LA CAPRIA CON GRAFFITI di Lorenzo Mondo

LA CAPRIA CON GRAFFITI LA CAPRIA CON GRAFFITI NAPOLITAN GRAFFITI Raffaele La Capria Rizzo//' pp. 232 L. 25.000 APOLITAN graffiti», di Raffaele La Capria: una raccolta di saggi che si presenta nella sue varie sfaccettature come autobiografia trasposta, tributo di amicizia, discorso sulla letteratura ma è sostanzialmente, per tutte queste vie, un libro su Napoli. A partire dal primo pezzo, quasi un introibo, dove si parla del portentoso giallo che, generato dalla consunzione di altri colori, intride certi tramonti della città. Ma è subito significativo che a questa luce si affianchi nel ricordo quella tutta mentale di un Klee, sedotto dai fondali marini (in analogia con il giovane La Capria di Ferito a morte). Voglio dire che l'effusa magia naturale viene a fissarsi nel reticolo capzioso filtrato, oltreché dall'acqua, da una vigile intelligenza, anticipando il contrasto netto che, nell'indagine della città, oppone natura a ragione. Una natura che, al di là delle connotazioni paesistiche, esibisce le sue livide tonalità, gli anfratti di un mondo «irredimibile». Napoli, agli occhi di questo suo figlio, appare come una città, in senso tutto speciale, diversa. E' lo sviluppo abnorme che la stringe nella morsa di una periferia degradata; è la presenza, nel suo stesso cuore, di una plebe fatalista e indocile, sopravvissuta alla decomposizione di civiltà e imperi, nemica di ogni mo¬ dernità. Ma il dato più rilevante, per quanto attiene alle opportunità della storia, è la feroce guerra civile del 1799. Allora la borghesia illuminata, che si illudeva di importare la rivoluzione giacobina, fu sterminata dalla plebe che osannava al re Borbone. In questo trauma buona parte della cultura napoletana trova le radici di un mancato sviluppo civile. La «grande paura» borghese si risolve in un ripiegamento senza orizzonti, e perfino complice, nella «napoletanità». Cerca di convivere con la plebe smussandone, insieme al potenziale distruttivo, anche le confuse aspirazioni di riscatto. Le conseguenze sono avvertibili nella lingua e nel costume. Non è un caso che a Napoli la borghesia non abbia saputo rappresentarsi in un romanzo e che la lingua «tosta» del dialetto antico si sia trasformata nella lingua «molle» del dialetto odierno. Dal «Pentamerone» di Basile, prodigiosa sintesi di natura e cultura, alle estenuazioni di Salvatore Di Giacomo e della canzone. La rivoluzione mancata, la sconfitta della ragione, è il filo conduttore di queste pagine, è il mito fondatore al quale viene ricondotta la frattura tra una Napoli «vista dal basso», sulla scorta di un populismo che attribuisce alla plebe valori salvifici, e quella «vista dall'alto», consegnata a una aristocratica separatezza, al sogno di una «nobilissima» capitale perduta. La Capria, pur sentendosi più vicino alla seconda, non si nasconde che soltanto attraverso una conciliazione dei due punti di vista Napoli potrà diventare una città normale. Il tema ricorre con varie sfumature negli scrittori napoletani, che La Capria ci presenta con affettuoso acume, con lealtà incorrotta, quale si conviene a compagni che si ritrovano lungo un aspro cammino. La folgorante apparizione di Rea che recupera nel dopoguerra una tradizione linguistica interrotta da oltre un secolo. Prisco e l'amarcord di una borghesia ar¬ roccata nella difesa di una residua dignità. Compagnone che scaglia dal ventre di Napoli le furenti, sulfuree invettive contro una «città senza grazia». Pomilio appartiene a un'altra razza, sfugge al determinismo ambientale e alla referenzialità napoletana nel mite rovello della sua coscienza religiosa. C'è poi l'esperienza della rivista «Sud» (ai nomi citati vanno aggiunti quelli di Prunas, Ghirelli, Giglio, Compagna, Patroni Griffi, Anna Maria Ortese...) che nelle strettoie della napoletanità e di un torvo ideologismo comunista seppe aprirsi ostinatamente una finestra sull'Europa. Quei ragazzi che la transfuga Ortese avrebbe inchiodato impietosamente alla loro disperazione e disfatta. Sono volti e voci, indissolubilmente legati alla propria giovinezza, che La Capria vuole sottrarre alla rapina del tempo; riconquistarne, dalle sponde della maturità, il generoso respiro. Gli sembrano cittadini a pieno titolo di un mondo che si disvela come uno spazio immenso, ben al di là dell'abbraccio immagante ma angusto del Golfo. Crede che anche dietro la loro ispirazione Napoli possa farsi avamposto, anziché deriva, d'Italia e d'Europa verso un Mediterraneo che ribolle di nuovi scontri e confronti di civiltà. E' un concedersi infine alla forza dell'utopia che il travaglio oscuro della storia riesce talvolta a rendere credibile e realizzabile. Lorenzo Mondo NAPOLITAN GRAFFITI Raffaele La Capria Rizzo//' pp. 232 L. 25.000

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