L'addio nell'ultimo abbraccio

L'addio nell'ultimo abbraccio L'addio nell'ultimo abbraccio «Non volevo piàjjederla soffrire» MONZA DAL NOSTRO INVIATO Voleva liberare la moglie, imprigionata dalla malattia, accompagnarla alla morte, così come, ogni giorno di questi ultimi 25 anni di matrimonio, l'aveva accompagnata alla vita. Non si è chiesto se ne avesse il diritto oppure no, se lo è preso e basta, allo stesso modo in cui, più o meno alle ore 6,40, si è preso lo spazio azzurro, congelato dai neon, del reparto Rianimazione: «State tutti fermi, per favore». Si è chiuso alle spalle la porta a vetri, è avanzato di un passo. Intorno a lui: quattro stanze a due letti, quattro infermieri, un ausiliare, un medico di guardia. Ha detto: «Non vogbo farvi del male, voglio solo vedere mia moglie». Vedere la moglie e staccarle la spina. «Pazzo, però calmissimo» dice uno degli infermieri. «Non avevamo paura, aveva modi per bene, anche se sembra strano dirlo, perché aveva quella pistola in mano». Dietro a quella pistola c'è la storia di Ezio Forzatti, 49 anni, ingegnere nucleare, timido di carattere, gentile di modi. E c'è la storia di Elena Moroni, 46 anni, maestra elementare, timida di carattere, gentile di modi. Si erano conosciuti ai tempi del liceo. Nessun'altra storia d'amore aveva interferito, nessuno strappo li aveva mai allontanati. «Stavano insieme come quando erano ragazzi», racconta Stefano, il cugino. Adesso la loro casa, svuotata dalla rovina, bolle sotto al sole. E' una bella casa, lontana dal paesone, in fondo a un rettilineo verde, una villetta grigia con le pietre a vista, il vialetto di ghiaia, il giardino dove respirano ortensie arcobaleno e rose appena appena sgualcite dal caldo. Ogni finestra ha le tende bianche. Ogni ombra galleggia nel silenzio. L'ordine che si vede fa parte della storia, perché immagini che l'improvviso disordine della malattia - incurabile, dolorosa - debba avere inghiottito tutto, il giardino, il futuro, il cuore. Quest'estate sarebbero dovuti partire in crociera per gli Stati Uniti. «Si facevano il regalo delle nozze d'argento» dice Antonio Moroni, il padre di lei, che ha voce senza pianto e senza recriminazioni. Lui era lì, ieri mattina, ma non sapeva, non immaginava, e quando ha saputo («Sono arrivato alle 8, c'era la polizia...») non ha fatto alcuna fatica a immaginare. Dice: «Mio genero era ancora lì. Era successo tutto mezzora prima. L'ho abbracciato, perché ho capito le ragioni, ho capito il dramma...». E aggiunge: «Non ho la forza di giudicarlo. E' bene che ognuno si tenga il proprio dolore, senza darlo in pasto alla gente, perché tanto non è con le parole che si può spiegare». Da quella casa, l'ingegnere e la maestra, uscivano ogni mattina molto presto. Lui andava a insegnare all'Istituto tecnico di Gorgonzola, lei alle scuole elementari di Monza. «Quello era l'unico momento della giornata in cui stavano separati», dicono i vicini. All'ora di pranzo erano già a casa. «Nel pomeriggio non uscivano quasi mai», raccontano. «Erano così tranquilli». «Si vedeva che si volevano bene». «Pensi che andavano insieme anche a fare la spesa, giù al supermercato». E ancora: «Pensi che una volta, l'anno scorso, li avevamo invitati a cena - dice la moglie di Stefano - perché non frequentavano proprio nessuno e alla fine loro hanno detto no grazie. Erano molto riservati, si bastavano». I nostri cuori, dice una vecchia poesia, rispondono a stelle che non vogliono saperne di noi. Dieci giorni fa su tutti i muri che loro due (insieme) avevano costruito, è comparsa la crepa della diagnosi. La crepa è diventata una voragine. Ricovero d'urgenza, analisi, emorragia cerebrale, «ingenza del danno notevole» è il referto. Sabato all'alba, l'operazione. Sparito nella sala operatoria, il corpo di lei era tornato immobile, intubato, monitorato da terapia intensiva, cuore, pressione, circolazione: cavi, cannule, aghi, e poi, da dentro a fuori, il collegamento al ventilatore pórlfffàspirazione forzata." Prognosi? Nessuna prognosi. «Dovremo aspettare almeno 48 ore» gli avevano detto i medici. Quarantotto ore e poi? L'indifferenza della vita (e del giardino, e delle tende bianche, e del vialetto di ghiaia, e della casa) devono avergli assorbito il sonno, sbiancato lo sguardo, moltiplicato i silenzi e specialmente i ricordi. Perciò avrà ricordato delle molte estati passate e dei pomeriggi dove accadevano cose che nessun altro potrebbe ricordare. E di quando all'inizio progettavano di avere figli, ma l'indiffernza della vita non lo aveva permesso concedendogli ortensie, giardino, viaggi. E di come avrebbero visto l'America, insieme, dopo la crociera che preparavano da un anno, e che adesso, l'indifferenza della vita, gli negava. Così Ezio Forzatti, l'ingegnere, ha preso la sua decisione. E con la decisione, la pistola, ma senza caricatore. Ha guidato sino all'ospedale. E' salito. Ha fatto la sua gentile e addolorata irruzione. Dicono i testimoni che abbia abbracciato la moglie, ma senza piangere. Poi si è chinato a guardare i fui e i tu¬ bi. Ha controllato gli interruttori delle macchine! Si è voltato ancora una volta. E alla fine ha staccato. Ha staccato, poi ha chiesto di un medico che constatasse la morte. Il medico è arrivato. Ezio Forzatti voleva essere sicuro, questa volta, che l'indifferenza della vita non gli avrebbe negato la morte della moglie. Poi si é arreso, disponibile a tutte le conseguenze del mondo, le manette, il carcere, l'accusa di «omicidio volontario». Il suo movente lo spiega ai poliziotti: «Non volevo più vederla soffrire». Sono arrivati in due, prima trafelati, poi calmi. Gli hanno tolto la. pistola. Ma non l'hanno portato via subito. Gli hanno concesso di stare ancora qualche minuto lì, nella stanza, seduto sul letto, a parlare con il padre di lei, perché in fondo non è vero «che le parole non servono a spiegare». E dopo avere pronunciato tutte quelle necessarie ha detto: «Ora possiamo andare», non più nemico di quella indifferenza, ma incorporato alla rovina. E persuaso che nessun altro viaggio importi più. Pino Corrias Sempre insieme dai tempi del liceo, avrebbero voluto festeggiare le nozze d'argento con un viaggio in America «Non uscivano mai, si bastavano» L'ingresso del reparto in cui era ricoverata la donna. In alto, la polizia davanti all'ospedale San Gerardo di Monza

Persone citate: Antonio Moroni, Elena Moroni, Ezio Forzatti, Pino Corrias

Luoghi citati: America, Gorgonzola, Monza, Stati Uniti