Croce, il silenzio che brucia

Croce, il silenzio che brucia dietro le quinte. Perché il filosofo tacque sulle leggi razziali? Polemiche per la questione sollevata da Andreotti Croce, il silenzio che brucia // caso divide l'intellighenzia ebraica I t anni del Shaìom e direttore UCIANO Tas, per trenanima mensile ora del giornale ebraico on-line Igaion, commenta non senza un pizzico di malinconia le polemiche suscitate da Giulio Andreotti a proposito del «silenzio» di Benedetto Croce sulle leggi razziali del '38: «In Italia non si può mai parlare senza esser sospettato di dire questo o quello per convenienza politica o per appartenenza a uno schieramento predeterminato. Anche se si dicono cose giuste». Il commento di Tas esprime tutto lo sconcerto di un intellettuale da tanto tempo impegnato nella battaglia militante delle idee di fronte a una commedia degli equivoci che, a proposito del comportamento seguito da molti italiani illustri davanti ai soprusi contro gli ebrei durante il fascismo, sta generando come in un frullatore impazzito singolari inversioni di ruoli: con quelli che solitamente vengono accusati di essere smemorati che in questa occasione indossano i panni degli arcigni custodi della memoria e quelli che invece tengono accesa la fiammella del ricordo relegati nel ruolo ingrato di minimizzatori a oltranza di un passato imbarazzante. Effettivamente era sembrato che il notorio motto da sempre fatto proprio da Andreotti - «a pensar male si fa peccato ma ci s'azzecca sempre» - in questo caso avrebbe potuto ritorcersi contro il suo profeta. Andreotti ha infatti usato espressioni molto dure nel suo articolo sul New Yorker e pubblicato in Italia dal Borghese dedicato agli illustri senatori che in un terribile giorno del dicembre '38 lasciarono che a Palazzo Madama passasse la vergogna di una legge che avrebbe discriminato gli ebrei. «Tutti erano vitalizi e non potevano essere revocati», ricordava Andreotti: in fondo Croce già nel 1929 «aveva parlato e votato in Senato contro i Patti Lateranensi». Invece dall'urna del Senato uscirono 154 palline bianche e 10 nere: «Immagino che nel piccolo drappello di contro vi fosse Luigi Einaudi. Ma nemmeno lui fece sentire la sua voce». E gli altri? «Croce era assente. Enrico De Nicola, primo capo di Stato repubblicano, pure. E così i direttori dei grandi giornali Albertini, Frassati e Bergamini». A pensar male... A pensar male, non è che Andreotti ha scritto il suo articolo per mettere la sordina sulle responsabilità del Papa e della gerarchia cattolica troppo tiepidamente ostili verso le persecuzioni antiebraiche? La commedia degli equivoci che sta creando disappunto in chi, avversario da sempre del mondo andreottiano, nondimeno recrimina perché un argomento così forte contro i silenzi della cultura liberale non sia stato usato prima e maneggiato in modi politicamente meno «compromettenti», la commedia degli equivoci dunque nasce proprio quando un «crociano» di ferro come Gennaro Sasso, inter¬ pellato da Repubblica dà voce al sospetto che Andreotti abbia tirato fuori la questione prò domo sua. Sasso infatti, si dice negli ambienti più sensibili a questo genere di temi, usa due argomenti delicatissimi in difesa di Croce. Il primo: «Se Croce fosse andato in Senato e si fosse pronunciato contro le norme razziali sarebbe finito in galera». Il secondo: ((Andreotti dovrebbe sapere la differenza tra uno Stato democratico e uno totalitario». E non si tratta forse dei due classici argomenti di chi sostiene da sempre, a giustificazione della passività di fronte alla persecuzione antiebraica, la difficoltà di prendere una posizione netta in una dittatura? L'uscita di Sasso sembra finire qui. Ma quando, sollecitato da una nuova lettera di Andreotti e da al¬ cuni rilievi critici apparsi sul Giornale di Ruggero Guarini, Sasso ritorna sul tema sempre sulle colonne di Repubblica, la sortita numero due lascia qualche traccia di malumore. SuR'Unità esce un articolo di Bruno Gravagnuolo in cui, pagato l'obolo dell'invettiva anti-andreottiana, si scrive che (din interrogativo sul comportamento di Croce è lecito»: «Se Croce avesse tentato di fare un gesto coraggioso contro il razzismo la sua grandezza sarebbe stata ai nostri ocelli più alta e più simpatica». Ma nello stesso giorno in cui sul Corriere della Sera Leo Valiani prende le difese di Croce, sulle colonne di Repubblica Furio Colombo prende una posizione radicalmente contraria a quella di Sasso («è inevitabile la domanda proposta da Andreotti» e soprattut¬ to si ricorda come il vicepresidente del Parlamento bulgaro, Dimitar Peshev, riuscì in «una dittatura legata a Hitler» a non far approvare leggi antisemite che riteneva «disgustose». Colombo, insomma, fa saltare la logica degli schieramenti deplorata da Luciano Tas: come dire che su un tema così scabroso il sospetto di eventuali strumentalizzazioni passa decisamente in secondo piano. E la discussione si apre sul merito delle questioni poste da Andreotti. Una posizione è quella di cui si fa portavoce ad esempio da giornalista e scrittore Vittorio Dan Segre, già docente di Scienze Politiche all'Università di Haifa e di Stanford e ora direttore di Studi mediterranei presso l'Università di Lugano, il quale sostiene: «Giacché il coraggio, come è scritto nel Buon soldato Schweik, è un dono di Dio, è molto difficile, e sicuramente ingiusto, chiederlo a chi non l'ha e di conseguenza fare il processo dopo tanti anni a intellettuali che avevano davanti l'esempio del comportamento vigliacco della dinastia e le rea¬ zioni non particolarmente possenti delle gararchie della Chiesa». E poi, aggiunge Dan Segre, «è giusto che la ricerca storica ricordi anche quanti italiani, pur in presenza di comportamenti tutt'altro che ammirevoli della dirigenza italiana e di intellettuali che non si dettero il coraggio che Dio non aveva donato loro, ebbero invece il coraggio di rischiare la vita per aiutare gli ebrei». Ma Luciano Tas, «crociano di formazione e cultura», non può che sottoscrivere la constatazione dell'«indifferenza non solo degli intellettuali ma di gran parte del popolo italiano e addirittura di parte dell'opposizione antifascista nei confronti delle leggi razziali, come se non si rendessero conto di essere di fronte a una delle pagine più nere della storia italiana». E se a dirlo è Andreotti (che pure, sostiene 3bs, «rriinimizza l'atteggiamento blando della Chiesa»), perché accettare la logica dello schieramento pregiudiziale? Pierluigi Battista // comportamento di molti italiani illustri davanti ai soprusi contro gli ebrei sta generando singolari inversioni di ruoli Chi di solito è accusato di «dimenticare» si fa custode della memoria, chi è abituato a ricordare ora tende a minimizzare t deShdigieb Qui accanto Giulio Andreotti il leader De ha ricordato il comportamento reticente di Croce e di altri intellettuali dell'epoca sulle leggi razziali A destra Furio Colombo che ha invitato ad affrontrare la questione senza pregiudizi In alto Benedetto Croce

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