LA TERZA PARTITA di Aldo Rizzo

LA TERZA PARTITA LA TERZA PARTITA una, quella sportiva e quella politica. Ce n'e una terza, questa tutta iraniana. E' la partita tra le due anime del regime di Teheran, quella riformatrice e modernizzatrice del presidente Khatami e quella conservatrice e teocratica dei suoi oppositori. Questa terza è la partita vera, e l'incontro di Lione sarà servito a qualcosa solo se ne influenzerà l'esito. Ha vinto l'Iran, ed era ciò che in fondo tutti speravamo, perché questa soddisfazione nazionale potrebbe (dovrebbe) appagare entrambe le fazioni, e servire a Khatami per procedere senza complessi d'inferiorità popolari nelle sue aperture politiche e diplomatiche. L'intreccio tra sport e politica non è certo inedito. Per quanto l'uno e l'altra rispondano a logiche proprie e autonome, essi hanno echi ugualmente profondi nella società e possono interagire anche nei rapporti tra gli Stati. C'è il precedente clamoroso del 1971 tra gli Usa e la Cina, da tutti ricordato. Anche in quel caso c'era di mezzo un campio- nato del mondo, di ping pong e non di calcio, non in Francia ma in Giappone, a Nagoya. Come scrisse Henry Kissinger nelle sue memorie, «i nove giocatori della nostra squadra non lo sapevano, ma stavano per diventare anche le pedine di una complicata partita a scacchi». Uno di loro, il diciannovenne Glenn Cowan, studente di scienze politiche a Santa Monica, fece amicizia col capitano della squadra cinese Chuang Tse-tung, al quale regalò una maglietta della propria università. Chuang ricambiò con un fazzoletto stampato con scene di vita cinesi. Seguì l'invito alla squadra americana a visitare Pechino, dove fu ricevuta addirittura dal primo ministro Ciu En-lai. La Cina, come oggi l'Iran, usciva da una lunga fase di isolamento rivoluzionario, e ad attenderla c'era la solita America, la superpotenza temibile ma anche paziente. Con la Cina, l'America aveva un problema d'incomunicabilità, con l'Iran c'è qualcosa di più, il ricordo di fatti specifici come l'attacco all'ambasciata Usa di Teheran, il sequestro di decine di americani durato 444 giorni, il tentativo fallito dell'allora presidente Carter di liberarli con un atto di forza, ciò che gli costò la Casa Bianca, in favo- re di Reagan. Uno scontro epocale. E tuttavia, come Cina e Stati Uniti scoprirono i vantaggi di parlarsi tra loro quando era ancora forte l'Unione Sovietica, nemica o rivale di entrambi, così oggi Stati Uniti e Iran hanno un interesse oggettivo a ristabilire rapporti normali, ancorché dialettici. L'Iran per entrare, dopo la sbornia ideologico-religiosa di Khomeini, nel circuito globale della modernità, gli Stati Uniti per associare agli sforzi di pace in Medio Oriente e in Asia un'imprescindibile potenza regionale. Perché ciò sia possibile, occorre che Khatami vinca la sua partita interna. L'incontro di calcio a Lione, voluto dalla sorte (dai sorteggi) più di quanto non fosse per la presenza dei cinesi al campionato mondiale di ping pong a Nagoya, darà il suo contributo? Al di là del risultato, dovrebbero contare il «fair play» e i gesti di cordialità, gli inni nazionali ascoltati con rispetto, la foto in comune. Il resto tocca alla politica e alla diplomazia in senso proprio. Lo sport può offrire un'occasione, ma non può cambiare da solo il corso della storia. Ha già fatto molto, a Lione. Aldo Rizzo

Persone citate: Ciu En-lai, Glenn Cowan, Henry Kissinger, Khatami, Khomeini, Reagan