XIAN

XIAN Riportate alla luce, le statue dello straordinario esercito di terracotta perdono i colori. Al difficile restauro collaborano in Cina tecnici italiani XIAN l'agonia dei guerrieri /■y XIAN I ! TJANDO Michele Cordare, | | direttore dell'Istituto Cen1 I trale Italiano del Restauro, Y I visitò il famoso esercito di V guerrieri di terracotta ai margini di Xian, ebbe un'esperienza sconvolgente: i suoi colleghi cinesi lo prelevarono direttamente da quel sito archeologico per condurlo in una fabbrica moderna dove stavano impastando copie moderne dei soldati di guardia alla tomba dell'Imperatore. Era un po' come se i responsabili artistici italiani conducessero un visitatore straniero in un impianto alle porte di Firenze, dove si fabbricano calchi del David di Michelangelo. Ma le imitazioni cinesi erano estremamente accurate, essendo ricavate, con l'autorizzazione del governo, dai calchi delle statue originali e tutte venate di piccole macchie e imperfezioni di fango, come se fossero state appena dissotterrate. «Gran parte dei guerrieri che hanno fatto il giro dei musei occidentali sono dei falsi», sostiene Cordaro. «Anche se siamo noi a definirli falsi, giacché loro hanno un senso diverso del valore dell'originale e della copia». Per Cordaro, l'incontro con questa cultura della riproduzione non aveva soltanto un interesse accademico. Era infatti andato a Xian, su richiesta del governo cinese, per mettere in piedi un moderno laboratorio e una scuola di conservazione dei beni artistici. Ma si-convinse-subito che l'atteggiamento con il quale lui e i suoi colleghi italiani dovevano confrontarsi era radicalmente diverso. «I cinesi, come i giapponesi e altre nazioni asiatiche, hanno una tradizione di conservazione basata sulla riproduzione e la ricostruzione», commentò Cordaro. Un tale sistema aveva un suo senso preciso in Cina, dove, ancora in epoca recente, praticamente tutto - palazzi, templi, case - era costruito in legno. Dai tempi delle piramidi d'Egitto, gli occidentali hanno creato monumenti di pietra nella speranza che durassero per sempre. Per i cinesi questa è un'illusione vana, giacché nulla di materiale può sperare in una vita eterna. Paradossalmente, lavorare con materiali deperibili può anzi consentire una miglior strategia di conservazione, in quanto le parti che marciscono vengono semplicemente sostituite di volta in volta; proprio come nel corpo umano, che resta pur sempre «il nostro», le cellule si sostituiscono in continuazione. Questa differenza di atteggiamento crea problemi complessi. Secondo Cordaro, «noi abbiamo un approccio interdisciplinare alla conservazione. In esso il lavoro dell'archeologo, dello storico dell'arte, del conservatore e dello scienziato si integrano. I cinesi invece, dopo aver scoperto in questi ultimi decenni la "conservazione scientifica", tendono a separare archeologia e conservazione, spedendo in giro oggetti da conservare come un me- dico può spedire un campione di sangue a un laboratorio di analisi». Tutto ciò può avere conseguenze negative per la conservazione, com'è avvenuto per i guerrieri di terracotta di Lintong, il suburbio di Xian dove è stata scoperta la prima tomba imperiale. Ciascuna statua era in origine dipinta a colori vivaci; ma quando i cinesi le hanno portate in superficie la pittura si è staccata, rimanendo attaccata al terreno umido. Un problema che, secondo Cordaro, si sarebbe potuto risolvere, anche se con grosse difficoltà e forti spese. Pur comprendendo il problema, i cinesi non hanno né la tecnologia né i fondi per simili operazioni e, al tempo stesso, rifiutano con decisione ogni forma di aiuto. Una parte dell'accordo iniziale per la nascita di un centro di conservazione italo-cinese prevedeva la possibilità di poter partecipare alle operazioni di scavo e di conservazione dei guerrieri di terracotta; ma a questo riguardo, come in altri casi, gli italiani si sono trovati di fronte a un muro. Commenta tristemente Cordaro: «I cinesi non consentiranno mai a un occidentale di lavorare a Lintong». La tomba del primo imperatore è un simbolo importante di unità nazionale e cedere anche solo parzialmente il controllo degli scavi sarebbe un duro colpo per l'orgoglio nazionale. In un certo senso, l'esperimento italo-cinese in questo settore riflette in piccolo il grande dilemma della Cina. Le