Kabul, vìvere col Grande Fratello

Kabul, vìvere col Grande Fratello VIAGGIO NEL REGNO DEI TALEBAN La polizia del ministero della Virtù controlla tutto: capelli, barbe, rispetto delle preghiere Kabul, vìvere col Grande Fratello La ferrea legge islamica degli studenti-guerrieri KABUL DAL NOSTRO INVIATO Era proprio un derby, la partita di calcio che l'altro pomeriggio i rossi dello «Shòa» hanno giocato contro gli azzurri del «Paymàn», entrambe squadre della capitale, una sorta di Roma-Lazio ma dentro lo scenario disgraziato di un mondo distrutto da vent'anni di guerra. Nello stadio di Kabul comunque affollato di turbanti, e adeguatamente rumoroso, è poi finita zero a zero, con la gamba rotta dello stopper, tanti calcioni, e anche parecchie proteste contro l'arbitro, che è una rassicurante conferma che il nostro mondo si somiglia dovunque. Al reporter straniero che sta tentando di capire che cosa sia oggi questo (aspirante) regno di Allah sulla Terra è parso comunque incoraggiante scoprire che qui lo stadio viene usato anche per i suoi compiti, diciamo, istituzionali, e non soltanto c>. ne arieggiata aula giudiziaria dove applicare pubblicamente le condanne della shari'a. Però, vista la partita, è parso altrettanto indubitabile che i protagonisti che calpestano le zolle verdi del suo terreno mostrano maggiore consuetudine con la pratica di ammazzare i colpevoli - o di amputargli la mano o il piede - piuttosto che con l'esercizio del tirare pedate a un pallone. C'era molto tifo sulle gradinate, popolate di soli uomini naturalmente, ma allo spettatore forestiero sarebbe stato comunque difficile scegliere tra «Shòa» e «Paymàn» perché, a parte le maghe, i ventidue in campo erano proprio uguali, non solo nel gioco ma pure nella lunghezza della barba, nel taglio ultracorto dei capelli, e nei mutandoni d'ordinanza (questo regno di Allah sulla Terra pare infatti che veda come una lussuria tentatrice i centimetri di coscia degli atleti, e i calciatori indossano braghe fino a metà polpaccio con, sotto, calzettoni all'anca, onde evitare ogni deprecabile turbamento dello spirito). Non c'era nemmeno il rischio di fuorviami confronti con quanto si sta praticando in questi giorni negli stadi di Francia, perché Kabul è uno dei pochi posti al mondo nei quali la televisione non esiste per niente. Se in Iran trasmettono le partite di Coppa con un ritardo di 10 secondi, per avere il tempo di praticare una eventuale censura sulle immagini, questi dell'Afghanistan - che sono ancor più puri e duri - il toro lo hanno preso per le corna, e la televisione nemmeno si sa più che cosa sia. Quando i taleban conquistarono Kabul, nell'ottobre del '96, uno dei loro primi provvedimenti fu infatti di proibire la tv, per la sua viziosa natura di strumento del demonio. I giovanotti barbutissimi della pohzia religiosa girarono casa per casa, a distruggere a bastonate 1 infernale apparato; ci fu chi fece a tempo a nasconderlo in legnaia o a seppellirlo provvisoriamente sottoterra, ma la gran parte dei televisori finirono sfasciati e comunque una decina di loro furono poi appesi, come trofei di vittoria, ai rami dei due grandi alberi che stanno di fronte al ministero della Morale pubblica. Oggi, i televisori, su quei rami non ci sono più. Però a ricordo dei giorni trionfali restano chilometri di nastri di musicassette che dondolano da tronchi e pah della luce, come monito contro le profane tentazioni sonore degl'infedeli. Il nome autentico del palazzone polveroso è comunque di ministero della Virtù e dell'Applicazione della Legge Islamica. Lo dirige il malawa Qalamuddin, che se uno ha in mente Mangiafuoco, grande quanto un armadio e con un barbone nero che gli scende fino a metà petto, quel Mangiafuoco lì è proprio il reverendo Qalamuddin, anche quando il ministro rivela poi - sotto il suo enorme turbante e sotto quella sua aria terribile di difensore dell'ortodossia - una gentilezza di modi che nemmeno i Lord della Camera. La sua polizia ha, però, una fama assai meno apprezzabile, perché scorrazza per le strade dell'Afghanistan con modi maneschi vigilando in maniera sbrigativa sulla rigorosa osservanza degli editti del ministero: lunghezza dei capelli, barba regolamentare, rispetto delle cinque preghiere quotidiane, donne mai sole per strada e comunque sempre sepolte sotto la burka e comunque mai con le scarpe con il tacco alto («perché il loro suono turba gli uomini e h distrae dal lavoro e dal pensiero di Dio»). Quando la polizia riesce a beccare il trasgressore - ma l'arrivo dei poliziotti Le trasgpune anch provoca più fughe che l'apparizione un tempo dell'accalappiacani