QUI NON SI LAVORA di Luciano Gallino
QUI NON SI LAVORA QUI NON SI LAVORA che spezzano bottiglie di spumante, perfino i dirigenti che ci illustreranno per filo e per segno quante giornate di lavoro, tonnellate di calcestruzzo, chilometri di cavi sono stati impiegati per completare quell'opera. Un'opera che in quel preciso momento comincerà a funzionare, ad essere utilizzata, a diventare un elemento ordinario del panorama. Ma fino al gaudioso istante dell'inaugurazione, non vorremmo davvero più sentirne parlare. Non vorremmo più leggere, né vedere, né ascoltare nessuno che ci parli dei tunnel sotto le montagne lunghi 50 o 60 chilometri che dovrebbero consentire di far merenda a Lione e cena a Milano. Di aeroporti come la Malpensa che dovrebbero far concorrenza sui voli intercontinentali a Londra Parigi e Francoforte, ma intanto smistano un volume di passeggeri quindici volte minore e per arrivarci richiedono all'automobilista di avere un navigatore specializzato a bordo. In attesa delle trombe dell'inaugurazione, cali altresì il silenzio mediatico sulle dighe mobili per salvare Venezia dalle inondazioni; sul sottopasso di Castel Sant'Angelo; sul raddoppio - o forse il quadruplicamento? - delle corsie autostradali e dei binari tra Firenze e Bologna; sulle metropolitane di Torino e di Napoli; sui treni ad alta velocità che per ora macinano carte bollate invece che chilometri. E, naturalmente, sul trentennale progetto del ponte, manco a dirlo previsto come il più lungo, il più alto, il più ardito del mondo, che dovrebbe collegare Sicilia e Calabria. Nel silenzio che così circonderebbe le Grandi Opere Pubbliche, si potrebbe intanto cercar di capire perché in Europa tutti le fanno, mentre l'Italia proprio non ci riesce. Spagnoli, francesi, britannici, tedeschi, olandesi, costruiscono in pochi anni centinaia di "chilometri di metropolitane, erigono dighe lunghe come autostrade, scavano tunnel ferroviari sotto i mari, raddoppiano musei immensi come il Louvre, ridisegnano a fondo città sterminate come Berlino. Noi, in quarant'anni, riusciamo sì e no a collegare Roma a Fiumicino con una linea ferroviaria che esisteva già nell'anteguerra. Vorremmo semplicemente capire perché. Dopo la petizione, ecco dunque la proposta, più seria di quanto non sembri: istituire subito una scuola superiore da ospitare naturalmente in un apposito edificio grande almeno come il Pentagono, roba da un paio d'anni di lavoro - entro la quale ingegneri e architetti, dirigenti della PA e consulenti organizzativi, imprenditori e ministri studino a fondo, fino a conseguire almeno un dottorato di ricerca, le ragioni per cui «grande opera» è sinonimo in Italia di paralisi decisionale e incapacità realizzatrice. Luciano Gallino
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