«Liberatelo, non è un assassino in fuga»

«Liberatelo, non è un assassino in fuga» Monza: gli sono state riconosciute le attenuanti morali. Lui: ho obbedito a un desiderio del mio amore «Liberatelo, non è un assassino in fuga» Il giudice scarcera l'uomo che ha staccato il respiratore alla moglie MONZA DAL NOSTRO INVIATO «Posso andare al funerale di Elena?», chiede che è un sussurro Ezio Forzatti, adesso che è quasi libero, che anche i magistrati e il giudice hanno capito che non è un assassino, che amava Elena e se l'ha uccisa lo ha fatto solo per non farla soffrire, per strapparla alle tenebre del coma dove lei era finita. «Posso andarci?», chiede quasi il permesso, adesso che il verbale è finito e non c'è più nulla da sapere da questo ingegnere di 49 anni, una vita tranquilla, un amore sereno finito per quella malattia che non lasciava speranza, ma solo un incubo di tubicini e di maschere ad ossigeno. Quelle che lui ha strappato domenica mattina, reparto Rianimazione del Nuovo San Gerardo di Monza, dopo averla abbracciata forte per esserle vicino anche in quel momento. Alle 15 e 15, nascosto in un cellulare blu dei carabinieri, sotto a un sole a picco il detenuto Ezio Forzatti lascia il carcere di Monza. «E' Ubero», ha appena detto il giudice Patrizia Gallucci, che ha firmato la scarcerazione dicendo no anche a quell'unica richiesta dei magistrati, che volevano togliergli il passaporto. «Tanto non scappa da nessuna parte, non è un assassino in fuga», lo dice convinta il giudice Gallucci. Che per novanta minuti ha ascoltato il racconto di un uomo innamorato, talmente innamorato da decidere di ani- mazzare la moglie per evitarle inutili sofferenze, la devastazione di quella malattia, piastrinopenia autoimmunitaria, che in dodici giorni l'ha strappata alla vita e portata al coma. «Ci ho pensato un pomeriggio, ci ho pensato tutta la notte senza parlare con nessuno», fa mettere a verbale Ezio Forzatti. «Era una promessa. Me l'aveva anche detto, una volta: "Piuttosto, dammi il veleno per i topi..."», racconta di quando la malattia era lontana, la sofferenza era sul volto di sua madre morta di cancro due anni fa o in qualche inchiesta alla televisione. Quando si parlava di eutana¬ sia e loro due, come promessa d'amore, nel loro appartamento al secondo piano di questa villetta nascosta tra gli alberi e i gas di scarico a un passo dal carcere per un caso della vita, si erano detti che sarebbero stati più forti. Anche della morte. «Ma io non sono un assassino», ci tiene a spiegare Ezio Forzatti, ancora sotto il bombardamento dei titoli dei giornali, dei cameramen che fanno la posta davanti al carcere, ma non insiste. «Anche i soldati che sono in guerra e ammazzano, non vengono chiamati assassini...», dice lui. Che la guerra con la sua coscienza l'ha fatta per un giorno e una notte intera. Dalle sei del mattino di sabato quando la moglie entra in coma, la operano d'urgenza e a lui dicono che non c'è più niente da fare e ci vorrebbe un miracolo. A verbale racconta della fede nuziale che le mette al dito, della pistola senza neanche il caricatore che sventola davanti ai medici. «Perché dovevo fare la faccia cattiva, se volevo arrivare a Elena», spiega. E quasi si scusa per quel gesto da uomo disperato, da uomo innamorato che adesso rischia una condanna a dieci anni di carcere, un niente adesso che la sua pena, quella di non vedere più Elena, durerà tutta una vita. «E' un uomo sereno, convinto di aver fatto la cosa giusta», dice il giudice. Che non se la sente di giudicarlo, ma codice alla mano ha dovuto stabilire solo se Ezio Forzatti era un uomo pericoloso, se era giusto tenerlo in carcere o anche solo togliergli il passaporto. Come volevano i due magistrati Vincenzo Fiorillo e Giovanni Cerosa, che non se la sono sentita di chiedere di più. Davanti ai magistrati che lo sentono in carcere, Ezio Forzatti parla di eutanasia, di accanimento terapeutico, di argomenti che fanno impazzire i giuristi e tormentano le coscienze. Anche la sua, che ha dovuto decidere in un amen partendo solo da un fatto: che Elena non c'era già più, che quello sul lettino, era solo il suo corpo intubato, con una maschera per respirare. Che bastava toglierle. «Adesso il mio cliente non vuole parlare con nessuno. E' in un posto dove spera di non essere trovato», fa giustamente muro il suo avvocato, Claudio Zerbini. Ezio Forzatti forse è a casa di parenti, gli stessi che lo hanno perdonato. E capito subito che dietro a quel gesto c'era solo amore, non l'odio di chi uccide. Ezio Forzatti attraverso il suo avvocato chiede di essere lasciato in pace. Ammesso che ci sia una pace possibile, per quest'uomo innamorato che una mattina si è messo in tasca una vera d'oro e una pistola scarica, per andare all'ultimo appuntamento con Elena. Fabio Potetti La prima domanda: «Adesso posso andare al Umerale di Elena?» «Dopo tutta una notte ho deciso di tenere fede a una promessa» L'ospedale di Monza teatro domenica mattina di un caso di eutanasia armata

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