1918, la vittoria nel giorno più lungo

1918, la vittoria nel giorno più lungo LA MEMORIA. Il 24 giugno di 80 anni fa si concludeva la «battaglia del solstizio»: per gli austriaci fu l'inizio della fine 1918, la vittoria nel giorno più lungo Da Asiago al nave, contrattacco decisivo degli italiani OiTTANT'ANNI fa proprio in questi giorni l'I.R. Esercito austro-ungarico sferrò una studiata e ben prepara Ita offensiva contro l'Italia, denominata in codice «Radetzky» per il settore riguardante Altipiano di Asiago - Grappa e «Albrecht» per il settore Montello - Piave. Le intenzioni erano quelle di finire vittoriosamente la guerra contro di noi e di occupare tutto il Veneto fino all'Adige e alle foci del Po. Era anche in programma un cospicuo bottino che, con il fertile territorio, avrebbe potuto levare la fame a milioni di sudditi e saziare i soldati in crisi di alimenti. Le operazioni della grande battaglia si svolsero dal 15 al 24 giugno dall'Astico al mare investendo l'Altipiano dei 7 Comuni o di Asiago, il Monte Grappa, il Montello e il Piave fino alle foci. Passerà alla storia come «Battaglia del solstizio». Gli austriaci avevano approntato sul fronte ben 600.000 uomini con 6000 cannoni, migliaia di lanciabombe e di lanciafiamme. Cinquantasei divisioni erano divise in due masse di sfondamento con relativa riserva e un'Armata di collegamento Lra le due masse d'attacco. Dieci altre divisioni restavano ad occupare il territorio veneto invaso a seguito della battaglia di Caporetto e fungevano anche da supporto logistico alle masse dell'esercito avanzante. Complessivamente le loro forze erano di molto superiori alle nostre e lo Stato Maggiore austriaco aveva curato ogni particolare della gigantesca azione ritenendosi sicuro di vincere. L'offensiva era stata preparata anche moralmente fino all'ultimo soldato rievocando le glorie della loro storia da Novara a Caporetto, e se la guerra non era ancora stata vinta era colpa dell'Italia che aveva tradito l'Intesa; si riaffermava che la conclusione di questa ultima battaglia, con l'occupazione totale nel Veneto, sarebbe stata anche la conclusione della guerra. La conquista di queste terre voleva dire abbondanza di bestiame, di vino, di grano e ai molte altre cose che la loro crisi rendeva preziose. Ai soldati delle loro Armate era stato rac- comandato: prendetevi quello che è necessario ma non distruggete niente. «Si sono prese tutte le misure affinché vi sia riservata una parte del bottino e siano alleviate ai vostri parenti le privazioni imposte dai tempi tristi che si attraversano» era scritto in documento che un ufficiale austriaco fatto prigioniero teneva in tasca. Ai soldati che seguivano le truppe d'assalto era ordinato di recuperare tutto quello che poteva essere utile e agli ufficiali di punire gli eccessi: «Non sparate sulle botti di vino, non sventrate i sacchi di farina». Questo e altro aveva previsto il Maresciallo Conrad del Gruppo Armate Altipiano - Grappa. Per Conrad l'Italia era l'eterno nemico. L'Arciduca Giuseppe comandava l'Armata del Montello-Medio Piave; il Feldmaresciallo Boroevic l'Armata dell'Isonzo, ora schierata dal Medio-Piave al mare. Di fronte avevano la 6a Armata dell'Altipiano, comandata dal generale Montuori; la 4a del Grappa comandata dal generale Giardino; l'8a del Montello comandata dal generale Pennella e, infine, la 3a del Duca d'Aosta fino alla Laguna Veneta. Più indietro stavano le nostre riserve; quella generale attorno a Treviso; quella per l'Altipiano a Nord di Thiene; per il Montello tra Asolo e Castelfranco; tra Vicenza e Padova il Corpo d'Armata d'assalto del generale Grazioli e il Corpo di Cavalleria del Conte di Torino. Del momento dell'attacco i nostri erano venuti a conoscenza del giorno, dell'ora e delle prime fasi della manovra. Il Comando austriaco aveva minutamente preparato la grande battaglia ed era sicuro del risultato, tanto che il Feldmaresciallo Conrad nel proclama alle truppe diceva: «... durante le bufere invernali avete sempre rivolto lo sguardo alle assolate pianure d'Italia. Il momento tanto atteso ormai è giunto. Il benessere, il futuro, l'onore della nostra antica, grande amata patria sono nelle vostre mani. E' con piena fiducia che mi rivolgo a voi per dirvi: adesso avanti!». Ora, dopo la pace di Brest-Litovsk, firmata con la Russia il 3 marzo del 1918, tutte le armate dell'esercito absburgico erano sclùerate sul fronte italiano, tutte le genti del grande territorio che andava dalla Polonia ai Balcani vi erano rappresentate. Sì, tutto perfetto, ma una cosa quei marescialli non avevano previsto e nemmeno valutato: il morale dei soltati italiani. Dopo Caporetto l'Esercito italiano era stato «rinnovato»; parte nei Comandi, parte