autorità cinesi sono felici di avere attrezzature, tecnologie e fondi italiani; ma aspirano a mantenere il pieno controllo del progetto. Nonostante tutto, Cordaro considera questo esperimento un grosso successo. In due anni, il centro è riuscito a conservare il contenuto di uno straordinario piccolo museo: bronzi della dinastia Zhou, con bellissimi manici lavorati a mano in forma di animali; vasi neolitici in ceramica con eleganti disegni geometrici; divinità dall'aria minacciosa che un tempo vegliavano su una tomba regale; due guerrieri di terracotta in miniatura, uno dei quali ancora interamente coperto di fango e non restaurato e l'altro invece quasi perfetto, coi colori vivaci quasi fosse stato appena dipinto. Nel 1995 venne firmato un accordo tra italiani e cinesi per la nascita del centro di conservazione e di restauro dei reperti culturali a Xian. Gli italiani offrirono più di quattro miliardi di lire in attrezzature di alta tecnologia e uno staff di istruttori; mentre i cinesi misero a disposizione uffici, personale e ventitré studenti da specializzare nello studio dell'approccio occidentale alla conservazione dei beni artistici. Xian sembrava il luogo ideale per questo centro, essendo stata la capitale della Cina antica, sia pure con alterne vicende, dai tempi del primo imperatore nel 221 a.C. fino al crollo della dinastia Tang nel 907 dopo Cristo. E così, quando Cordaro è tornato in Cina questa primavera, ho deciso di accompagnarlo. Come altre città cinesi, Xian si presenta come un immenso cantiere. La linea dell'orizzonte è solcata da gru altissime e dai giganteschi gusci di cemento dei nuovi grattacieli, mentre squadre di operai abbattono sistematicamente tutto quanto è rimasto delle vecchie case a cortile d'un solo piano. Con l'economia cinese che cresce a un ritmo annuale di quasi il dieci per cento - cinque volte più in fretta di quella di quasi tutte le nazioni occidentali - la distruzione creativa del capitalismo agisce in Cina a ritmi frenetici, con squadre di operai che demoliscono e costruiscono anche di notte, ventiquattr'ore al giorno. L'aria di Xian, come di quasi tutte le zone urbane, è terribilmente inquinata, appesantita e offuscata dall'odore dolciastro della polvere di carbone bruciato. Il cielo appare sempre coperto, come una cappa di piombo. Pur avendo rivaleggiato un tempo con Roma e Costantinopoli per bellezza e importanza, la città offre ormai pochissime tracce di antico. A parte alcuni templi e alcune pagode pesantemente ristrutturati, l'unico monumento architettonico autentico è costituito dalle mura medioevali della città, che risalgono al quindicesimo secolo, allorché la dinastia Ming spostò la capitale a Pechino, riducendo Xian al ruolo di una capitale di provincia. «Il sistema della conservazione basato sulla copia o la ricostruzione funziona bene finché le antiche tradizioni artigiane restano intatte», mi spiegò Cordaro. «Il guaio è che tali tradizioni sono scomparse in Cina come in molti altri Paesi. Adesso sostituiscono il legno con la calce e il cemento». Con la rivoluzione repubblicana del 1911, la Cina ha cominciato ad affidarsi sempre più massicciamente alle tecniche di costruzione dell'Occidente industriale. Una tendenza accentuatasi con la Rivoluzione Comunista del 1949, per la quale quasi tutta l'arte imperiale era soltanto l'inutile bagaglio di una società feudale da distruggere ed eliminare. Solamente a Pechino, nel corso della Rivoluzione Culturale dei tardi Ami Sessanta, le Guardie Rosse hanno distrutto circa 4992 dei 6843 siti ufficiali di interesse storico e culturale, bruciando templi, abbattendo statue e distruggendo tombe imperiali. A un certo punto, ci provarono persino con la Città Proibita. Ma fortunatamente il primo ministro Chou En Lai pose un limite alla follia di Mao, piazzando un numero imponente di militari dell'Armata Rossa di fronte all'antico palazzo imperiale. Quando chiesi di parlare con gli archeologi e i curatori del museo di Xian su problemi relativi alla conservazione dei beni artistici, l'interprete cinese assunse un'aria atterrita: «Non lo faccia! Da queste parti, questi sono problemi politici assai delicati. Aspetti finché siamo a Luoyang». Situata a circa 250 miglia a Est di Xian, Luoyang è un'altra antica capitale cinese, la cui storia risale a circa il 2100 avanti