provvede direttamente a infliggere la punizione, con bastonate, calcioni nel sedere, taglio immediato dei capelli, anche qualche ora di galera per una salutare meditazione sulle convenienze della virtù. Bisogna dire che non sono molti i giornalisti che riescono ad affacciarsi in Afghanistan. E il ministro è stato davvero cortese, accettando d'incontrare questo suo ospite straniero dopo soltanto un quarto d'ora di anticamera e l'apparizione di due marcantoni che hanno squadrato e risquadrato cautelativamente il nuovo arrivato. L'opinione ressioni «minori» sono te con bastonate, calci e qualche ora di galera di Qalamuddin è chiara, anche se accompagnata da dotte citazioni del Corano e della teologia islamica: 1) non ci venite a contar balle sulle vostre preoccupazioni di Paesi ricchi, perché quando un malato è in coma non gli si chiede se rispetti i diritti umani, e l'Afghanistan è in coma profondo; 2) il rigore con il quale applichiamo ora la legge isla¬ mica nasce dalla necessità di tenere unita la nostra gente fino al momento della vittoria finale; 3) abbiamo chiuso tutte le scuole per le donne perché sappiamo da nostre informazioni che il nemico ne stava approfittando per creare disordini; 4) le donne possono lavorare - e lavorano - ma mai insieme agli uomini; 5) tutte le misure restrittive sono temporanee, e verranno riviste quando avremo vinto la guerra. H Corano non dovrebbatiutorizzare la bugia, e forse gli uomini di governo credono davvero a quanto vanno dicendo, dovunque, anche nel regno del Signore sulla Terra. Per poter intervistare una donna, a verifica delle parole del ministro, è stato comunque necessario adottare cautele e accorgimenti che neanche Mata Hari: anzitutto il buio complice della sera poco prima del coprifuoco, e poi un coraggioso amico afghano che andava e veniva da quella casa con il bigliettino delle domande e le risposte e le nuove domande (perché se ci avessero sorpresi insieme - la signora e lo straniero - sarebbe stata una tragedia da frustate in pubblico e chissà cos'altro). La donna, un'insegnante, è disperata per aver dovuto abbandonare la scuola; e se è vero che il suo stipendio di 6 dollari non è sospeso, è altrettanto vero che questi soldi arrivano a ogni morte di papa. Comunque, sulle parole del mini¬ stro la risposta è: 1) Qalamuddin mente quando dice che la situazione migliorerà perché, al contrario, anche le scuole femminili che l'anno scorso erano state aperte in modo semiclandestino nelle case private sono state chiuse dalla polizia religiosa due settimane fa, e altre 18 mila alunne (nella sola Kabul) ora non hanno come studiare; 2) il lavoro femminile è ammesso soltanto in forma teorica, e comunque la sua pratica è assolutamente eccezionale e rigidamente segregata; 3) c'è un solo ospedale femminile a Kabul, con risorse poverissime, e una donna può essere curata soltanto da una donna, e nel resto del Paese la situazione è disperata; 4) molte donne, soprattutto le vedove di guerra, scappano in Pakistan perché non riescono a sopportare le restrizioni che gl'impone il codice morale dei taleban (ma poi, a Peshawar, molte finiscono per doversi prostituire, non avendo come campare). Dietro queste contraddizioni comunque amare e disgraziate c'è la storia di un Paese che da vent'anni è in guerra: prima contro gl'invasori sovietici (dall'80 al '92), e poi in una feroce lotta interna dove etnie, tribù, e dogmi religiosi creano campi di battaglia che pare impossibile pacificare. L'arrivo dei taleban di etnia Pashtun, nel '94, sembrava dovesse chiudere definitivamente l'escalation militare, ma le vallate del Nord e la catena montagnosa dell'Hindu Kush creano una differenziazione, non solo geografica (ci sono popolazioni tagike, uzbeke, gli Hazara), che questi studenti-soldati di Allah non sono stati capaci di superare. E la guerra continua, anche se i taleban controllano oggi i tre quarti dell'Afghanistan. I taleban avevano alle spalle - oltre che la provvidenziale benedizione di Dio Onnipotente - anche l'utile concretezza dei soldi e delle armi (americane) di Pakistan e Arabia Saudita. Il progetto di creare un Ma qualche crepa si apvedono donne sole, riatelevisori, un tempo deregno di Allah in Terra si accompagnava a più pratiche ambizioni di pacificare un Paese che è vitale per il passaggio delle ricchezze petrolifere distese nel sottosuolo dell'Asia Centrale, Turkmenistan e Khazakhstan soprattutto. Il Pakistan ne ha un bisogno assoluto per il proprio bilancio di Paese povero e sovraffollato, e l'Arabia Saudita vi ve- re: si ppaiono i moniaci de comunque uno strumento utile per la propria geopolitica