihoni di «solidarietà». E lei? «No grazie, gli ho detto». E' difficile, qui, anche per quell'omertà di cui parlava l'ingegner Pellegri. Fiorella ci dice che nemmeno gli amici più cari di Francesco hanno detto qualcosa e se l'incontrano per strada, ora, la salutano appena: «Hanno le lettere di licenziamento già firmate e i mutui da pagare. Ma io, il mio mutuo, ce l'ho al cimitero». Chi ascolta più la montagna? Cesare Martinetti Su un migliaio di lavoratori negli ultimi tre anni si sono avuti 644 incidenti e una decina di morti Il sindaco pds: concessioni revocate a chi non rispetta la sicurezza. Ma c'è chi osserva: nella città più rossa vince il capitalismo più selvaggio MORIRE DI LAVORO 2 Sn6Iacv

Luoghi citati: Carrara, Italia, Massa