Cristo. Qualche anno fa, Luoyang entrò in competi¬ zione con Xian come possibile sede del centro di conservazione italocinese, ma perse la gara. E adesso che tutto fa pensare che gli italiani debbano lasciare Xian (giacché l'accordo di cooperazione non è stato per il momento rinnovato), le autorità locali culturali scorgono nella situazione la possibilità di ottenere dagli italiani qualche aiuto per i loro monumenti. Luoyang è il luogo ove si trovano le Grotte di Longmen, uno dei più importanti siti artistici buddisti del mondo. Il direttore delle grotte era il capo della nostra delegazione ed era accompagnato da uno dei principali archeologi di Luoyang. Il mattino seguente al nostro arrivo, ci portarono a visitare le Grotte. Un'intera parete di roccia, lunga circa un chilometro e alta circa trenta metri sulle rive del Fiume Giallo, era stata scavata con 2345 nicchie e grotte contenenti circa 100 mila immagini di Buddha. Da lontano, il complesso, scavato in calcare color miele, ha l'aspetto di un alveare di roccia. Scolpite tra il 483 e il 1000 dopo Cristo, quelle decine di migliaia di ùnmagini di Buddha variano in dimensioni. Le più piccole sono appena di pochi centimetri, la più grande è alta come un edificio di dieci piani. Circa un milione di persone si recano ogni anno a visitare le grotie buddiste di Longmen, che costituiscono ormai il terzo sito turistico più popolare dopo la Città Proibita di Pechino e l'Esercito di Terracotta di Xian. Visto che le imponenti fabbriche di Luoyang, costruite ai tempi di Stalin negli Anni 50, licenziano mi numero sempre crescente di operai nel tentativo di competere con la nuova economia di mercato, i funzionari e gli amministratori di Luoyang vedono nel turismo la possibilità di dare vita a una nuova economia di servizio che prenda il posto della morente industria manifatturiera. Il giorno dopo i nostri ospiti ci condussero a visitare il Museo delle Tombe: il sito dove la città ha deciso di esporre la maggior parte dei più importanti reperti archeologici scoperti di recente. Dopo aver faticosamente smantellato una ventina di tombe antiche, le hanno rimontate all'interno del museo. Ma anziché piazzarle in superficie in un ambiente a temperatura e umidità controllate, le hanno ricostruite sottoterra, sistemandole in fila lungo un umido corridoio, per ricreare l'atmosfera originale delle tombe. Un'idea curiosa e ricca di fantasia, forse, che però sul piano della conservazione si è rivelata un disastro. Le tombe sono piccole, lunghe tra i tre e i quattro metri e larghe meno di due, e si saturano dunque di umidità come una sauna, con le pareti affrescate che stil¬ lano letteralmente acqua. In simili condizioni, far entrare i visitatori nelle tombe le danneggia pesantemente. L'apertura e la chiusura delle porte cambia la percentuale di umidità, causando la contrazione e la dilatazione delle parti affrescate. Inoltre, siccome le tombe non hanno un'illuminazione artificiale, si visitano gli affreschi a lume di candela, la cui fiamma tremolante lascia intravedere figure sbiadite di un mondo ormai svanito: antichi imperatori che guidano cocchi; un corteo di animali chimerici; quadri astronomici di stelle e costellazioni; draghi intenti a copulare; feroci guardiani delle tombe che tengono lontani o scacciano gli spiriti maligni; ritratti di mogli e mariti; la figura a trompe l'oeil di una donna che occhieggia da una finestrella finta. Confrontando le immagini con le feto, si può vedere che nei cmque anni di apertura del museo la tinta è già sbiadita in maniera drammatica. Il risultato è che la maggior parte delle tombe sono state chiuse al pubblico, rinnegando quindi nella sostanza l'intento originale del museo. L'archeologo cinese che aveva dissotterrato quasi tutte le tombe era talmente cosciente della gravità della situazione, da ammettere di avere tenuto i pezzi di un'altra tomba intera chiusi in mia serie di casse: dopo aver visto il deterioramento delle altre tombe, non se l'era sentita di ricostruire pure quella sottoterra. Cordaro gli chiese se potevamo vederne qualche frammento. «Ve li farò vedere, se promettete di non arrabbiarvi con me» rispose l'archeologo, con una punta di umorismo. Gli operai del museo estrassero parecchi cassoni da un magazzino, aprendone poi alcuni con una barra di l'erro. Dentro c'erano