Molti pensionati, pochi giovani di Flavia Amabile

Molti pensionati, pochi giovani Molti pensionati, pochi giovani E tra gli slogan spuntano gli «invisibili» TROMA UTTO lasciava pensare a una potente macchina da guerra. La calata dei disoccupati di tutt'Italia su Roma era stata predisposta dalle organizzazioni sindacali con la meticolosità degli stati maggiori alle prese con un massiccio dispiegamento di forze sul territorio nemico. Migliaia di autobus si erano messe in moto già sabato sera o nella notte tra sabato e domenica: l'orario esatto definito in base ai chilometri da percorrere per giungere a Roma. A ogni gruppo, come si trattasse di una divisione di un esercito, era stato assegnato un punto di arrivo dove avrebbero unito le proprie forze a quelle delle altre che via via sarebbero giunte. I punti di arrivo erano tre: piazza Esedra, piazza Albania, piazzale delle Crociate. Di lì, altrettanti battaglioni si sarebbero mossi alla volta di piazza San Giovanni. Tutto stabilito con la massima precisione, dunque, eppure fin dall'inizio la potente macchina da guerra sembra avanzare con difficoltà. Già di primo mattino rispetto al piano della vigilia iniziano i contrordine. Il corteo di piazza Albania si avvia con mezz'ora di anticipo e a piccoli gruppi separati, non in un unico corpo compatto, come da istruzioni. Troppa gente, è la spiegazione ufficiale, nonostante le forze dell'ordine in quel momento rilevino la presenza di poche migliaia di persone. Più di un'ora dopo - sono da poco passate le dieci - prende il via il corteo-battaglione di piazza delle Crociate. Rispetto alla tabella di marcia hanno più di mezz'ora di ritardo, molto probabilmente dovuta all'attesa di 15 mila lavoratori campani. A loro era stata assegnata la testa della manifestazione. Del gruppo facevano parte i lavoratori di Sarno e i rappresentanti del Comune di Quindici. La pole-position era un obbligo imposto dagli oltre duecento morti dei due Comuni a causa delle frane avvenute agli inizi di maggio. Purtroppo il gruppo è giunto fra gli ultimi a Roma. Una decina di minuti dopo - erano ormai passate le dieci e un quarto - si muove anche l'ultimo corteo-battaglione, quello di piazza della Repubblica. Tre quarti d'ora circa di ritardo. Messasi, dunque, faticosamente in moto, la macchina da guerra del sindacato si impadronisce delle vie di Roma. Fintantoché i manifestanti sfilano, balzano all'occhio soprattutto il folklore e il colore. I senegalesi che suonano la musica del loro Paese. Cinque ragazze in bicicletta recano le insegne dello Spi, il sindacato dei pensionati e si proclamano le «Spi-girls» dei lavoratori. Il gruppo folkloristico di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, marcia accompagnato dal suono metallico di strumenti fabbricati con pentole e tappi riciclati per richiamare l'attenzione sulla crisi dell'artigianato. Un gruppo di dipendenti di una casa di cura di Firenze ostenta lungo l'intero tragitto un finto epilettico per ricordare l'agonia del lavoro. I campani sfilano ballando la tarantella, suonando le triccheballacche e il putipù. Quando, intorno a mezzogiorno, i tre cortei-battaglioni si ritrovano tutti a piazza San Giovanni, come d'accordo, né il folklore, né i ritardi possono più nascondere la triste realtà. La potente macchina da guerra del sindacato che aveva promesso di portare in piazza più di trecentomila persone, ne ha raccolte centomila o, al massimo, centocinquantamila (300 mila calcola il sindacato). Protetti dagli ombrelli, d'obbligo per ripararsi da un sole africano, si vedono soltanto volti di ultra-quarantenni. I pochi giovani presenti si erano spremute le meningi per apparire, senza sapere di fare già notizia soltanto con la loro presenza. E' il caso di Maria Celeste De Martino, 32 anni, da sette precaria della Rai, nota per aver organizzato uno spogliarello femminile al Piper di Roma per guadagnare qualche lira come nel film inglese «Full Monty». Oppure come Massimo, che offre ai manifestanti magliette «con frasi e volti buoni per ogni rivoluzione», senza riuscire a vendere nulla. La disfatta del sindacato diventa anche più cocente quando si diffonde la notizia degli unici attacchi riusciti della giornata. Recano la firma degli «Invisibili», un gruppo di disoccupati e precari, alternativo a Cgil-Cisl e Uil. Su piazza San Giovanni, in piena manifestazione, a sorpresa, appare un loro aereo seguito da uno striscione con uno slogan opposto a quanto andavano affermando dal palco i leader dei sindacati confederali: «No ai patti d'area e alla flessibilità». Contemporaneamente, è in corso l'occupazione della sede nazionale della Cisl. Una trentina di «Invisibili», arrampicandosi sui cornicioni dell'edificio in via Po, hanno preso possesso della sala del coordinamento feniminile del sindacato. L'occupazione si conclude con un incontro con il leader della Cisl Sergio D'Antoni. Al termine ognuno rimane sulle proprie posizioni. Ma gli «Invisibili» sono gli unici a poter tornare a casa da vincitori. Flavia Amabile

Persone citate: Maria Celeste De Martino, Sergio D'antoni

Luoghi citati: Civita Castellana, Firenze, Italia, Roma, Viterbo