« Pechino non è un nemico»

« Pechino non è un nemico» L'EX SEGRETARIO DI STATO « Pechino non è un nemico» Kissinger, stavolta appoggio il Presidente ON riesco a ricordare una sola occasione in cui un Presidente americano sia partito per una visita all'estero tra simili polemiche. La destra del partito repubblicano e la sinistra di quello democratico osteggiano il viaggio in Cina di Clinton. Ho spesso criticato la politica estera di Clinton, ma stavolta il Presidente merita unanime appoggio. Troppi repubblicani hanno sostituito l'ex Urss con la Cina, e cercano di trattarla con i metodi che accelerarono il collasso dell'impero sovietico. Troppi democratici agiscono come se l'obiettivo principale fosse la replica delle no stre istituzioni e principi in Cina, anche a detrimento dei nostri molti altri interessi in gioco in Asia. E' nostro interesse che la Cina diventi un membro responsabile della comunità intemazionale, teso alla stabilità e al progresso regionale e globale. E' chiaro che ciò non dipenderà solo dall' America. Ma pensare che la politica Usa non possa influenzare l'evoluzione politica cinese, o che la Cina sia destinata a essere ostile agli Stati Uniti, può portare a una disastrosa profezia che realizza se stessa. Davvero vogliamo trasformare il più popoloso Paese del mondo, e la seconda economia, in un nemico, nel momento in cui il Giappone è economicamente in crisi, l'Asia meridionale entra nell'era nucleare, l'Indonesia è in disordine, l'evoluzione russa è incerta, la situazione nel Golfo Persico non risolta e i Balcani sull'orlo della guerra? La Cina sta cercando di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti nel suo stesso interesse, per sostenere le riforme economiche. Per raggiungere questo obiettivo è stata pronta a modificare la propria politica in molti campi. Progressi considerevoli sono stati compiuti nei diritti umani dalla morte di Mao in poi. Gli abusi continuano: è più probabile che diminuiscano con il confronto generalizzato o con l'ulteriore integrazione della Cina nella comunità internazionale? E' importante comprendere la differenza tra la vecchia Unione Sovietica e la Cina di oggi. L'Urss professava un'ideologia fondamentalmente ostile ai nostri valori, propagandola attivamente in tutto il mondo e ap- poggiando i partiti comunisti rivoluzionari per minare la coesione nazionale di governi amici degli Stati Uniti. Mosca aveva migliaia di missili e decine di migliaia di testate nucleari capaci di raggiungere gli Stati Uniti. E la sua politica estera sfidava direttamente gli interessi americani, anche con la forza. Niente di questo è vero per la Cina. Anche se Pechino dipinge la sua ideologia come comunista, essa non somiglia in nulla alla politica stalinista di Mosca. L'economia in Cina è sempre più orientata al mercato, Pechino sta compiendo titanici sforzi per liberarsi delle imprese statali e, per le riforme, è vitale il legame con l'economia mondiale. La Cina non appoggia alcun movimento politico ostile agli interessi americani e, con l'eccezione di Taiwan, non minaccia l'ordine mondiale esistente. Si dice che 13 missili cinesi siano puntati contro città americane. Ma si può davvero credere che la Cina affronti con 13 vecchi missili le 2000 armi strategiche americane con 15 nula testate, senza parlare di quelle basate su navi e aerei? La condotta della Cina nella crisi asiatica ha dimostrato il suo interesse alla stabilità economica e politica della regione. Ha resistito alle pressioni per svalutare la sua moneta, ha mantenuto la promessa di non sdiacciare le manifestazioni politiche a Hong Kong e ha condiviso l'obiettivo americano di mantenere la stabilità nella penisola coreana. La Cina ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare e alle Convenzioni per il bando dei test, delle anni biologiche e chimiche. Ha dato qualche aiuto nucleare al Pakistan, cosa che non possiamo condonare. Ma il suo scopo era stabilire un qualche equilibrio nel subcontmente indiano, dopo che l'India aveva effettuato test nucleari nel 1974. Questa politica forse poco saggia non si può paragonare all'assistenza diretta americana alla Gran Bretagna, all'aiuto indiretto alla Francia e all'acquiescenza nei confronti del programma nucleare di Israele. Bisogna dare una chance alla cooperazione, e la visita del Presidente dovrebbe essere guidata dai seguenti principi: 1) Usa e la Cina sono due grandi potenze che cercano di risolvere le differenze e di rafforzare gli obiettivi comuni. 2) Deve essere data priorità a favorire la moderazione nelle regioni turbolente dell'Asia. Usa e Cina seguono già politiche ampiamente conver¬ genti nella penisola coreana. Esse dovrebbero essere rafforzate sincronizzando le reazioni agli incidenti, agli atti irrazionali (offensive militari) o ai rivolgimenti politici. Quanto al subcontmente indiano, Usa e Cina dovrebbero tentare di far aderire New Delhi e Karachi a un regime di non proliferazione che Washington e Pechino già praticano. E utilizzare la loro influenza per raffreddare le tensioni tra i due Paesi. 3) Le due parti dovrebbero intensificare gli sforzi per prevenire la diffusione delle armi nucleari e della tecnologia missilistica. La Cina ha già accettato di interrompere la cooperazione nucleare e missilistica con l'Iran. Ho ragione di credere che sia possibile convincere Pechino a muo- vere passi ulteriori, in particolare verso lo sviluppo di accordi bilaterali per controlli più severi sullo esportazioni di materiale nucleare, chimico e biologico. 4) Gli sforzi dei due Paesi per raffreddare la crisi economica in Asia dovrebbero essere il più possibile coordinati. La prosperità e la cooperazione della Cina sono essenziali alla ripresa asiatica. Se l'economia dell'Asia resta stagnante o, peggio, se recede, l'economia globale rischierà ima recessione mondiale. Andrebbero dissipati i sospetti di Pechino secondo cui l'America si oppone alla svalutazione cinese, mentre tollera, o addirittura incoraggia, quella del Giappone, minando le esportazioni di Cina e Corea. Da parte sua la Cina deve fare molto di più per creare un mercato aperto e libero, e deve prendere misure efficaci per ridurre il suo crescente attivo commerciale con l'America. 5) La Cina deve riconoscere che le pressioni per i diritti umani non costituiscono una forma di molestia, ma riflettono i più profondi valori americani. Nessuna Amministrazione che ignori questa realtà può mantenere il sostegno dell'opinione pubblica. Il Presidènte parla per tutti gli americani quando, con il dovuto rispetto per l'orgoglio nazionale di un'antica civiltà, riafferma questi timori. 6) Per la Cina, Taiwan è la questione più sensibile. Non può essere messa da parte, e una discussione realistica è essenziale. Per Pechino, Taiwan non è un Paese straniero, ma una provincia secessionista. Sei Presidenti Usa, di entrambi i partiti, hanno affermato l'unità della Cina e rifiutato la soluzione Cina-Taiwan. Gli Usa hanno quindi un'impheito obbligo di opporsi all'indipendenza di Taiwan. Henry Kissinger Copyright «Los Angeles Times Syndicate» e per l'Italia «La Stampa» «Troppi repubblicani hanno sostituito l'impero sovietico con la Cina» «E troppi democratici vorrebbero soltanto riprodurre i principi e le istituzioni Usa in quel Paese» «Mosca praticava una politica a noi ostile nel mondo. I cinesi non fanno nulla di paragonabile»

Persone citate: Clinton, Henry Kissinger, Kissinger, Mao