centinaia di frammenti con affreschi dalle tinte delicate: toni di rosso, di bianco e di nero che avevano conservato la propria brillantezza. «Sono perfetti», disse Cordaro, notando lo stupefacente contrasto con i colori sbiaditi delle tombe ricostruite. Il colore originale di queste ultime era altrettanto forte; il che, in parole povere, voleva dire che in meno di dieci anni metà della tinta se n'era andata. L'archeologia cinese è ancora in uno stato d'infanzia, più o meno com'era l'egittologia verso la metà dell'Ottocento. Ma ci attendono scoperte ben maggiori. Cercare di creare un ritratto della Cina oggi ò come fotografare una pallottola in movimento: ciò che oggi si tenta di descrivere sarà senz'altro diverso tra cinque o dieci anni. Ciò che è scomparso non può più tornare; ma chissà quanti immensi frammenti del passato sepolto della Cina - magari intere città e corti imperiali di terracotta - emergeranno prima o poi dal sottosuolo. Alexander Stille / cinesi non hanno né la tecnologia né i fondi per proteggere il loro patrimonio artistico ma rifiutano i possibili aiuti Anche nell'antica città di Luoyang ci sono capolavori da salvare: gli affreschi di età imperiale svaniscono per l'umidità Magli occidentali non possono partecipare alle operazioni di scavo: le tombe degli imperatori sono un simbolo dell'unità nazionale XIAN XIAN chele Cordare, l'Istituto Ceno del Restauro, oso esercito di terracotta ai be un'esperienuoi colleghi cichi delle statue nate di piccole zioni di fango, ate appena disrte dei guerrieri ro dei musei oc falsi», sostiene siamo noi a de loro hanno un alore dell'origi». Per Cordaro, ta cultura della veva soltanto un co. Era infatti ichiesta del gomettere in piedi orio e una scuo dei beni artistisubito che l'atquale lui e i suoi vevano confronnte diverso. giapponesi e alhe, hanno una rvazione basata e la ricostruziodaro. Un tale sio senso preciso ora in epoca ree tutto - palazzi, struito in legno. ramidi d'Egitto, no creato monula speranza che pre. Per i cinesi ne vana, giacché può sperare in aradossalmente, eriali deperibili re una miglior servazione, in che marciscono mente sostituite roprio come nel esta pur sempre le si sostituiscoe. za di atteggiami complessi. Senoi abbiamo un sciplinare alla sso il lavoro delstorico dell'arte, dello scienziato esi invece, dopo questi ultimi deazione scientifiarare archeologia l'agdeiMaglalle osono dico può spedire un campione di sangue a un laboratorio di analisi». Tutto ciò può avere conseguenze negative per la conservazione, com'è avvenuto per i guerrieri di terracotta di Lintong, il suburbio di Xian dove è stata scoperta la prima tomba imperiale. Ciascuna statua era in origine dipinta a colori vivaci; ma quando i cinesi le hanno portate in superficie la pittura si è staccata, rimanendo attaccata al terreno umido. Un problema che, secondo Cordaro, si sarebbe potuto risolvere, anche se con grosse difficoltà e forti spese. Pur comprendendo il problema, i cinesi non hanno né la tecnologia né i fondi per simili operazioni e, al tempo stesso, rifiutano con decisione ogni forma di aiuto. Una parte dell'accordo iniziale per la nascita di un centro di conservazione italo-cinese prevedeva la possibilità di poter partecipare alle operazioni di scavo e di conservazione dei guerrieri di terracotta; ma a questo riguardo, come in altri casi, gli italiani si sono trovati di fronte a un muro. Commenta tristemente Cordaro: «I cinesi non consentiranno mai a un occidentale di lavorare a Lintong». La tomba del primo imperatore è un simbolo importante di unità nazionale e cedere anche solo parzialmente il controllo degli scavi sarebbe un duro colpo per l'orgoglio nazionale. In un certo senso, l'esperimento italo-cinese in questo settore riflette in piccolo il grande dilemma della Cina. Le autorità cinesi sono felici di avere attrezzature, tecnologie e fondi italiani; ma aspirano a mantenere il pieno controllo del progetto. Nonostante tutto, Cordaro considera questo esperimento un grosso successo. In d i il t è riit E così quando Cordaro è tornato di opestruiscquattrcome dè terribtita e stro dciato. to, comPur po conbellezzormai A partgode l'unicoautentmediono al qla dinaPechinuna ca«Il basatofunziodizionmi spitali trCina Adessocalce eCondel 19affidate allel'Occiddenzazione quale era suna sed elimSoladella RMao