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La promessa di Aquila Veloce A NERICANE La promessa di Aquila Veloce EDGAR Nuvola Rossa, di Pine Ridge, South Dakota, decise di battezzare il suo alto amico dal viso pallido Aquila Veloce, per come correva sul disastrato campo di pallacanestro della riserva Lakota volteggiando le lunghe braccia come fossero ali, nel tentativo di rubare palla agli avversari. La cerimonia avvenne nella palestra della tribù. L'estate era quella del 1973, a pochi mesi dalla protesta degli indiani d'America a Wounded Knee. Nel ribattezzarlo, Edgar Nuvola Rossa spiegò all'amico venuto da New York per insegnare il basket ai ragazzi della riserva che «l'aquila rappresenta uno stato di grazia conquistato attraverso l'impegno e la comprensione». Poi sedettero a gambe incrociate sul campo e Nuvola Rossa, torcendo il collo per guardare Aquila Veloce, aggiunse: «Ricorda che la tua squadra di campioni del cesto è come un gruppo di guerrieri, una società segreta con i suoi riti iniziatici, un codice d'onore e una missione sacra da compiere: la conquista di un trofeo. Quando, un giorno che vedo già scritto nel libro del futuro, ne diventerai il capo, guidali come fossero una banda che attraversa le montagne e il deserto per il piacere di vivere una grande avventura insieme. E se fra di loro ci sarà uno più potente degli altri, insegnagli che è per gli altri che deve mostrare la sua magia e la sua chiara visione del cerchio sacro». Quando Aquila Veloce, per l'anagrafe Phil Jackson, divenne l'allenatore dei Bulls, fece mettere un totem nello spogliatoio, cominciare e finire ogni allenamento disponendosi in un cerchio sacro. Spiegò a Michael Jordan come diventare, sul campo, un guerriero Lakota. E quando, nell'estate del '98, vinse il sesto titolo Nba, mandò una dedica a Edgar Nuvola Rossa, semplicemente alzando gli occhi al cielo, dova, confidava, si sarebbero reincontrati. Gabriele Romagnoli