PINELLI: COSI' GIRA LA RUOTA DEL MISTERO

PINELLI: COSI' GIRA LA RUOTA DEL MISTERO PINELLI: COSI' GIRA LA RUOTA DEL MISTERO «La casa di Robespierre», esordio a 90 anni ROMA LLIEVO di Augusto Monti al liceo «D'Azeglio», amico di Cesare Pavese e degù' altri della «banda» (da Antonicelli a Mila a Ginzburg a Bobbio, che si ritrovavano nella sua casa torinese di via Pastrengo 24), Tullio Pinelli è autore di una dozzina di drammi rappresentati con successo, in parte pubblicati da Einaudi nel '75, in parte due anni fa da Editori & Associati. Soggettista e sceneggiatore di film celebri per Germi (In nome della legge, lì cammino della speranza, Il brigante di Tacca di Lupo), per Lattuada [Il Mulino del Po), per Rossellini IL'amore), per MoniceÙì feriamo che sia femmina), ma soprattutto per Fellini (da Luci del varietà a La strada, da La dolce vita a 81/2, da Ginger e Fred a La voce della luna), ora è diventato anche scrittore narrativo con i cinque racconti de La casa di Robespierre. Un esordio a novant'anni di questi tempi è una notizia (forse solo Dolores Prato, esordiente o quasi a ottantotto, riuscì ad essere di poco più precoce!. Tanto più che si tratta di cin- que racconti che non hanno nulla re. Un esordio a novantanni di questi res Prato, esordiente o quasi a ottantococe!. Tanto più che si tratta di cin- que racconti che non hanno nulla da spartire con la scrittura cinematografica. Cinque storie di sohtudine, di rinuncia, di follia, drammi interiori precisi ed esatti come non se ne scrivono più. Uno studioso antiquario modellato su un personaggio «vecchio Piemonte» esistito per davvero, un cuore semplice che vive per i bambini altrui, la follia acuta di una donna che dialoga con le sue galline, un esilio donchisciottesco e strano che coinvolge due amici, l'avventura allusivamente tragica di una coppia d'innamorati. Racconti scritti secondo la cifra comune «di un sogno a cui dedicare la vita»: «M'interessa la follia come modo della contraddittorietà, la possibilità che' l'uomo ha di essere doppio triplo quadruplo, avvòlto riél1nistèro'''àT:brigine divina', sovrumana', e che si rivela come complessità». Sulla ruota del mistero Pinelli pare estrarre anche il suo stupore di patriarca che non sente di esserlo, poiché a far novanta (il 24 giugno) saranno gli anni, non la paura: «Mi è difficile dire che cosa significhi aveie novant'anni perché magari m'impongo di pensarci ma non mi viene spontaneo. Certo è l'idea di non avere futuro, è il carico dei sentimenti per tutto ciò che si è perso, amici e compagni a cui sono state intitolate piazze e strade, è constatare che gli avvenimenti della tua vita sono diventati oggetto di storia e che si parla di persone quotidianamente frequentate come noi potevamo parlare di Cavour o di Vittorio Emanuele». La voce è vibrante, il fisico mantiene l'energia del militare'di cavalleria che ha frequentato la scuola di Pinerolo e negli occhi azzurro-chiari vale l'onesta limpidezza di uno sguardo privo di finzioni. Mentre la memoria va all'infanzia, alla bella tenuta e alla villa padronale di Alpignano, nella campagna di Torino, dove furono la passione del padre e la lettura meravigliosa del libro di Yambo (Enrico Novelli), TI teatro dei burattini, a rivelare il futuro drammaturgo a se stesso. A titoli come I nipoti di Scaramello, Cuor di fanciulla, Tartaglia innamorato si legano infatti per imitazione le prime sortite bambine di una vocazione duratura, che in una miscela un po' datata di tenerezze dialettali e di colore locale addirittura non disdegna (il contrario dello snobismo) di saltare la còrda appéna un po' pazza del Gianduja ridarello. Con La' marchesana Monbaron l'ex allievo di Monti vince un concorso bandito dalla Famija Turinèisa ed è premiato al Teatro Rossini con una rappresentazione da ricordare anche a causa di uno sconosciutissimo Macario in veste di attore giovane. Poi l'«awocato» Pinelli, civilista allenato allo studio di Manlio Brosio, scende alla capitale chiamato dalla Lux Film di Gualino a sceneggiare per Camerini La figlia del capitano di Puskin, in concorso con Vittorini e Brancati («Sono risultato vincitore e mi hanno stipulato un lauto contratto per tre sceneggiature annuali, che poi non ho fatto a causa dell'occupazione tedesca»), mentre