Eutanasia a mano armata in ospedale
Eutanasia a mano armata in ospedale Monza: con la pistola in pugno, ha costretto il medico ad accompagnarlo nella camera Eutanasia a mano armata in ospedale Spegne le macchine che tenevano in vita la moglie MONZA DAL NOSTRO INVIATO «Mi dispiace, Elena non c'è più, è morta». Aveva le lacrime agli occhi ieri mattina Ezio Forzatti quando, verso le otto, ha incontrato i parenti di sua moglie Elena, cui mezz'ora prima aveva staccato il tubo del respiratore che ancora la teneva in vita nel letto del reparto rianimazione dell'ospedale San Gerardo di Monza. Ezio, 49 armi, ingegnere nucleare, insegnante in una scuola media a Gorgonzola, non ha aggiunto altre parole: il padre di sua moglie, Antonio Moroni, si è avvicinato ancora di più e l'ha abbracciato. Poi non ha capito bene perché degli agenti delicatamente li hanno staccati, portandosi via quel genero così innamorato della figlia. Elena era ancora nel suo letto, il viso pallido, i tubi del respiratore, delle flebo, del catetere staccati, simbolo di una sofferenza finalmente interrotta. «Encefalogramma piatto», avevano dichiarato i medici del San Gerardo la sera prima, lasciando a Ezio Forzatti solo qualche debole speranza. Elena, 46 anni, insegnante elementare a Monza, era stata operata alle 6 di sabato mattina per un'emorragia cerebrale dovuta a una piastrinopenia che impediva la coaugulazione del sangue e che 10 giorni fa l'aveva costretta al ricovero nel reparto C di Medicina dell'ospedale monzese. «Dopo un'intervento del genere bisogna aspettare che passino 48 ore prima di scio- gliere la prognosi», racconta Lorenzo De Marchi, un medico del reparto rianimazione: «Di solito, magari sbagliando, preferiamo essere più ottimisti che pessimisti, anche se forse si regalano delle illusioni». Ma Ezio Forzatti illusioni ormai non ne aveva più: dopo aver passato 10 giorni al capezzale della moglie e aver visto la progressione di quel male diventare inarrestabile, sabato sera è andato a casa del padre di lei e gli ha spiegato che non c'erano più speranze, che quel viaggio negli Stati Uniti organizzato per festeggiare 25 anni di matrimonio con Elena non si sarebbe più fatto: «Ci vediamo domattina in ospedale», ha detto Forzatti prima di congedarsi. Dopo tutti quegli anni passati con Elena, conosciuta ai tempi del liceo, Ezio non poteva accettare che quella donna così intelligente e bella si trasformasse in un essere vegetale, in uno sguardo vuoto, in un respiro alimentato dal ritmo delle macchine di ventilazione. Così ieri all'alba, l'ingegnere si è presentato nell'anticamera del reparto con una pistola 7,65 in tasca. Erano le 6,40 quando ha suonato al citofono della rianimazione aspettando che la dottoressa di turno, Valeria Vitullo, lo riconoscesse e gli aprisse: «Deve attendere un attimo, signor Forzatti, gli inservienti stanno finendo le pulizie...». Ma l'ignegnere non aveva tempo: ha spianato il revolver sotto gli occhi atterriti del medico e le ha chiesto di accompagnarlo nella stanza della «sua» Elena: «Dottoressa, non vogbo farle del male, ma mi porti da lei». Quando è arrivato nella stanzetta che la moglie condivideva con un'altra paziente, ha chiesto come stava, ha mormorato qualche parola, poi l'ha abbracciata a lungo, baciata. Quindi, quando ha visto arrivare dal fondo della sala gli agenti di polizia, ha staccato il tubo del respiratore e ha aspettato che Elena morisse. La pistola tra le mani, la dottoressa attonita, il suono dell'elettrocardiogramma sempre più flebile, gli sguardi preoccupati degli infermieri e della polizia dall'altra parte del vetro: ci sono voluti quasi 50 minuti prima che Ezio lasciasse entrare il dottor Imperatore, un ami¬ co d'infanzia, il medico di famiglia che aveva seguito negli ultimi tempi la malattia di Elena, per fargli constatare il decesso della moglie. Ezio Forzatti lo aveva fatto chiamare dagli agenti: «Di lui mi fido. Non voglio nessun altro, altrimenti mi uccido». E solo quando il medico, alle 7,35, ha lasciato andare il polso della donna scuotendo la testa («Stai tranquillo - gli avrebbe detto - è morta davvero»), l'ingegnere ha consegnato l'arma, che non aveva mai caricato, agli agenti. Alle 8 sono arrivati il padre di Elena e la sua seconda moglie: «Ci ha detto che Elena era morta, ci ha abbracciato. Ma noi non abbiamo capito cos'era successo. Pensavamo che la polizia fosse lì per qualcos'altro. Vivevano l'uno per l'altro, non avevano figli. Un grande amore, forse un po' tragico». Ezio Forzatti stamattina verrà interrogato dal pm Vincenzo Fiorillo. Potrebbe ottenere subito gli arresti domiciliari, ma gli mquirenti, che ieri gli hanno sequestrato nell'abitazione anche un fucile da caccia, temono che possa compiere qualche gesto sconsiderato. Senza figb, senza genitori, senza il suo grande amore, l'ingegner Ezio ora è completamente solo. Ieri mattina è stato portato nel carcere di Monza con l'accusa di omicidio volontario. Prima di salire sull'auto della pohzia ha mormorato la frase più classica e tremenda: «Non volevo vederla soffrire così». Paolo Colonnello Si è consegnato solo quando gli hanno detto che la donna era morta Entrambi insegnanti erano sposati da 25 anni Lei era in coma
Luoghi citati: Gorgonzola, Monza, Stati Uniti
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