GIOCARE ALLA GUERRA NEI SECOLI DEI SECOLI di Aldo Rizzo
GIOCARE ALLA GUERRA NEI SECOLI DEI SECOLI GIOCARE ALLA GUERRA NEI SECOLI DEI SECOLI Da Platone a Kissinger, una difficile arte \ ri r * tirarsi f** PvA il 1648 e il 1989 si sono combattute 177 guerre. Di queste, 67 sono scoppiate tra il 1816 e il 1980: 165 anni, dei quali soltanto 20 sono stati completamente pacifici. Gli anni peggiori sono stati il 1917 e il 1943, cioè nella fase cruciale della prima e della seconda guerra mondiale. Gli Stati più bellicosi? La Francia, con 22 guerre, seguita da Gran Bretagna e Russia con 19. Nel 70 per cento dei casi, i conflitti sono stati vinti da chi li aveva cominciati. Questi dati statistici sono tratti da uno studio dell'Università di Cambridge del 1991 e sono corredati da un elenco delle cause degli eventi bellici, che vanno da contrasti territoriali a conflitti commerciali, da lotte d'indipendenza à problemi di egemonia. Ma, per interessanti che siano, essi non spiegano il perché profondo del fenòmeno guerra, la sua natura intrinseca, i suoi rapporti strutturali con il sistema delle relazioni internazionali. D'altra parte, una tale spiegazione è possibile? E dove cercarla? Questo è il tema di un densissimo libro di Luigi Bonanate, nella nuova collana «Biblioteca Essenziale» di Laterza. Libro densissimo perché dà conto, in un numero relativamente piccolo di pagine, come richiede la «filosofia» della collana, di studi infiniti sull'argomento, dall'antichità ad oggi: per dire, da Platone a Clausewitz, da Sun Tzu a Machiavelli, da Tucidide a Aron e a Kissinger; e quanto alla tipologia dei conflitti, si va dalla guerra del Peloponneso alla deflagrazione della ex Jugoslavia, dalle guerre puniche al confronto nucleare della «guerra fredda»; senza trascurare, in interessantissime pagine, la rappresentazione artistica (letteraria, figurativa e persino musicale) del conflitto armato. Bonanate è uno dei maggiori studiosi italiani delle relazioni internazionali e controlla come pochi una materia così complessa. Ciò lo porta a vedere e a indicare i limiti di tutte le teorie tradizionali, da quelle antibelliciste e pacifiste a quelle sulla necessità o inevitabilità assoluta della guerra. Senza per questo proporre una sua teoria. La guerra è «nella storia dell'umanità l'evento a più alta concentrazione di valore che si possa immaginare», perché «nulla ha coinvolto nelle sue vicende in modo altrettanto intimo e totalizzante gli esseri umani, con l'im¬ pegno assoluto che impone, la morte, il dolore, le ferite e le sofferenze, la mobilitazione di ogni risorsa». Eppure «la nostra capacità di offrire una visione globale e sistematica della guerra appare ancora terribilmente primitiva o approssimativa» e non resta che una ricerca in ogni direzione (storica e filosofica, strategica e politologica). Insomma la guerra, così contraddittoria con le battaglie della scienza medica e per il progresso in genere, come un grande mistero, forse il più grande, dell'umanità. Nella sua ricerca, che invece è del tutto razionale, Bonanate trova, mi pare, due punti di approdo. Uno è che la guerra è comunque un fenomeno politico, un mezzo di cambiamento dell'ordine internazionale. L'altro è che questo strumento non è fuori controllo. Gli autori di riferimento sono Clausewitz (l'influenza della politica sull'uso della violenza) e l'ancor più classico Kant (le guerre si combattono per cercare «una condizione di pace e di sicurezza», lo stesso risultato può essere raggiunto attraverso «una federazione di popoli»). La federazione di popoli può essere un'altra utopia (in questo caso un'utopia della ragione), ma è realtà la crescente interdipendenza degli interessi economici e anche politici in aree sempre più ampie. Per dire, la guerra è diventata impensabile tra i grandi Paesi europei, protagonisti per secoli di scontri anche atroci. E' realtà anche una tendenza in vaste aree del mondo alla democratizzazione dei regimi politici. Tutto questo, dice Bonanate, aiuta a sperare, la «globalizzazione» (con tutti i suoi limiti, si pensi alle tensioni in Asia) può essere un surrogato empirico, ma promettente, della «federazione di popoli» auspicata da Kant. Aldo Rizzo Clausewitz, teorico della guerra
Luoghi citati: Asia, Francia, Gran Bretagna, Jugoslavia, Russia
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