Prodi non vuol cambiare politica «Niente interventi straordinari» di Fabio Martini

Prodi non vuol cambiare politica «Niente interventi straordinari» L'AGENZIA CHE NON CE' Prodi non vuol cambiare politica «Niente interventi straordinari» ROMA EL suo appartamento privato, al terzo piano di Palazzo Chigi, il professor Romano Prodi sembrava risoluto e definitivo: «Sia chiaro che io, una politica dell'intervento diretto e straordinario per il Sud non la voglio rifare...». Mercoledì 17 giugno, all'ora del tè, il presidente del Consiglio ha spiegato con più nerbo del solito ai leader di maggioranza quel che lui stesso va ripetendo da un mese e mezzo, come in una litania: il Mezzogiorno è la nuova frontiera del governo e Sviluppo Italia sarà un'agenzia «agile e snella». E invece l'Agenzia non riesce proprio a decollare, a dispetto della più lunga sequenza di annunci e di false partenze di tutta l'era dell'Ulivo: ancora la settimana scorsa, prima il sottosegretario Micheli («Sarà varata nel Consiglio dei ministri del 13 giugno» e poi il ministro delle Finanze Visco («Penso che si farà il 20») sono stati smentiti dai fatti. Vicenda esemplare di come vanno le cose nella maggioranza di centro-sinistra: l'Agenzia non riesce a partire per uno fitto reticolo di veti incrociati che vede impegnati personaggi di primo piano (Marini «contro» D'Alema; Bersani «contro» Ciampi; Bertinotti «contro» Prodi), ma anche grandi poli di potere: il «polo» delle entrate e delle uscite Bilancio-Tesoro che cerca di allargare il proprio campo d'azione a dispetto del «polo» dell'economia produttiva che fa capo all'Industria, ai Trasporti, ai Lavori pubblici. E poi tanti personaggi apparentemente fuori della mischia. A cominciare da Sergio D'Antoni, impegnato a difesa delle società-Iri (e degli amministratori cislini) che dovrebbero essere assorbite dalla nuova Agenzia. Una storia italiana nella quale tutto è in discussione - il ruolo dell'Agenzia, le poltrone, le risorse - e infatti dietro le quinte c'è gran bagarre. Fa gola, come sempre, la poltrona più importante, quella della presidenza della futura agenzia Sviluppo Italia, la holding leggera con compiti di promozione e di sostegno finanziario che dovrebbe assorbire le società attualmente in campo (Itainvest, Spi, Enisud, Ig, Ribs, Ipi) con il loro corredo di personale e di manager. D'Antoni ha già fatto sapere, in via informale, che se le società-Iri saranno sbaraccate e fuse dentro Sviluppo Italia, un ottimo candidato per guidare la nuova holding, sarebbe Luca Borgomeo, presidente della Ig, una delle società in via di estinzione. Ma Borgomeo è un ex dirigente Cisl, a Botteghe Oscure e alla Cgil storcono la bocca e nelle ulti¬ me ore ha preso corpo un'ipotesi accarezzata al Ministero del Tesoro: affidare l'agenzia ad un imprenditore vero, magari da far individuare attraverso un «cacciatore di teste». Un manager di peso, un «interlocutore imprenditoriale» oltretutto selezionato in modo trasparente potrebbe essere una soluzione efficace per uscire dall'attuale impasse, anche se nelle settimane scorse si era vociferata la candidatura di Patrizio Bianchi, uomo-Nomisma caro a Prodi, che ha già avuto l'incarico di preparare il progetto-base per la nuova holding. Ma l'ansia di tracciare l'identikit del presidente non significa che su tutto il resto i contrasti siano più lievi. Holding leggera o pesante? Per primo D'Alema, ma poi anche Prodi e Ciampi spingono per una struttura leggera, con compiti di marketing e di aiuto alla progettazione, mentre Bertinotti invoca «una struttura capace di creare migliaia di posti di lavoro, anche assumendo nei prossimi due-tre annui». E il ministro del Lavoro Tiziano Treu ribadisce nel rapporto di Primavera il profi¬ 10 dell'Agenzia per il Sud: coordinamento politico in sede di Cipe delle politiche di sviluppo e una holding leggera «come è stato disegnato in sede di presidenza del Consiglio, che semplifichi l'attuale geografia degli enti competenti, razionalizzandone l'attività». In via informale Rifondazione ha già fatto sapere a Prodi che se non sarà accontentata su tutto il fronte, non aprirà la crisi e Nerio Nesi suggerisce anche una onoievole via di compromesso: «L'Agenzia dovrà essere nazionale», «tenere i rapporti con le grandi entità come Telecom, Eni, Enel». E resta apertissimo l'enigma dei fondi con i quali far funzionare l'Agenzia: inizialmente il governo fece capire (con soddisfazione di Fausto Bertinotti), che potevano essere utilizzate le plusvalenze derivanti dalla privatizzazione Telecom, poi, per dirla con 11 sottosegretario alla presidenza Enrico Micheli «nel prosieguo della discussione si è visto che forse sarebbe meglio trovare altre formule». Ma negli ultimi mesi la battaglia più aspra, anche se meno visibile, si è consumata tra il ministro dell'Industria Pierluigi Bersani, pidiessino e il superministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi, che alla fine l'ha spuntata: l'Agenzia resta di «proprietà» del ministero del Tesoro e a decidere periodicamente i suoi indirizzi sarà il Cipe. Ma la dialettica resta: ieri Ciampi ha fatto sapere che «l'Agenzia non dovrà essere né leggera né pesante», ma «strumento attivo di coordinamento e stimolo delle società già esistenti», «da riorganizzare anche attraverso accorpamenti». E D'Alema, che invece da mesi punta alla Agenzia unica dice: «Non serve una nuova Iri da 300 mila assunzioni, ma neanche ci si può limitare ad una struttura che riorganizzi l'esistente». Fabio Martini Non decolla l'Agensud per colpa dei veti incrociati fra le forze che sostengono l'Ulivo Partito il totonomine si cerca un'intesa sul tipo di struttura per la nuova holding

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