Undici ore da Prima Repubblica

Undici ore da Prima Repubblica DAMA - Undici ore da Prima Repubblica La Quercia minaccia: è Vultima mediazione E H sì, l'importante non è spiegare, semmai confondere. Lo apprendono a loro spese sulla tribuna degli ospiti dell'aula di Montecitorio gli ambasciatori di Ungheria, Polonia e della Repubblica Ceca, cioè dei tre Paesi ex-comunisti che hanno chiesto di entrare nella Nato. Non la smettono di bisbigliare tra loro: hanno assistito al dibattito ma non ne hanno capito granché. Non c'è da biasimarli. Ma come, quello che si professa il più atlantista di tutti, Silvio Berlusconi, che si astiene senza portare a casa neppure una crisi di governo! Un capolavoro. E ancora, un post-comunista come Maximo D'Alerdà che vota a favore senza batter ciglio mentre Francesco Cossiga fa le piroette e un giorno dice sì, un altro no, e un altro ancora sì... Roba da uscire matti. Un rebus. Ma il vero rebus, quello che d'ora in avanti metterà alla prova politologi e studiosi, riguarda la natura della maggioranza che governa il Paese: da ieri, infatti, nella Seconda Repubblica è tornato di moda un vecchio stile della Prima, quello delle maggioranze variabili. Ieri l'allargamento della Nato è passato grazie ai voti di Cossiga (il Polo si è astenuto solo quando ha capito che il prowedimento sarebbe passato anche con il suo voto contrario). Domani - cioè quando il governo si ripresenterà alle Camere per avere la fiducia - probabilmente sui temi di politica interna Fausto Bertinotti tornerà all'ovile e sostituirà l'ex-Capo dello Stato. Insomma, tutto si è fatto più confuso, gli schieramenti sono diventati meno chiari e le aule parlamentari via via si stanno trasformando in paludi. In questa condizione c'è chi pensa di aver vinto e chi, invece, non si rassegna ad aver perso. Chi crede fermamente di averla spuntata, salvando - come si suol dire - ancora una volta la pellaccia, è Romano Prodi. Fedele al motto andreottiano secondo cui un giorno in più a Palazzo Chigi vale più di ogni cosa, il Professore l'ha avuta vinta. A modo suo. Nel suo discorso del mattino nell'aula di Montecitorio ha corteggiato Francesco Cossiga, ha ironizzato sul Polo e ha teorizzato che non c'è nulla di male ad avere una maggioranza per la politica interna e un'altra per la politica estera. A sera, invece, ha ammesso che il voto contrario di Rifondazione era un «vulnus» per la maggioranza. Poi, però, a votazioni concluse ha commentato il tutto con un sonoro «meglio di così...» che la dice lunga sulla filosofia del Professore. Prodi ha portato a casa il risultato destreggiandosi in perfetto stile de: ha annuito quando voleva dire di no; ha minacciato una cosa, quando sapeva benissimo che avrebbe fatto l'altra. Così, quando ieri all'ora di pranzo Massimo D'Alema gli ha posto, spalleggiato da Marini, il problema di Cossiga, il Professore se ne è rimasto zitto: «Non si possono prendere i voti dell'Udr - gli ha spiegato il segretario dei Ds - facendo finta di niente. Non sta venendo fuori una maggioranza trasversale, ma un'altra maggioranza. Devi riprovare a coinvolgere il Polo. E' un errore. Non ci si può fidare di Cossiga. Ripensaci...». Nel pomeriggio, invece, a chi nella sua maggioranza gli chiedeva di dare le dimissioni per spingere Bertinotti ad una verifica vera, il Professore ha risposto quasi indispettito: «Se mi dimetto non è per fare un rimpasto ma per andare davvero alle elezioni». Una minaccia tirata fuori solo per lasciare tutto come prima. Diciamoci la verità, se non ci fossero Scalfaro e D'Alema, il premier avrebbe chiuso la vicenda già ieri sera. Per accontentarli il Professore tornerà alle Camere a chiedere la fiducia. Tra i suoi alleati c'è chi vorrebbe una verifica vera, c'è chi vorrebbe chiedere a Bertinotti fin d'ora un impegno su un eventuale coinvolgimento italiano in una spedizione di pace nel Kosovo. Prodi, ovviamente, risponde: «Se ne parlerà, ma non esageriamo». Chi, invece, non può essere annoverato tra i vincitori è Massimo D'Alema. D'altronde in questa partita il segretario dei diessini gioca con lhandicap che è il solito Bertinotti a svelare: «Non si può puntare alla crisi di governo sperando che la crisi l'aprano gli altri. D'Alema parte tecnicamente sconfitto». Difatti, D'Alema può consigliare Prodi, può tentare di convincerlo, ma non ha il potere dell'ultima parola. A meno che non sia vero quello che ieri il numero uno di Botteghe Oscure avrebbe detto, secondo l'agenzia Ansa, al segretario dei popolari Franco Marini: «Se questa volta non ci sarà un accordo di programma con Bertinotti, saremo noi ad aprire una crisi». Ma questa sortita sembra più una minaccia negoziale che non reale. C'è da capirlo, il segretario dei diessini. Intorno a lui c'è un valzer di maggioranze possibili che rischiano di penalizzare solo il suo partito. E' quasi naturale che tutti si aspettino che D'Alema faccia qualcosa. Ieri il numero uno di Botteghe Oscure si è sentito chiedere da Ciriaco De Mita: «Ma è vero che hai intenzióne di apriré'là crisi, che pensi ad un Ciampi istituzionale?». «E che, facciamo un governo - è stata la risposta - con la maggioranza della Nato?». Ma se questa ipotesi non rientra tra le cose possibili, quello che D'Alema vuole da Prodi in concreto è il tentativo di strappare qualcosa a Bertinotti, di fargli pagare l'ennesima figuraccia sulla Nato. Per cui bisogna interpretare le minacce del segretario diessino non tanto per l'oggi, quanto per il domani: «Con le maggioranze variabili non si va avanti a lungo». Tradotta, questa frase è quasi un promemoria: se nel semestre bianco Bertinotti romperà con la maggioranza, difficilmente il Professore potrà essere il presidente del Consiglio di un'altra maggioranza. Dunque, Prodi non pensi solo all'oggi, ma anche al domani. Augusto Minzolini La sfida del premier «Se mi dimetto non è per fare un rimpasto ma per andare veramente alle elezioni anticipate» L'ex de De Mita a D'Alema: Davvero vuoi aprire la crisi? La risposta: E che facciamo un governo con la-maggioranza della Nato? Qui accanto il presidente del Consiglio Romano Prodi Sotto a destra il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti mentre vota alla Camera

Luoghi citati: Kosovo, Polonia, Ungheria