UN ORECCHIO INTERIORE CHE PARLA CON LA MANO di Marco Belpoliti

UN ORECCHIO INTERIORE CHE PARLA CON LA MANO UN ORECCHIO INTERIORE CHE PARLA CON LA MANO Viaggio antropologico nel mondo dei sordomuti N principio era il suono; all'inizio di tutto c'è la vibrazione sonora; la materia stessa, la sua tessitura, è ipso facto suono. L'ardita ma affascinante tesi è sostenuta da Alfred Tomatis in Ascoltare l'universo. Tomatis è un medico francese studioso del suono, che ha elaborato negli ultimi cinquant'anni una teoria sonora e un metodo che ha strette interrelazioni con la psicologia, la linguistica e la filosofia; una teoria fisica che, alla pari della celebre dottrina antroposofica di Rudolf Steiner, ridisegna completamente non solo la nostra «forma» del senso dell'udito, ma anche l'immagine stessa dell'universo, proponendo nel contempo una antropologia del suono che parte dalla geometria e dall'anatomia del nostro organo sensorio. Di libro in libro - uno dei più celebri è L'orecchio e la vita, che ha per tema l'ascolto prenatale - Tomatis ci propone una nuova grammatica dell'orecchio fondata sull'evoluzione dell'«orecchio interiore». Questo fa venire in mente una popolazione italiana «silenziosa» che parla una lingua che solo da poco tempo possiede una sua particola re grammatica; questa popolazio ne, che per quanto antica è invisibile ai più, ha avuto un proprio dizionario nel 1991, quando un giovane studioso, Orazio Romero, ha pubblicato da Zanichelli il Dizionario dei Segni che contiene 1400 immagini della lingua visiva. La popolazione misteriosa è quella dei sordomuti e ammonta a qualche migliaio di persone perfettamente uguali al resto degli abitanti della Penisola italiana, ma con una sostanziale differenza: parla usando quattro dimensioni. Come ha spiegato William Stokoe, un medievalista chiamato negli Anni Cinquanta a insegnare nell'unico college per sordi del mondo', il Gaullaudet College, e trasformatosi in linguista, il parlato ha una sola dimensione, l'estensione nel tempo; la scrittura due; i modelli, tre; la lingua dei Segni, quattro: le tre dimensioni spaziali accessibili al corpo del segnante, più la dimensione temporale. La maggior parte degli udenti, ci ricorda un utile libro a cura di Amir Zuccaia, Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, pensa che i sordi parlino usando un linguaggio gestuale che riproduce con le mani le lettere dell'alfabeto, l'«alfabeto manuale», che molti hanno imparato ad usare da ragazzi per comunicare senza essere capiti da estranei. In realtà, la Lingua Italiana dei Segni (Lis) è qualcosa di molto più complesso e tra questa e la lingua italiana esistono almeno due linguaggi intermedi di comunicazione: l'Italiano Segnato, una lingua in cui le regole e l'ordine sono quelli della grammatica italiana, ma 0 lessico appartiene alla Lis; e il Pidgin, o misto, che mescola l'italiano segnato e la lingua italiana dei segni, con passaggi continui dalle strutture ed elementi della lingua verbale a quella dei segni; e tutto questo, si badi, senza mai aprir bocca. Nei suoi pionieristici studi Stokoe aveva compreso che la Lingua dei Segni è, rispetto alle lingue vocali, una lingua «cinematica», con regole grammaticali completamente diverse, per questo si era impegnato nel difficile compito di notarne i segni - proprio come si fa con una musica sconosciuta - e di trovare la sua sintassi. Seguendo le indicazioni storiche, antropologiche e linguistiche contenute nel libro curato da Amir Zuccaia, è veramente emozionante metter mano alla Grammatica dei Segni, allestita da Romero - un sordo postlinguistico (cioè diventato tale in età infantile), il quale ha studiato in scuole e istituti per sordi prima di approdare con una borsa di studio alla Gaullaudet University di Washington D.C. L'idea di una grammatica della lingua