«lo, Mandela e Gheddafi rifaremo l'Africa»

«lo, Mandela e Gheddafi rifaremo l'Africa» INTERVISTA IL LEADER DEL GHANA Oggi la visita in Italia. La sua ricetta: fine dei conflitti intestini e apertura al mercato globale «lo, Mandela e Gheddafi rifaremo l'Africa» Rawlings: il Continente a una svolta ACCRA DAL NOSTRO INVIATO Nel bianco Castello di Accra costruito dai danesi nel XVI secolo l'ufficio privato di Jerry Rawlings è una stanza di due metri per tre affacciata sull'Oceano e letteralmente a soqquadro. Carte e libri, telefoni e sveglie, videocassette e cd-ròm, occhiali da sole e documenti di Stato sono ovunque, coprono quasi del tutto il tavolo e il pavimento. Con indosso una tuta gialloverde e scarpe da ginnastica, Rawlings sta seduto su un divano di pelle nera e dai tre telefoni che ha davanti governa il Ghana con orecchie attente alle zone di crisi dell'Africa Occidentale: Guinea Bissau, Liberia, Sierra Leone, Nigeria. Chiama personalmente capi di Stato e capi villaggio, parlamentari, uomini di Chiesa ed industriali. A volte gli capita anche di sbagliare numero ma chiede scusa e riattacca. «Il mio stile è diretto, non mi piacciono i giri di parole, vado subito al sodo per risolvere i problemi», dice di sé Da 20 anni alla guida del suo Paese, Rawlings è refrattario ad ogni etichetta politica: socialista da sempre e cattolico credente, piace a Washington per aver saputo instaurare un raro esempio democrazia parlamentare ma è anche estimatore di Fidel ed amico di Gheddafi. Da oggi sarà in Italia per una visita di tre giorni che lo porterà anche in Vaticano. Presidente Rawlings, l'Africa occidentale è un focolaio di crisi. Teme che possano contagiare anche il suo Paese? «Le crisi in Liberia e Sierra Leone hanno dimostrato quanto è decisiva la cooperazione regionale per superare le guerre fratricide che ci tormentano. Dopo esserci liberati dal colonialismo dobbiamo superare gli odi intestini. E' la sfida della nostra generazione ma bisogna unirsi, cooperare, per farcela. L'intervento dell'Ecowas (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, ndr) e delle sue forze militari dell'Ecomog ha portato alle elezioni in Liberia dello scorso anno e alla restaurazione in Sierra Leone del presidente Tejan Kabbah. Per questo il Ghana è impegnato nel rafforzamento dell'Ecowas ma sarà un processo lungo e difficile». Che cosa ostacola la nascita di un sistema di sicurezza regionale nell'Africa occidentale? «Il fatto che siamo soli. In Liberia l'Ecomog ha avuto bisogno di sette anni per riportare la pace perché non abbiamo risorse e la comunità internazionale non ci ha aiutato come ha aiutato l'Europa prima con la Bosnia e ora con il Kosovo. In Sierra Leone il successo della missione è stato più rapido solo grazie al contributo della Nigeria. Queste esperienze ci hanno dimostrato che possiamo morire per la pace anche se il mondo non ci aiuta. Per questo voghamo rafforzare ciò che esiste: dar vita ad un organismo dell'Ecowas per prevenire ed affrontare crisi. Come primi passi formeremo un'unità specializzata nel controllo dei conflitti e un corpo di osservatori permanenti per monitorare le situazioni più difficili. Stiamo lavorando ad un'intesa per la moratoria su importazioni, esportazioni e fabbricazione di armi leggere». L'Ecowas può essere un modello per altre zone africane? «Lo dovrebbe essere soprattutto da un punto di vista economico visto che la sua nascita ha contribuito a stabilizzare le monete locali. Nonostante le rivolte di piazza causate dalle misure finanziare che vennero prese». E' preoccupato per la stabilità della Nigeria dopo la morte del generale Sani Abacha? «La pace nella regione ha bisogno della Nigeria in pace. Non osò im¬ maginare che cosa significherebbe una fuga in massa di profughi da quel Paese. Spero e conto sul sostegno della comunità internazionale durante la transizione in corso in Nigeria. Conosco le critiche che vengono rivolte al defunto Abacha ma senza di lui la guerriglia in Sierra Leone sarebbe continuata per anni». Lei è fra i pochi ad avere un rapporto diretto con il nuovo presidente del Congo ex Zaire. Chi è Laurent K ab il a? «Non conosco le sue ambizioni politiche. Ma è un uomo che ha alle spalle un movimento popolare radicato nel Paese, che vuole porre rimedio alla pesante eredità di problemi di Mobutu». Gheddafi propone cooperazione fra gli Stati a Sud e a Nord del Sahara. £' un progetto che condivide? «Apparteniamo allo stesso continente. Perché permettere al Sahara di dividerci? La Libia è interessata all'unità africana ed alla difesa dell'indipendenza e della sovranità dei nostri Stati. Lo dimostrano i positivi sviluppi delle relazioni col Kenya. Gheddafi sta