L'INGOMBRO DELLA MADRE
L'INGOMBRO DELLA MADRE L'INGOMBRO DELLA MADRE UFFIZIO DELLE TENEBRE Fausta Garavini Marsilio pp. 170 L. 25.000 N romanzo cupo e funereo, raffina to nella scrittura, talvolta sin trop' po compiaciuta di sé, attraversato da uno sguardo interiore che sembra mettere tra parentesi il mondo, cristallizzarlo nei fantasmi della mente. E' l'impressione che suscita Uffizio delle tenebre, terza prova narrativa di Fausta Garavini, francesista a Firenze, dopo l'esordio vent'anni fa con Gli occhi dei pavoni, simbolica storia d'amore nei cieli di Provenza, e il più recente Diletta Costanza (1996), avventura biografica e affettiva della figlia di Vincenzo Monti. L'io narrante, figlio unico di ma dre vedova, una donna con «il gusto della tragedia, delle pose eroiche, dei pianti della vittima», si sente preso in trappola, risucchiato in un imbuto di ricatti, rimorsi e sterili finzioni, artigliato dalla chimera di Notre-Dame raffigurata sulla copertina del libro. Anche la sua infanzia, «chiusa e isolata», è assai lontana da quel ((giardino di delizie» di cui si può avere nostalgia: davanti allo sguardo del bambino, stretto tra i mutismi del padre e gli isterismi logorroici della madre, si disegna un mondo «pieno di doveri, di divieti e di sensi di colpa». Approdato all'età adulta, arena la sua vita su un binario morto, si sente già vecchio come gli «inetti» di Sve- di i b gvo, di cui sembra un lontano epigono: «avevo dovuto ripiegare le ah per adattarmi allo stretto orizzonte della mia esistenza». Per sfuggire al cerchio familiare e all'incolore mondo della scuola, si concede qualche fuga a Venezia, dove conosce Letizia, una restauratrice di quadri di Lubecca con cui intesse una «storia d'amore lontano». Incapace di vivere nel quotidiano, segnato dal legame tormentoso con la madre, dispotica e vittimista, proietta dentro di sé sdoppiamenti e allucinazioni fantastiche e si sente perseguitato da apparizioni misteriose, individui dal viso androgino e dagli occhi azzurri (l'uomo incrociato in una libreria, lo sconosciuto di Venezia che suona il flauto), tutti convergenti nel fantasma luciferino di Vogelmann. Sia l'amore per Letizia sia l'ossessione di Vogelmann diventano modi diversi per sperimentare la distanza tra il qui e Valtrove, espressa in un diario che nasconde tra le pagine di un vecchio atlante. Sogna anche di scrivere un roman¬ zo dal titolo La Raggiera, ma teme i rischi della letteratura intimista, della «narrativa ombelicale». La malattia della madre, costretta all'immobilità da una trombosi, lo obbliga ad impegnarsi nelle incombenze pratiche, dalla ricerca di una casa di riposo, poi scartata dopo la visione di quella galleria di vecchi, ridotti a figure larvali, relitti della vita, all'assunzione di una governante. Cova fantasie di matricidio che rivelano le sue frustrazioni e debolezze e si rende conto, dopo aver visto Monsieur Verdaux di Chaplin, che la bontà e l'amore pos sono indurre ai peggiori delitti. Intanto scrive il romanzo, specchio del suo rapporto con la madre, e lo pubblica con discreto successo. Ma dopo la morte di lei, l'io narrante non trova la libertà e la leggerezza che sognava, si accorge che non gli è possibile varcare il confine della sua esistenza, mediocre e marginale, e liberarsi dai suoi fantasmi. Massimo Romano UFFIZIO DELLE TENEBRE Fausta Garavini Marsilio pp. 170 L. 25.000
Persone citate: Chaplin, Diletta Costanza, Fausta Garavini, Fausta Garavini Marsilio, Massimo Romano, Vincenzo Monti, Vogelmann
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