spaziale nasce, spiega Romero, dalla combinazione di cinque differenti parametri: configurazione, luogo, movimento, orientamento del palmo della mano e persino, a volte, dell'espressione facciale. Tutti noi siamo convinti che esistano molte forme d'intelligenza e non una sola, ma quando siamo messi di fronte a una di queste, che si organizza seguendo modalità e tecniche sue proprie, siamo presi da strani pregiudizi. La maggior parte dei ragazzi sordi frequenta oggi le nostre scuole in virtù di una legge del 1977 (la legge 517) che ha svuotato gli istituti speciali e affiancato a ogni sordo (l'eufemismo non udente è poco gradito ai sordi i quali non amano essere definiti attraverso una privazione) un «insegnante di appoggio», determinan¬ do così il trionfo della cultura che i sordi definiscono «oralista», fondata sulla parola (lettura labiale e tentativo di riprodurre i suoni con la bocca); questa legge progressista, che voleva por fine alle discriminazioni, di fatto ha tolto ai sordi la possibilità di servirsi normalmente della loro straordinaria lingua spaziale (a questo punto la stessa parola «lingua» è inadatta a definire questa struttura comunicativa, perché fa riferimento all'organo della fonazione che nella Lis è sostituito dalla mano). Il primo parametro della Lis, quello della configurazione, riguarda proprio la forma che assume la mano nell'eseguire il segno;, la prima tavola della Grammatica rende conto di, questi movimenti: in tutto sono ì'Ò possibilità sémìilìci, più le loro combinazioni. Il Luogo indica invece lo spazio in cui viene eseguito il segno quello antistante al segnante, dalla testa al fianco e da un braccio all'altro. La cosa che colpisce consultando il libro, fatto tutto di disegni e brevi didascalie, è che la Lis sembra una lingua iconica, in cui il segno è strettamente connesso a un'immagine; per dire Italia, il segno pare riprodurre la forma sinuosa dello stivale; Torino si dice con una mano che ostenta indice e mignolo, come nel segno delle corna, e viene agitata vicino al- capo: lo stemma del Toro; sesso, comporta un.gesto di sfregamento del palmo sinistro, rivolto verso l'alto, sul palmo destro, fermo, rivolto verso il basso. Ma non bisogna farsi trarre in inganno, perché la lingua dei Segni possiede anche capacità astratte, a differenza della lingua parlata, o scritta, che «può richiamare stati d'animo, ma non li può ritrarre», ha scritto Oliver Sacks, il neuropsichiatra che ha il dono di rendere semplici argomenti complicati. Come ogni lingua «straniera» la Lis è per un udente una lingua complicata, ma affascinante; ad esempio, il modo in cui si indica il tempo presente, passato e futuro: si considera una immaginaria (ma non tanto) «linea del tempo» che è collocata all'altezza delle spalle del segnante: davanti è futuro, all'altezza del collo è presente e sulia spalla è ù passato. Nel suo libro Vedere voci (Adelphi, 1990), Sacks sostiene la rilevanza neurologica della Lis, richiamando l'attenzione sul fatto che noi siamo, per educazione e formazione, totalmente sgrammaticati spazialmente: siamo cioè fisiologicamente incapaci di immaginare una simile forma dello spazio, esattamente come non riusciamo a immaginare di avere una coda o vedere neU'infrarosso. Sulla scorta di studi neurologici, Sacks suggerisce l'idea che l'uso della Lingua dei Segni, per una sua forma spaziale, attiva emisferi cerebrali che altrimenti sono come morti,, inerti, proprio come accade quando nella propria esistenza non si è educati ad ascoltare la musica, a disegnare o a scolpire. Speriamo che i futuri riformatori della scuola ne tengano davvero conto. Marco Belpoliti Una grammatica e un dizionario per la lingua «spaziale» dei segni A sinistra Oliver Sacks; a destra una maestra spiega la lingua dei segni

Luoghi citati: Italia, Torino, Washington D.c.