alzando il suo profilo internazionale e l'offerta di cooperazione arabo-africana è benvenuta. Anche per questo l'Organizzazione dell'unità africana ha deciso che ignorerà alcune sanzioni dell'Orni per il caso-Lockerbie se l'Occidente non mostrerà maggiore flessibilità». Ma Gheddafi è sospettato di destabilizzare mezza Africa, aiutando anche i guerriglieri in Liberia e Sierra Leone... «Guardi, si diceva lo stesso di me nel 1979, quando vinse la nostra rivolta. Italia e Canada furono fra i pochi a non accusarci. Gheddafi è sospettato come lo ero io. Era falso allora, lo è anche oggi. Non sono molti gli Stati come la Libia che hanno aiutato i movimenti di liberazione». Dopo il viaggio in Africa di Bill Clinton ora è in arrivo Jacques Chirac. Come vede l'equilibrio fra Stati Uniti e Francia? «Il viaggio di Clinton è stato storico perché il proposito era di far cambiare agli americani la percezione dell'Africa. Può essere l'inizio di una nuova era, -del nostro decollo economico. Anche perché all'America ci unisce un legame particolare: è il Paese fuori dall'Africa dove vive il maggior numero di neri. Con la Francia gli Stati Uniti hanno un rapporto di rivalità. E' una delle eredità della scomparsa del blocco sovietico. Il continente d'altra parte è diviso da secoli tra francofoni e anglofoni». Il sudafricano Nelson Mandela ha auspicato un «rinascimento» africano. Come interpreta questa speranza? «L'Africa ha voltato l'angolo, ora deve cambiare mentahtà sullo sviluppo. Acquisita la libertà del continente dobbiamo pensare all'inte-. grazione economica. Serve un unico mercato per unire le forze ed affrontare la sfida della globalizzazione». Che spazio c'è per l'Unione europea in Africa? «Gli africani hanno un legame antico con l'Europa che spesso risale a prima dell'epoca coloniale. Vogliamo conservare questo rapporto. Al momento le nostre relazioni sono basate sulla Convenzione di Lomé per la cooperazione economica che scadrà nel 2000. Dobbiamo ridefinire i rapporti e lasciarci alle spalle il tradizionale sistema di aiuti. I mercati europei devono offrirci la possibilità di competere come partner commerciali a pieno titolo. L'Africa non deve restare ai margini della globalizzazione». Ma l'Africa è in grado di affrontare la sfida dei mercati? «L'Africa deve avere coraggio sulla strada delle riforme economiche ma ha bisogno della partnership europea per poter competere sugli investimenti e per espandere la produttività. Un mercato africano più grande conta anche per gli europei». Crede che il suo connazionale Kofi Amian riuscirà a portare a termine la riforma del Consiglio di sicurezza? «Kofi Annan sta dimostrando con i fatti il suo impegno per la pace e la sicurezza nel mondo. Per quando riguarda il Consiglio di sicurezza dell'Orni speriamo in una riforma che aumenti la democrazia, la trasparenza. Non si può pensare di risolvere tutto facendo di Germania e Giappone due nuovi membri per¬ manenti. Il mondo non è più quello del 1945. Bisogna decidere il nuovo criterio con cui scegliere chi siede nel Consiglio di sicurezza. E non è detto che sia il possesso delle armi atomiche». Che cosa si aspetta dalla sua visita in Italia? «La cooperazione bilaterale ha grandi possibilità. Vogliamo dar vita a commissioni pennanenti per gli scambi commerciali e gli investimenti industriali. L'Italia può aiutarci in progetti cruciali come quelh per portare l'acqua in tutte le case di Accra o per realizzare il gasdotto che dovrebbe partire dalla Nigeria ed arrivare da noi. Il calo delle acque del Lago Volta ci pone infatti seri problemi energetici». Qual è la ricetta per far convivere democrazia e sviluppo? «In Ghana abbiamo capito che l'unica maniera per coinvolgere la gente nella vita del Paese è farla partecipare. Chi si sente protagonista poi produce. Capisce che cosa serve al Paese, quali sono i problemi. Imporre l'obbedienza con la forza è un errore e non serve ad accrescere il benessere ma solo a creare il terrore. Anche Cuba lo dimostra...». Considera Fidel Castro un esempio di democrazia? «Castro è sopravvissuto alla fine del blocco sovietico perché a Cuba c'è un forte coinvolgimento popolare a difesa della patria». Ha annunciato che non si ricandiderà nel 2000. Che cosa prevede per il Ghana? «Il Ghana ha fatto la sua scelta venti anni fa. Le nostre istituzioni sono solide perché la gente partecipa, vota e si confronta. Quando lascerò la presidenza non cambierà nulla. Ho lavorato 20 anni affinché la democrazia in Ghana non dipendesse da me. Credo di esserci riuscito». Maurizio Molinai-i «Sì sono amico degli americani, ma anche del Colonnello e di Fidel Castro» A sinistra Jerry Rawlings presidente del Ghana sotto, Nelson Mandela