perché la soluzione pakistano-afghana metterebbe fuori causa l'arcinemico Iran. Ma la volontà di Allah pare che stia mutando. L'arrivo di Khatami a Teheran, e ora l'atomica di Islamabad, hanno avviato un rimescolamento di alleanze che apre a nuove possibili triangolazioni tra i tre Paesi del Golfo (con Washington, naturalmente, sullo sfondo). E i taleban finiscono per venir sballottati da questi imprevedibili cambiamenti dei loro sponsor: se ne vedono i segni perfino nelle piccole contraddizioni della vita quotidiana. Se sono state chiuse ora anche le scuole femminili «underground», sono sempre più numerose però le donne che al mercato - o comunque in pubblico - ora se ne stanno da sole, senza l'accompagnamento del marito o di un fratello (come la legge imporrebbe). E ci sono negozi che hanno di nuovo scarpette con il tacco alto; non a spillo, ma comunque un buon tacco a punta. Comincia pure a esserci qualche ragazzo che resiste a farsi crescere il barbone regolamentare, e qualcuno ha il ciuffo di capelli lungo più del consentito. Si sa anche di qualche parabola satellitare arrivata di contrabbando (1800 dollari) in attesa che a Kabul ritorni intanto l'elettricità. Sono riapparsi anche i televisori nei negozi addormentati del vecchio bazar che sta sotto il ministero della Morale pubblica. «Vengono usati soltanto come schermo per vederci i film dei videoregistratori», assicura la gente del negozio. Ma poi lascia capire che c'è dell'altro, e che comunque, se lo straniero è interessato, si possono trovare film di contrabbando (3 dollari l'affitto per una sera). Anche pellicole | porno (però queste a 8 dollari, e «io non ne so niente», mettono le mani in avanti). La morale astratta co-' mincia a fare i conti con la vita di ogni giorno, soprattutto qui a Kabul, che era una delle città più vive e aggraziate dell'Asia Centrale, seconda forse soltanto a Teheran. Oggi mezza Kabul è completamente distrutta dalla guerra, le mine fanno ancora 10 vittime al giorno tra morti e feriti (un ortopedico italiano, Alberto Cairo, ci sta dedicando la propria vita), per strada c'è soltanto miseria e vecchie biciclette cinesi. Eppure, qualcosa va cambiando. In Pakistan, uno dei più noti studiosi al mondo d'islamismo, il professor Aslam Syed, aveva spiegato al giornalista che preparava il passaggio in Afghanistan: «I taleban sono certamente influenzati dai progetti teocratici che foraggia l'Arabia Saudita; però, di loro, hanno il costume e la psicologia di uomini vissuti nei villaggi del Sud, in un mondo sessualmente segregazionista e con l'unico insegnamento appreso nelle scuole coraniche, le madrassah ultratradizionaliste». Lo smottamento delle alleanze che li sostenevano, e la frequentazione ormai della «città», vanno approfondendo oggi le diversità che comunque c'erano all'interno del loro movimento; si apre un processo di crisi la cui soluzione nessuno può immaginare, anche se il giornalista straniero è stato subissato di caute confessioni sottovoce che «comunque c'è un re, e vive proprio da voi, a Roma». Ieri mattina, nell'atrio del ministero dell'Educazione c'era la distribuzione dei libri di testo: gl'insegnanti si accalcavano addosso ai sacchi, spingendo per essere, ciascuno, il primo neh" acchiappo dei volumi. Tra tutti quegli uomini c'era anche un ragazzotto, che tutti sballottavano via e che pure resisteva, rosso in viso ma testardo. Alla fine se n'è uscito con i libri in mano, si chiama Zaid Bismillah, ha 14 anni e fa la terza media. In un Paese che ha l'80 per cento di analfabeti, la lotta testarda di Zaid per i suoi libri è parsa allo straniero incuriosito e affascinato il simbolo di un Paese che comunque continua a vivere. Ero stato in Afghanistan con i mujahiddin, negh anni della guerra contro l'invasione sovietica, quando alla fine la potente Armata Rossa s'era dovuta arrendere. Gli afghani sono gente dura, che già aveva saputo battere gli imperi dello zar e della regina Vittoria. Zaid, lui ha detto che non ha ancora studiato la guerra allo zar né quella agli inglesi; nella sua faccina seria di piccolo uomo traspariva una forza antica. Mimmo Candito (3. fine) Le trasgressioni «minori» sono punite con bastonate, calci e anche qualche ora di galera Ma qualche crepa si apre: si vedono donne sole, riappaiono televisori, un tempo demoniaci Nella capitale afghana un taleban armato fa la guardia alla moschea di Pul-i-Khishti dopo aver «invitato» i fedeli alla preghiera dei venerdì aiutandosi con la minaccia del Kalashnikov In basso, donne velate a Kabul

Persone citate: Alberto Cairo, Aslam, Khatami, Mata Hari, Mimmo Candito, Syed, Vittoria, Zaid