Politica estera, l'incognita della verifica di Fabio Martini

Politica estera, l'incognita della verifica Il premier punta a offrire ai neocomunisti un patto di un anno. Ma sulle basi intesa impossibile Politica estera, l'incognita della verifica Niente sconti dopo Nato e Albania ROMA. Fini martellava e Prodi, zitto, doveva ingoiare il rospo. Martedì sera, nell'aula di Montecitorio, non è andato in scena solamente uno dei più aspri attacchi ad un capo di governo degli ultimi anni («Lei è un uomo pavido...»; «...con queste furbizie italiane e questi doroteismi l'Italia torna indietro»). Martedì sera, sotto quelle sferzate, il presidente del Consiglio ha capito che sulla politica estera non ci sarà un'«altra volta», che d'ora in poi non esisterà escamotage in grado di salvare la pelle a Prodi e la faccia a Bertinotti. Diceva ieri mattina il presidente dei deputati ds Fabio Mussi: «La politica estera non è un optional, come i vetri elettrici dì una automobile: è un elemento fondamentale dell'attività di qualsiasi governo». Insomma, ora Prodi lo sa: dal suo vocabolario dovrà cancellare l'antico adagio «non c'è due senza tre», perché dopo l'Albania e la Nato, non ci saranno più sconti sulla politica estera. E non è certo un caso che ieri, nella intervista al Tgl, Prodi abbia cercato di minimizzare la questione: «Alt! Il dissenso c'è stato sulla Nato, non su tutta la politica estera». Per Prodi il guaio è che nelle prossime settimane, a prescindere dalla sua volontà, la Nato potrebbe decidere di intervenire nel Kosovo, utilizzando la base di Aviano. Ma come ha spiegato tante volte Fausto Bertinotti, per i comunisti l'uso delle basi è un tabù, una questione sulla quale la dissociazione sarebbe netta. Confida uno degli amici di Prodi: «Amettiamolo pure: se ci fosse un intervento nel Kosovo, beh sarebbe un bel casino,..». Anche perché è possibile che, dopo il successo dell'operazione-Alba in Albania, agli italiani venga confermato il ruolo di Paese-guida di un contingente multinazionale sotto l'egida Nato. A Prodi non resta che confidare nello «stellone» e così, nella speranza che la Nato non muova le sue truppe, il Professore già da ieri mattina ha cominciato a preparare la «verifica profonda» sulle tante questioni che dividono la sua maggioranza. Prodi ha immaginato un piano di lavoro. La verifica, nei progetti di Palazzo Chigi, dovrebbe durare due settimane e chiudersi non oltre il 10-12 luglio. Per preparare i vertici dei leader (quello previsto per domani slitterà), Prodi intende costituire dei gruppi di lavoro sui problemi più scottanti. Obiettivo finale: mettere a punto (assieme a Rifondazione) un programma e un pacchetto di soluzioni che una volta definite non siano più contrattabili. Durata del patto: un anno, fino alla elezione del Capo dello Stato, prevista per la fine di maggio del 1999. E il rimpasto? Prodi sa che il Pds (ma anche il Ppi) ne hanno bisogno per motivi di equilibri interni. Diceva ieri in Transatlantico il socialista Roberto Villetti, uno che conosce bene le dinamiche di un partito di governo: «D'Alema può consentire ancora a lungo che oltre la metà della delegazione Pds al governo non risponda più a lui? Può consentire questa anomalia, dovendo affrontare il suo congresso nella prossima primavera?». In effetti l'ultima direzione dei Democratici di sinistra ha disvelato una realtà che soltanto gli uomini di partito sapevano: per D'Alema i ministri di sicuro affidamento sono tre-quattro su nove. Prodi sa che a fine verifica Pds e Ppi potrebbero riproporre il problema e per la prima volta da Palazzo Chigi si fa sapere che il rimpasto non è un tabù, anche se chi conosce bene il Professore assicura che «a Prodi stanno molto a cuore i record...». Ma i pericoli che il Professore corre in politica estera fanno impallidire quella sua inconfessata ambizione di diventare il governo più lungo nella storia della Repubblica: oltre alla questione del Kosovo, infatti incombe sul governo italiano una questione spinosissima, la rinegoziazione con gli Stati Uniti delle basi americane in Italia, che è que¬ stione diversa dalle basi Nato. Cossiga, che per le questioni strategiche ha una speciale passione, lo ha fatto osservare proprio ieri: «Questa sì che è una grana per il governo...». Le clausole che all'inizio degli Anni Cinquanta hanno consentito l'installazione delle basi, da allora, sono rimaste segrete. Quegli accordi sono in scadenza proprio in queste settimane e davanti alla intransigenza di Rifondazione («le basi vanno chiuse»), Prodi ha già fatto un passo: «Faremo conoscere al Parlamento i contenuti di quei trattati segreti». E ieri sera al comitato politico dei Ds, mentre si parlava del ddl del governo per prolungare la missione italiana in Bosnia, D'Alema è sbottato: «Già so che Rifondazione è contraria. Non è possibile andare avanti così...». Fabio Martini Il leader dell'Udr Francesco Cossiga