«Nessuna truffa, cifre vere»

«Nessuna truffa, cifre vere» L'ESPERTA CHE HA STUDIATO L'ARCHIVIO «Nessuna truffa, cifre vere» La ricercatrice: e Di Bella si complimentò E ROMA VA Buiatti, epidemiologa della Regione Emilia Romagna, segretario dell'Associazione nazionale registri tumori italiani, è autrice dello studio epidemiologico sull'archivio Di Bella, oggi al centro di nuove polemiche. Dottoressa, come è nata questa ricerca? «Su suggerimento mio e del Registro tumori italiani, che si occupano registrare i casi di cancro nella popolazione, ed è stata ordinata dal ministro della Sanità e dall'Iss». D'accordo il professor Di Bella? .«Certo. Non avrebbe potuto essere fatta senza il consenso del professore, che ha dato libero accesso all'archivio che si trova nella sua casa». Lei ha preso i dischetti nell'abitazione del professore? «Non ho preso nulla. Ho lavorato quattro mesi nella casa del professore siù dischetti e poi sulla grande quantità di materiale cartaceo che mi mettevano via via a disposizione i suoi più stretti collaboratori». Ha lavorato coi collaboratori di Di Bella, che ora contestano la ricerca? «Ho lavorato con il dottore e la dottoressa Molinari, laureati in farmacia e da anni vicini al professore, e con la dottoressa Minuscoli, medico e sua assistente da molto tempo, senza i quali non avrei nemmeno saputo come destreggiarmi. Non mi pare che le attuali polemiche vengano da loro». In effetti vengono dal figlio del professore. Il quale ora obietta sulla selezione dei dati. L'archivio conteneva informazioni su 3076 pazienti? «Sì, i primi risalgono agli Anni 70». Ecco, quel che viene contestato è come si passa da 3076 casi a 248, a 20 sopravvissuti. Come è successo? «Circa un terzo dei 3076 non erano ammalati di tumore. E non li abbiamo considerati». Siamo a 2000, più o meno. «Poi c'era un gruppo notevole in cui la documentazione era così scarsa che non si capiva da che malattia erano affetti. Si trattava di carte stringatissime, magari lettere personali o biglietti, in cui però non si menzionava il male». Dicono che queste missive non sono state considerate. «Abbiamo preso in considerazione tutto quel che c'ora. Ma spesso non si capiva se erano persone ammala¬ te di sclerosi a placche o di cancro. Magari dicevano "Caro professore, desidero contattarla per un consiglio". Cose così». Da 2000 a che numero di pazienti siete arrivati? «Con le diagnosi di cancro a 1300. Di questi però circa metà aveva una documentazione della malattia ma non della terapia: persone che, a un corto punto, hanno mandato una cartella clinica per posta, magari attraverso i parenti. Dopo di che non c'ò altro. Quindi, d'accordo coi collaboratori, abbiamo stabilito che si trattava solo di contatti, e non li abbiamo contati». Magari sono stati curati da altri medici, con la terapia Di Bella. «Forse, ma come potevamo saperlo? E quale terapia Di Bolla? Lui stesso ha modificato molto la sua terapia: negli Anni 70 era partito con la sola molatonina, poi ha aggiunto delle vitamine, dei chemioterapici che poi ha tolto, mentre la somatostatina compare solo a metà degli Anni 80. Ecco perdio ci siamo limitati ai suoi pazienti». Siamo a 650 casi. «Qui abbiamo compiuto l'unica vera scelta: con 650 malati di cancro, serviva sapere quando è stata fatta la diagnosi, se il cancro è confermato, chi è vivo e chi è morto a marzo '98, data della ricerca. Informazioni che solo i registri dei tumori possono dare, poiché negli archivi Di Bella mancano. Ma i registri coprono solo la metà della popolazione». E allora? «Abbiamo preso solo i soggetti residenti in quello arce, circa 300. C'è ancora una piccola perdita por persone delle quali non abbiamo ancora il dato, o risultano sconosciuti». Eccoci ai 248 casi. Che sono la base della statistica? «Esattamente. Di questi, 196 sono morti, 20 sono vivi, a più di 10 anni dalla cura, e tutti e 20 avevano fatto anche altro cure». Fa circa l'8%... «Piano. Questo calcolo sfavorisce Di Bella: perché se una persona è entrata in cura di recente, magari vivrà altri anni». Quanti sono i pazienti recenti? «Saranno quasi due terzi. Un momento poro. Ci siamo prima chiesti: quanti hanno fatto solo la terapia Di Bella? E sono solo 4, 3 dei quali sono morti per tumore, mentre il quarto è vivo, ma a soli due anni dalla diagnosi». In pratica? «Vien fuori una sopravvivenza a 10 anni di circa il 10% - per ora - che però sale al 21% a 5 anni. Che è la scadenza più usuale considerata». Non è pochissimo. «Nemmeno molto, purtroppo. Infatti i collaboratori di Di Bella erano un po' delusi. Ma lo stesso professore, al quale ho portato i risultati in anteprima, ci ha detto: "In ogni caso il lavoro fatto è molto utile. Ripartiremo da qui per approfondire. Non ho mai proteso di avere ragione. Pretendo solo di sapere la verità"». Maria Grazia Bruzzone «I collaboratori del fisiologo apparvero delusi, ma lui disse: in ogni caso è un lavoro utile» [ «Un terzo dei pazienti sono stati scartati dal calcolo di sopravvivenza perché non erano malati di tumore» [ Il professor Di Bella nella sua casa a Modena: lì si è svolta la ricerca sull'archivio del fisiologo

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