Il crepuscolo del dinosauro della chimica

Il crepuscolo del dinosauro della chimica Il crepuscolo del dinosauro della chimica Marghera, tra rivolte del passato e paure del presente LALAGUNA AVVELENATA E' I fi MARGHERA ™ specialmente di notte che il metallo del Petrolchimico ti mette reverenza, ansia, perfino paura. Il dinosauro chimico ha geometria fantastica e luci gialle su fondo nero e fuochi, ciminiere, ponti sospesi, piazzali, cancellate, piscine bollenti. Il suo respiro è un fondale pesante sulla leggerezza della Laguna, inghiotte il salmastro, restituisce fumi, come se tutte la vita passata di qui - mezzo secolo di fabbrica dura, migliaia e migliaia di operai, lotte, progetti, smaltimenti, drammi e conquiste sindacali - sia sempre destinata a diventare nuvola e nebbia. Da 48 ore il dinosauro ha rallentato il respiro. «Non sono impianti che si possono chiudere come fosse la luce di casa. Sono tecnologie complesse, immense», dice con reverenza uno dei sindacalisti circondato (adesso) dal grande disordine del nuovo allarme. L'allarme si è propagato a valanga, dopo la chiusura dello scarico Sml5 che la magistratura giudica avvelenato, uno scarico fuori controllo, un fiume da 1 milione e 200 mila metri cubi di acqua e fanghi al giorno, incompatibile con la salute, l'ambiente, la legge. Così, per la centesima volta: rabbia operaia in piazza e sui binari, sulle autostrade, in tv. Tutti a gridare «lavoro», «vita», «futuro». Come fu a partire dal cuore degli Anni Sessanta, quando ì militanti di Potere operaio Antonio Negri e Massimo Cacciari, per esempio - venivano ogni mattina a volantinare la rivolta. E la rivolta significò non solo tensione, scontri, aleatorietà rivoluzionarie, ma pure conquiste concrete, come le commissioni di fabbrica, i controlli sui ritmi di lavoro. Non solo i celebri «Aumenti uguali per tutti» o «Tutto il potere all'assemblea», ma pure la coscienza diffusa che «La salute non si vende e non si paga», come recitava lo slogan sindacale di allora e oggi recitano le leggi. Per gli operai (ieri come oggi) chiudere quello scarico, rallentare il dinosauro, o addirittura abbatterlo, è un nodo scorsoio che toglie ossigeno, materializza gli spettri della disoccupazione, riapre la voragine degli anni passati, gli ultimi 20 almeno, che hanno già inghiottito quasi i due terzi delle tute blu. «A guardarci indietro - dice uno di loro, seduto davanti allo striscione - ci sentiamo tutti residuali. Sopravvissuti. A metà degli Anni Settanta qui eravamo più di 30 mila. Oggi non arriviamo a 10 mila». E' davvero una storia infinita, istruttiva, eroica e anche grottesca, questa del Petrolchimico. Navigando nel tempo, tornano alla mente intere sequenze di sciocchezze (riconvertire a granturco o albergare aironi, folaghe e germani di passo) e centinaia di commissioni governative, comitati, studi, progetti imbarcati sulla continua altalena miliardaria di allarmi e di rassicurazioni. «Deindustrializzare», si disse. «No, ampliare». E poi: «La Chimica è in declino». Contrordine: «E' il settore strategico». Contrordine: «Non è compatibile con le gondole». E ben più drammaticamente: «Non è compatibile con la vita», da cui il processone oggi in Assise per la morte di non si sa quanti operai - 140 o addirittura 200 - morti di cancro perché esposti al cvm come raccontano l'ordinanza di Felice Casson, il libro di Gianfranco Bettin («Petrolkimiko») e la disponibilità delle aziende a risarcire con 63 miliardi quelle vite. Tutto quell'impellente futuro - che si chiamò Montedison, e poi Enichem, transitata la meteora di Gardini - è passato di qui, trasformando territorio e vita, moltiplicando l'indotto, il reddito, diventando nel bene e nel male, sviluppo. Ha le sue ragioni Guido Venturin, direttore generale di Fe- derchimica, a dire: «Cosa credete? Dietro al successo del Nord-Est c'è la chimica. Con cosa credete che i signori Benetton e Stefanel tingano i loro maglioni?». Ma ha le sue ragioni anche Cesco Chinello, 73 anni, che fu parlamentare comunista e sempre massimo fabbricatore di lotte, nonché studioso di questa storia operaia: «Marghera è un bubbone. E' un malato gravissimo che ci mette troppo tempo a morire. Non potrà mai essere compatibile con l'ambiente. Non potrà mai essere riconvertita se non a prezzi immensi, un miliardo a ettaro per la superficie del suolo, ma chissà quanto se solo si vorrà scavare. Chissà quanto se si vorrà davvero ripulire la Laguna...». Come sempre tutto quello che riguarda il Petrolchimico, si tratti di posti di lavoro e di sviluppo o di ecologia e di riconversioni, riverbera miliardi a migliaia. Ma specialmente riverbera furibonde inconciliabilità. Sindacato e aziende che denunciano il «terrorismo ecologico» degli ambientalisti. Geenpeace che si incatena, assedia i cargo carichi di rifiuti tossici. Operai che assediano Greenpeace. Magistrati che spediscono ordinanze. Visto di notte il Petrolchimico manda bagliori. Tredici stabilimenti, 54 impianti, processi di lavorazione a ciclo ininterrotto di sostanze impronunciabili: Caprolattame, Tdi, Etilene, Epdm, che riempiono la pancia del dinosauro, colando tonnellate di fanghi, zinco, mercurio, piombo, idrocarburi, diossina. In mezzo c'è la vita di migliaia di operai - dignità, fatica, paura - e pure un pezzo di storia italiana che va rimpicciolendosi, e forse sparirà, come fanno le stelle in Laguna. Pino Corrias Identici gli slogan di ieri e di oggi «La salute non si vende e non si paga» «Malato gravissimo che impiega troppo tempo per morire»