nell'armamento e molto nel trattamento alle truppe. Non più, insomma, grandi masse da mandare all'assalto come sul Carso e sull'Ortigara, ma uomini, da trattare come tali. Mai come in quei giorni il morale dei nostri soldati era stato così alto e in quel giugno del 1918 si aspettava con serena fiducia l'attacco dell'avversario. Sull'Isonzo, a fine ottobre 1917, la nostra artiglieria non era intervenuta quasi per niente, qui sull'Altipiano precedette l'attacco degli austriaci e fu quasi determinante. Al generale Roberto Segre, che comandava l'artiglieria della 6a Armata, non andava proprio quell'ordine che diceva di aprire il fuoco dei cannoni mezz'ora dopo l'inizio del fuoco avversario e, visto che si sapeva con precisione l'ora dell'attacco, mise tutta la sua fama di grande artigliere per convincere il Comandante d'Armata e dargli libertà d'azione. L'accordo fu soltanto verbale così se le cose fossero andate male la colpa era solo del Segre. Il 14 giugno, alle ore 22, il generale Segre rientrò al suo comando e impartì l'ordine di controperazione anticipata. Alle 23,25 i grossi calibri a lunga gittata mcorninciarono a sparare sui luoghi di raccolta precedentemente localizzati e sulle vie di comunicazione verso la linea d'attacco; subito seguirono le numerose batterie nascoste nei boschi a Sud della conca di Asiago e nel fuoco di controbatteria si distinsero le artiglierie inglesi che avevano abbondante riserva di munizioni. Alla mezzanotte aprirono il fuoco i lunghi calibri francesi, montati su rotaie ai piedi delle montagne, che spararono a gas in Valle di Campumulo dove erano concentrati grossi reparti. Soltanto alle 3 del mattino le artiglierie austriache, come era previsto, risposero al nostro cannoneggiamento dopo aver subito un grave sconquasso. Infine, tra le ore 3 e le 3,30 si scatenarono tutte le nostre altre batterie di medi calibri che si erano camuffate di silenzio, e quattromila tra cannoni e lanciabombe di ogni tipo e calibro oscurarono l'alba del 15 giugno 1918. D colonnello austriaco Laurer scrisse: «Ho sempre vivo il ricordo del duello di quel giorno tra le opposte artiglierie. Ben presto presero il sopravvento gli italiani e c'era da chiedersi chi veramente stesse preparando l'attacco». Le fanterie absburgiche di que- sto settore, 18 divisioni con 288 battaglioni, scattarono all'attacco alle ore 7,39, precedute da un tiro di sbarramento mobile delle loro artiglierie ormai più che dimezzate nella loro efficienza. Dovevano sfondare nei punti prestabiliti e dilagare verso la pianura. Scrive Aldo Valori nel suo ottimo libro La guerra italo-austriaca - 1915-1918: «Il fuoco violento della nostra artiglieria sorprese il nemico in piena crisi iniziale di manovra. I suoi cannoni dovettero in parte dimenticare gli obiettivi prefissi per ingaggiare duelli con i nostri. Le sue fanterie stentarono a uscire dai ricoveri: furono colpite nei punti di concentramento e di passaggio; i collegamenti resi difficili e in parte spezzati...». «Sul fronte dell'Altipiano dove la natura accidentata del terreno rendeva più difficili le mosse, il nemico ricevette in pieno petto l'urto inaspettato e parve restare quasi senza respiro. L'esecuzione materiale del disegno offensivo fu tuttavia iniziata; ma lo spirito delle truppe e dei loro capi non era più quello». Nel medesimo giorno, come violento temporale estivo, la grande battaglia si era estesa sul Monte Grappa, sul Montello e lungo il Piave fino al mare; ma su quei settori non vi fu da parte nostra controperazione anticipata d'artiglieria. Il grande scontro dall'Astico al mare si spense solo dopo nove giorni. Specialmente sull'Altipiano i risultati previsti non erano stati raggiunti e molto limitati e di breve durata i successi ottenuti. Quella sera del 15 giugno in un paese del Sudtirolo, dove era in sosta il treno imperiale, si stava cenando dopo che l'imperatore Carlo si era recato al Comando di Conrad; il morale era quasi euforico ma prima che la cena finisse giunse la notizia che tutti gli attacchi erano stati respinti. Con troppa precipitazione era stato stabilito che all'ingresso dell'imperatore Carlo a Vicenza l'Arciduca Federico, decano dei Marescialli, gli avrebbe offerto con solenne cerimonia il bastone di Maresciallo. ' 1 ■■■"«::? Mario Rigoni Stern Con ['«operazione Radetzky» le truppe dell'imperatore Carlo si erano illuse di sfondare Sul fronte nemico 600 mila uomini con seimila cannoni e migliaia di lanciabombe Soldati in trincea sul Montello. A sinistra, la «battaglia del solstizio» in un disegno di Beltrame Di fianco, l'Arciduca Giuseppe: guidava l'Armata del Montello Medio Piave. A destra, il generale Grazioli, comandante del Corpo d'Armata d'assalto tra Vicenza e Padova i