il trasferimento vero e proprio avvenne solo dopo la guerra, dopo la resistenza fatta nelle file «del partito liberale di Antonicelli». Come ogni buon piemontese doc Pinelli non usa mai il passato re- moto ma sempre il prossimo: «E' avvenuto a me come a Pavese. Andavo a prenderlo alla sede romana dell'Einaudi e lui ne usciva esasperato. Io, per parte mia, senza nessun'altra necessità tornavo a Torino ogni quindici giorni a respirare, perché mi venivano delle vere e proprie crisi di nervi, poi mi ci sono abituato. Roma ha risorse incredibili, bellezze sorprendenti, mi ha dato una maggiore apertura, una maggiore possibilità di capire, una maggiore disponibilità. Nella vita di Torino ero più dogmatico». TI ricordo di Fellini viene naturale: «L'avevo già intravisto alla Lux Film che era un vero porto di mare, poi ci siamo trovati per caso a piazza Barberini davanti a un'edicola e parlando ci siamo intesi subito. Lui era diversissimo da me, per età, per formazione familiare, culturale, direi anche regionale, ma avevamo tutt'e due il senso dell'avventura, del divertimento, della scoperta e il sentimento del mistero, dell'ultraterreno che in lui ha preso forme anche molto superstiziose. Si è trattato di una diversità complementare. Lui era nato con il carisma del protagonista. Andavo a casa sua e Giulietta faceva da mangiare o lo portavo abbastanza spesso in campagna, in una trattoria che conoscevo, pane, salame, e gatti. Gli piaceva recitare la parte del prim'attore, la gente gli chiedeva l'autografo e lui gradiva. Era un grande seduttore». Vale per sé il quasi esatto contrario. Uomo di cinema ma sempre fuori dai set («ci sono stato solo due o tre volte»), Pinelli ha vissuto una vita appartata. Ne parla seduto su una poltrona dello studio più spoglio che sobrio, la macchina per scrivere su un tavolinetto, qualche modesto scaffale di libri, il tavolo su cui trionfa la bottiglia di arnèis, un vaso di peonie color ciclamino, qualche quadro e qualche cùnelio di famiglia alle pareti: due testi di Du Bellay e di Plantin stampati da Tallone, un ritratto di Elena di Francia duchessa di Aosta al «conte Pinelli» (padre), datata 1904, un bellissimo ritratto fotografico della seconda moglie, Madeleùie Lebeau, che Pinelli (figlio) ha sposato a ottant'an- ni: «Attrice giovane in Casablanca, Madeleine ha interpretato come protagonista Fiunch girl, l'unica produzione teatrale diretta da René Clair a Broadway, io l'ho conosciuta lavorando a 8 1/2 dove faceva il personaggio della lumachina». Rampollo di nobile casato, il vecchio gentiluomo di campagna si diverte ancora a far giardino sulla terrazza della casa di via Lucio Cassio che è venuto ad abitare dopo il secondo matrimonio (un quartiere della Roma più abusiva e palazzinara). Quattro candidature all'Oscar, cinque Nastri d'Argento, il David di Donatello non gli hanno attenuato il gusto di progettare e di fare (La strada che esordirà presto in teatro, un progetto con altri di cui non può parlare, una sceneggiatura da rivedere per un film televisivo in coproduzione Turi VasileMediaset). E tuttavia il gran gusto contadino continua ad essere quello di piantar pianticelle almeno nei vasi della terrazza affacciata sul lontano Soratte. Un gesto in cui l'antica speranza continua a camminare insieme con la vocazione più tenace, quella che fin da una lettera del 19 settembre 1926 indirizzata a Pavese alle soglie dell'Università sembra scavalcare ogni più segreta follia: «Mi attira molto, moltissimo, l'idea dell'agricoltura». Pinelli oggi ne sorride ma conferma: «Pensi che spesso sogno di dare da mangiare e da bere ai cavalli, di distinguere il grano tenero dal grano duro. Il sangue campagnolo mi è rimasto», e in piemontese degusta «sangue campagnin». Giovanni Tesio LA CASA DI ROBESPIERRE Tullio Pinelli Sefferio pp. 89. L 12.000 A destra, Tullio Pinelli. In alto: da giovane a Torino, è il secondo da sinistra; al centro Pavese, alla sua destra Augusto Monti. Sotto, con Felllini negli Anni '60 Allievo dì Monti, 01,093 turnice? di Pavese, -luiwiqwj '"soggettista e sceneggiatore per Germi, Roberto Rossellini e soprattutto Fellini Cinque storie di solituauie, di rinuncia, di follia, dramnù interiori precisi ed'eMtti come non.se ne s&wono più Il PIRSONAGGIO