«Baraldini, l'Italia non dà garanzie» di Maurizio Molinari

«Baraldini, l'Italia non dà garanzie» «Deve stare in cella sino a fine pena, in caso di rimpatrio temiamo le sia concessa la semilibertà» «Baraldini, l'Italia non dà garanzie» Ecco le risposte Usa al governo ROMA. Il caso di Silvia Baraldini è stato al centro di numerosi incontri nelle ultime settimane fra alti funzionari del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che hanno affrontato la richiesta di trasferimento in Italia più volte sollevata dal governo Prodi. «C'è una divergenza - rivela una fonte ufficiale del Dipartimento di Giustizia - sul tipo di detenzione della Baraldini in Italia dopo l'eventuale trasferimento». «Il fatto che il governo italiano non sia stato in grado di fornirci assicurazioni sufficienti che sconterebbe un periodo adeguato di detenzione completa è fondamentale» ha scritto Mark Richard, vice ministro della Giustizia Usa, al Consiglio Europeo, spiegando che «alcuni funzionari italiani hanno affermato che la detenuta sarebbe stata sottoposta a detenzione completa solo per un breve periodo, due anni al massimo». E' stato questo uno dei principali temi affrontati nella riunione del comitato direttivo sui problemi della criminalità del Consiglio d'Europa, incaricato di verificare l'applicazione al casoBaraldini della Convenzione di Strasburgo sui trasferimenti di detenuti. La riunione del foro di giuristi si è conclusa con un documento di cinque pagine che riafferma la «discrezionalità» delle parti nell'applicazione dell'accordo, ovvero che la Conven¬ zione non può essere strumento di pressione sugli Usa ma solo il mezzo per concordare le procedure del trasferimento accordato. «Per ottenere questo via libera l'Italia esercita forti pressioni a ogni livello - afferma la fonte ufficiale - forse convinta che trasformando la Baraldini in un caso-politico aumentano le possibilità di trasferimento. Ma tali pressioni potrebbero avere l'effetto opposto». Per Washington infatti la Baraldini «non è un caso politico ma giudiziario». «Siamo di fronte a una donna - spiega la fonte americana - condannata a 43 anni perché riconosciuta per due volte colpevole del reato di cospirazione con il gruppo The Family/), le cui attività sono così descritte nel testo dell'ultimo rifiuto del «Parole Board» allo sconto di pena: «Terrorismo politico organizzato che ricorre agli omicidi come tattica di azione sistematica e deliberata». Il dossier sulla Baraldini è lapidario: complice nella rapina a mano armata a Nanuet nel 1980 in cui rimasero uccisi una guardia e due poliziotti e in un'altra a Danbury; complice nel 1979 nell'evasione della terrorista Joanne Chesimard, ora esule a Cuba; addestrata all'uso di armi da combattimento; segretaria nazionale del «Movimento 19 maggio», responsabile di attentati e rapine; coinvolta nelle attività terroristiche delle Forze armate di liberazione nazionale portoricane. «Nel nostro Paese - commenta la fonte ufficiale - il reato di cospirazione contro io Stato è fra i più gravi in assoluto. E' inconcepibile che in Italia gli assassini di Aldo Moro siano in libertà. Il killer di Bob Kennedy non uscirà mai di prigione». La differenza di cultura giuridica fra Italia e Stati Uniti è «uno dei motivi di fondo» della difficoltà di una composizione. Ma un punto di convergenza c'è: le ipotesi sul periodo dì detenzione in Italia considerate dal Consiglio d'Europa si avvicinano mol- to alla scadenza del 2008 fissata negli Usa. «C'è convergenza sulla durata della detenzione ma non sulla sua natura» ribadisce l'alto funzionario, lasciando trasparire il timore di «semi-libertà, libertà condizionata o permessi di lavoro». «Questo non è accettabile perché commuterebbe la sentenza americana», taglia corto la fonte, ammettendo comunque «la difficoltà dell'Italia di impegnarsi a nome di un suo tribunale sovrano». «Un'altra strada - aggiunge - è nelle mani della Baraldini che, pur esprimendo dispiacere per le vittime, non ha mai collaborato alle indagini, mai rinnegato la cospirazione. Se il pentimento ci fosse prima del prossimo pronunciamento del Parole Board nel '99 i tempi di detenzione potrebbero accorciarsi». Come dire: la Baraldini potrebbe aiutarsi da sola. L'ultima premura della giustizia americana è quella di confermare le buone condizioni di salute della detenuta nel carcere di Danbury: «Malata di cancro nell'88 terminò con successo il trattamento nel 1990 ed è guarita del tutto nel 1995». Maurizio Molinari Fonti del Dipartimento di Giustizia «Le pressioni per farne un caso politico rischiano di ritardare la soluzione» A destra, Silvia Baraldini, condannata negli Usa a 43 anni di reclusione. A sinistra, il ministro della Giustizia americano, Janet Reno