Il telefonino l'ultima arma dei boss

Il telefonino l'ultima arma dei boss Raffica di arresti tra Palermo e Catania: sempre più donne alla guida di cosche Il telefonino l'ultima arma dei boss Dal carcere commissionavano i delitti al clan CATANIA. I mafiosi davano ordini dal cai-cere servendosi di donneboss, bambini e telefonini: disposizioni su come gestire i propri patrimoni, ma anche su chi uccidere e come farlo, in barba a! «41 bis». Chi pensava che la mafia fosse in ginocchio dovrà ricredersi. La doppia operazione antimafia che ieri ha portato in carcere 80 persone tra Catania, Palermo, Roma e Monza, ha messo in evidenza la vitalità di Cosa nostra che, per dirla con le parole del sostituto della procura palermitana Alfonso Sabella, «ha una grandissima possibilità di adattamento: più spazio lo Stato lascia a Cosa nostra, più loro riescono a riempirlo». L'inchiesta, un anno di lavoro di polizia, carabinieri e delle procure di Palermo e Catania, centinaia di intercettazioni ambientali e telefoniche, riprese filmate con teleobiettivi, riscrive la storia recente della mafia a partire dai primi Anni 90, quando i corleonesi decisero la stagione delle stragi con l'opposizione di Nitto Santapaola. Alleanze che si disfacevano e si ricomponevano. Gli uomini di Totò Riina e V'ito Vitale che si alleano con il catanese Santo Mazzei, con la missione di ripulire il campo dagli uomini di Santapaola; Bernardo Provenzano che preferisce mantenere l'alleanza con «Zu Nittu». L'ala dura di Cosa nostra contro quella moderata, con una spaccatura sull'asse Palermo-Catania. Quando nel '92 Riina voleva uccidere l'ex presidente della Regione, Rino Nicolosi, Santapaola disse di no perché non voleva troppa attenzione delle forze dell'ordine su Catania. E Riina decise che era venuto il momento di cambiare il ca- po all'ombra dell'Etna. L'inchiesta ricostruisce una serie di omicidi, sei, avvenuti tra gli uomini di Mazzei e di Santapaola. Ci sono intercettazioni che ricostruiscono i delitti e le riunioni degli uomim di Mazzei in un'impresa di trasporti del quartiere di Zia Lisa, una delle aziende poste sotto sequestro, con beni per 500 miliardi. Il sostituto procuratore di Catania Nicolò Marino si spinge a dire che «bisogna rileggere anche l'omicidio della moglie di Santapaola non solo come una vendetta da parte del boss Ferone». E sono le donne l'altra sorpresa del blitz. Ne sono state arrestate quattro. Tra loro la sorella del boss Vitale e la moglie di Mazzei. Per gli investigatori della squadra mobile di Palermo Giusi Vitale è il «consiglieri» del fratello: ne copriva la latitanza, faceva da portaordini, gli procurava le amanti, ma dava anche consigli e imponeva il reclutamento di persone di sua fiducia. Il giorno dell'arresto di Vitale fu alla testa dei famigliari che tentarono di rompere il cordone di polizia. In manette anche Maria Rita Santamaria, maestra elementare di Partinico, una delle amanti del boss, dal quale ha avuto un figlio lo scorso anno. Rosa Morace Mazzei, invece, è accusata di aver portato fuori dal carcere gli ordini del marito, ma anche di aver gestito i rapporti con i palermitani. Per parlare con i suoi, Mazzei, sottoposto al regime del «41 bis», poteva usufruire anche di un telefonino Gsm con scheda prepagata. Durante un processo provò dalla gabbia a ordinare un omicidio, ma i suoi gesti non furono capiti. Poche ore dopo, dal carcere, impartì lo stesso ordine al telefonino. La polizia stava intercettando l'interlocutore e la voce del boss fu riconosciuta dal questore di Palermo Antonio Manganelli. Ma Vitale si è servito anche del figlio di 10 anni per portare oltre le sbarre i suoi ordini. Gli investigato¬ ri sanno che tutto questo è avvenuto con la complicità di talpe, ancora non identificate. Il sostituto Marino riapre il dibattito sul carcere duro e rincara la dose: «I benpensanti che hanno criticato la nuova legge sulle videoconferenze devono ricredersi; la legge va applicata obbligatoriamente in occasione dei dibattimenti con imputati di mafia». Da Roma, intanto, il presidente della Camera, Luciano Violante, dice che «il 41 bis o è una cosa seria, o è inutile farlo. Si raggiungono grandi risultati nel terreno dell'azione concertata fra procure e forze dell'ordine, ma abbiamo grossi problemi nella gestione dei risultati». E il ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, si augura «che la serietà di quest'impegno di lotta non venga messa in ombra pei» faziosità o per strumentalismo nei momenti in cui registriamo difficoltà». Nell'inchiesta c'è anche un capitolo dedicato alle intercettazioni, con cui i carabinieri hanno sentito ordini in codice per uccidere avversari e persino ascoltato «in diretta» omicidi, cercando anche di sventarne qualcuno. E poi le armi. Massimiliano Vinciguerra, braccio destro di Mazzei, al telefono parla con mi uomo di Vitale e annuncia: «I meloni sono già partiti». C'è voluto un pentito, Agatino Marino, per spiegare che quei «meloni» erano esplosivo. Infine le riprese, in cui si vede un gruppo esercitarsi con i fucili in un podere di Adrano e un altro nascondere in un'auto una partita di droga. Altro che mafia in ginocchio. Fabio Albanese li procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli chiede che, con nuove norme, si torni ad applicare il regime di carcere duro