Braccio di ferro alla General Motors

Braccio di ferro alla General Motors IL CASO LA BATTAGLIA NELLA PATRIA DELLE TUTE BLU Braccio di ferro alla General Motors Sciopero record, già in centomila a casa NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Le televisioni americane trasmettono di frequente una sequenza girata a Flint, Michigan. Vi appare un uomo di nome John Falk, operaio della General Motors, che festeggia il suo quarantesimo compleanno facendo picchetto davanti alla fabbrica, insieme con il suo figlio undicenne, di nome Charlie. L'uomo dice: «Stiamo scioperando per difendere i nostri posti di lavoro ed è una battaglia che riguarda tutti. La General Motors vuole chiudere qui e far arrivare tutto da-fabbriche all'estero, noi scioperiamo perché i ragazzi come Charlie possano continuare a vivere bene e avere una fabbrica in cui lavorare, da grandi». Un suo collega annuisce e sventola la bandiera americana, le auto che passano suonano i clacson in segno di solidarietà. E i giorni di sciopero sono diventati 15, senza nessuna prospettiva di accordo. E' facile intuire che la battaglia di Flint, allargatasi rapidamente a tutte le fabbriche General Motors in America e fuori, è molto più che un semplice sciopero. Coinvolge interessi cruciali e propositi non dichiarati, solleva entusiasmi e demagogia, preparandosi a giocare un ruolo chiave nell'economia americana di questo '98 vissuto in corsa. Cominciò tutto il 5 giugno scorso, quando i lavoratori della fabbrica di Flint si fermarono ai cancelli. Fosse successo altrove, poteva essere un episodio. Accadendo a Flint, era un segnale. Questa cittadina è la patria dei sindacati metalmeccanici americani, il luogo dove è nato Walter Reuther, che li ha fondati e, con lui, il sitdown. L'effetto valanga era assicurato. Dopo due settimane di proteste, gli uomini ai picchetti sono 9200, i lavoratori a casa 105.500, le fabbriche chiuse 23, la produzione perduta il 90%. i dollari in fumo 60 milioni al giorno, le prospettive di una soluzione della vertenza: nessuna. E' intervenuto perfino il presidente americano Clinton, sollecitando le parti a venirsi incontro. Risultato: i rappresentanti sindacali sono partiti per Las Vegas, per l'annuale convenzione al casinò. L'amministratore delegato della GM, John Smith, per il week-end in campagna. Il 29 giugno le fabbriche chiuderebbero comunque per le rituah' due settimane di ferie. Una soluzione prima di allora appare, oltre che improbabile, inutile. Gli operai andranno in vacanza senza soldi per pagarsele (durante lo sciopero incassano 150 dollari a settimana). Le controparti, con un futuro in rosso da amministrare. Ma il braccio di ferro continuerà, perché la posta è alta e perché c'è chi ha interesse a vederlo proseguire. Si discute degli standard produttivi, delle condizioni di salute, ma il vero nodo della questione e un altro: il mantenimento dei posti di lavoro negli Stati Uniti, impedendo alla General Motors di far realizzare i componenti all'estero, in fabbriche asiatiche dove i costi di produzione potrebbero essere abbattuti. E' una pratica ormai diffusissima e solitamente digerita dai sindacati attraverso la contrattazione. Ma non a Flint, Michigan: un po' per la rigidità della General Motors nelle rela- zioni aziendali, un po' per la missione simbolica di cui si ritengono investiti i sindacalisti di questa landa. I lavoratori si sono imbandierati e hanno ottenuto un appoggio popolare senza precedenti. Di solito, infatti, i metalmeccanici non suscitano simpatia. I loro stipendi attirano più invidia che solidarietà: senza straordinario percepiscono 40 mila dollari (72 milioni) l'anno, più altri 20 mila se vanno oltre l'orario stabilito. Si tratta di cifre lorde e il cui potere d'acquisto va considerato come se il dollaro valesse 1000 lire invece di 1800, ma consentono comunque una vita più che dignitosa, a Flint, Michigan. La battaglia patriottica in difesa dell'occupazione «made in Usa» ha fatto presa e la chiusura della fabbrica di Lordstown, in Ohio, ha sollevato proteste di massa. Restano aperti solo 7 impianti GM e da questi escono soltanto le vetture di piccola cilindrata, che portano pochi dollari alle casse dell'industria. Eppure, guardando nel medio periodo gli effetti di questo sciopero che potrebbe diventare storico per la sua durata, gli analisti economici americani riescono a vedere aspetti positivi. Il corto circuito che potrebbe derivarne non coglierà impreparati i meccanismi difensivi, già allertati dall'allarme generale suonato a causa della crisi asiatica e, nel lungo periodo, l'effetto di questa batosta partita dal Michigan po trebbe servire a calmierare salari e inflazione e stabilizzare la corsa di un'economia la cui rapidità nella crescita comincia a spaven< tare gli stessi guidatori di un car ro lanciato a una velocità che ri schia di diventare incontrollabile. A meno che la ('battaglia di Flint» non si trasformi in una guerra a tutto campo, capace di far saltare ovunque l'equilibrio tra esigenze della produzione stabilità dell'occupazione, che ora si regge camminando su funi sottili e lunghissime, talora tese tra il cuore dell'America e l'oso* ro ventre del Sud-Est asiati co. [g. r.] «L'azienda vuole chiudere qui e far arrivare tutto dall'Asia: salviamo il made in Usa» ss La manifestazione di protesta dei lavoratori della General Motors a Flint, nel Michigan